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ISTITUTI DI VIGILANZA PRIVATA. AUTORIZZAZIONE. PRESUPPOSTI. TUTELA DELLA CONCORRENZA PDF Stampa E-mail
domenica 19 agosto 2007
È illegittimo il diniego dell'autorizzazione all'apertura di un Istituto di vigilanza privata, nel caso in cui esso sia apoditticamente motivato sulla base di ragioni inerenti la saturazione locale del mercato.

T.A.R. Veneto, sez. III, 8 agosto 2007, n. 2717:

 

<<il provvedimento prefettizio impugnato ha respinto la domanda della ditta ricorrente con tre ordini di motivazione e precisamente: che “ il servizio di vigilanza attualmente offerto risulta sufficiente a soddisfare le richieste dell’utenza secondo un equilibrato rapporto tra domanda ed offerta”;  che “l’inserimento di altri istituti di vigilanza potrebbe alterare il rapporto esistente tra il numero complessivo delle guardie giurate e gli operatori di polizia” e, in ultimo, che “sussiste saturazione del mercato, come  risulta dalla quasi totale inattività palesata da alcuni istituti ai quali è stata rilasciata la licenza in questione”.
Tale motivazione è, nell’assunto di parte ricorrente, generica ed apodittica, in quanto non contiene alcun riferimento agli elementi di fatto in base ai quali l’amministrazione ha stabilito, sempre che ciò abbia fatto, nell’ambito della provincia di competenza, il  c.d. rapporto “equilibrato” tra domanda di servizi di vigilanza privata ed offerta, né quello relativo al rapporto, ritenuto coerente,  tra il numero complessivo delle guardie giurate e gli operatori di polizia; il provvedimento non specifica, inoltre, quali e quanti siano gli istituti già autorizzati che risultano effettivamente operanti e se quelli inattivi abbiano cessato l’attività per carenza di domanda o perché non in grado di sostenere la concorrenza degli istituti più importanti, che,  di fatto svolgono, sempre secondo parte ricorrente, l’attività in questione in condizioni  di oligopolio e comunque di mercato ristretto.
Il motivo appare fondato.
La motivazione del provvedimento è, infatti, sul punto, del tutto apodittica e solo nella memoria difensiva l’amministrazione ha spiegato di essere pervenuta al rigetto della domanda perché “dagli atti di archivio e dall’elenco degli abbonati alla vigilanza è emerso che nella provincia di Treviso operano ben 18 istituti (di cui dieci di grandi dimensioni), e che ben otto, autorizzati negli ultimi tre anni, sono pressocchè inattivi,  pur avendo investito nell’impresa ingenti capitali”;  situazione, questa, nella quale l’apertura di un ulteriore istituto di vigilanza potrebbe determinare “un eccesso di concorrenza” non sostenibile in un mercato caratterizzato non dal ridotto numero di operatori ma da un eccesso di imprese, in parte, anche per questa ragione,  inattive.
L’incontrollato aumento degli istituti di vigilanza, peraltro, oltre ad aver comportato un eccessivo abbassamento delle tariffe, anche al di sotto di quelle minime, ha comportato, secondo l’amministrazione, l’irregolare funzionamento degli stessi istituti, con negative ripercussioni  sull’ordine e sulla sicurezza pubblica.
Conclude, pertanto, la difesa dell’amministrazione che se è pur vero che l’art. 41 della Costituzione fissa il principio tendenziale della libertà di iniziativa economica privata, quest’ultima non può mai essere esercitata in contrasto con l’utilità sociale, dovendo corrispondere ad una reale esigenza della collettività, che nella specie non ricorre.
    A questi argomenti, come già premesso,  parte ricorrente oppone, innanzitutto, che l’amministrazione non ha mai fissato un criterio anche indicativo o per relationem  idoneo a definire il c.d. “corretto rapporto tra domanda ed offerta di servizio” sulla cui base sarebbe astrattamente possibile stabilire, a priori ed oggettivamente, se in funzione di tale parametro sussista o meno la c.d. saturazione del mercato; che, peraltro, la concorrenza nel settore del servizio di vigilanza privata, salvo eccessi che il mercato stesso tende a marginalizzare, non può che contribuire a migliorare la qualità del servizio, inducendo gli operatori a fornire le migliori tecnologie ed a ricercare la massima efficienza anche allo scopo di contenere i costi di gestione, soggetti, come noto, al sistema dei minimi tariffari fissati  dall’amministrazione; che nella specie, la c.d. turbativa del mercato, dedotta in termini apodittici, non è rappresentata dal paventato  eccesso di concorrenza nel settore, ma, piuttosto, dal ristretto  numero di operatori che, di fatto, agiscono in regime di oligopolio e che attraverso la creazione di un sistema di prezzi artificiosi tendono a scoraggiare qualsivoglia miglioramento dello standard di servizio che richieda impegno finanziario, favoriti dalle restrizioni apposte all’ingresso di nuovi concorrenti.
Quanto al mutamento del rapporto tra il numero complessivo delle guardie giurate e degli operatori di polizia, questo timore, si assume, non solo è espresso in termini di pura congettura ma quel parametro non corrisponde ad alcuno dei criteri che la norma impone o suggerisce di applicare in sede di rilascio delle autorizzazioni di cui si controverte, considerato che il servizio di vigilanza privata assolve compiti, ormai assai diffusi e differenziati, di sorveglianza sui beni degli utenti e non a surrogare le funzioni specificamente demandate alle forze di polizia, le quali possono trarre, peraltro, più vantaggi che pregiudizi dall’espletamento della funzione complementare di sicurezza, vigilanza e controllo svolto dagli istituti di vigilanza in favore e nell’interesse dei privati.
Il motivo di censura appare fondato.
Il Collegio osserva innanzitutto che l’orientamento giurisprudenziale, specie il più recente, del Consiglio di Stato (cfr. C.d.S. Sez. 6^ n. 336 del 29 gennaio 2007; id. sez. 6^ n. 1309 del 14 marzo 2006) pur se non del tutto univoco (contra C.d.S. sez. 6^ 7 giugno 2006 n. 3433 e n. 508 del 9 febbraio 2006) è nel senso che  “anche al fine di operare un contemperamento fra le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e i principi di libertà economica garantiti dall’art 41 della Costituzione,  i provvedimenti di diniego dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vigilanza privata, di cui agli articoli 134 e 136 del T.U. 18 giugno 1931 n. 773, non possono essere giustificati solo in base alla sufficienza del numero degli istituti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza esistenti ma debbono dare ragione di come l'interesse pubblico viene ad essere danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, a giustificazione del restringimento della sfera di libertà economica garantita dall’art 41 della Costituzione che, con gli adattamenti connessi al particolare oggetto dell'impresa di vigilanza, costituisce pur sempre fondamentale parametro di valutazione dell'esercizio del potere permissivo assegnato in materia all'Autorità di Pubblica Sicurezza”.
Orbene, applicando tali principi al presente giudizio, il Collegio osserva innanzitutto che l’amministrazione nel negare l’autorizzazione all’apertura del nuovo istituto di vigilanza ha effettivamente richiamato in maniera apodittica la saturazione del mercato senza indicare, neppure in sede difensiva,  da quali elementi istruttori e sulla base di quali parametri predeterminati ed oggettivi abbia desunto che non sussista spazio per l’ingresso nel mercato di nuovi operatori (non essendo sufficiente rilevare che nella provincia di Treviso operano 18 istituti di grandi dimensioni, in parte inattivi) e soprattutto che la stessa pare aver utilizzato un criterio distorto del principio di concorrenza, dedotto dal fatto, in sé non contestato ma di per sé fuorviante, che poiché nella provincia trevigiana è già presente un numero consistente di operatori, parte dei quali (autorizzati da meno di tre anni) risultati inattivi, ciò implichi la “saturazione del mercato”, laddove l’inattività di molti istituti ben può dipendere, come deduce parte ricorrente (e dunque ciò va verificato o deve risultare da altri significativi elementi) da un accordo anticoncorrenziale posto in essere dagli operatori esistenti (che solo in parte  svolgono l’attività di vigilanza autorizzata ed ai quali l’autorizzazione stessa andrebbe, per ciò solo, revocata) ed il cui scopo è quello di consentire surrettiziamente a pochi operatori (poco più di metà di quelli autorizzati) di esercitare l’attività in condizione di oligopolio, a danno del mercato e senza alcun vantaggio per l’interesse al buon funzionamento del servizio, atteso che la concorrenza,e non la restrizione del mercato, può alimentare le migliori condizioni di fruibilità del servizio e una più idonea e razionale organizzazione e gestione delle risorse (cfr. Cons. St., Sez. IV, 26 novembre 2001, n. 5938).
Se, infatti, nel caso specifico,  su diciotto operatori otto sono risultati sostanzialmente inoperosi e addirittura cinque non hanno neppure iniziato l’attività, ciò avrebbe dovuto indurre l’amministrazione non già a tutelare questo anomalo settore ma, per un verso, a revocare le autorizzazioni mantenute inattive da anni o utilizzate in misura marginale e per altro verso a consentire l’ingresso nel mercato di altri operatori che evidentemente ritengono di avere capacità e interesse per accedervi, nel presupposto che esso offra tuttora opportunità di espansione e di margini di profitto.
    A ciò va aggiunto che se, come l’amministrazione assume nelle proprie difese, sono molti gli istituti autorizzati inattivi,   dovrebbe perdere rilievo anche la stessa preclusione del c.d. eccesso di concorrenza, posto che chi pur autorizzato non opera, indipendentemente dalle ragioni che lo motivano, non influenza il mercato, né incide, in senso ritenuto peggiorativo, sul rapporto tra il complessivo numero degli operatori di vigilanza e le forze di polizia, che l’amministrazione ha addotto come concorrente motivo del rigetto dell’istanza della ricorrente, e che peraltro, salvo situazioni abnormi di squilibrio, delle quali l’amministrazione dovrebbe comunque dar conto, non corrisponde ad alcuno dei criteri che ai sensi dell’art. 136 del t.u.l.p.s. può giustificare  il rifiuto di nuove autorizzazioni.
Inoltre, come bene osserva parte ricorrente, l’esistenza di operatori inattivi, che incidono virtualmente sul numero delle autorizzazioni, può dipendere non già, e non necessariamente, dalle condizioni del mercato ma dall’incapacità di gestire l’impresa, specie  se risulti che i titolari di autorizzazioni da lungo tempo non hanno neppure iniziato l’attività, essendo irragionevole, e quindi sospetto, che chi nella veste di operatore professionale richiede una nuova autorizzazione postulante un investimento economico cospicuo di avviamento non abbia già verificato l’esistenza di una domanda di servizi insoddisfatta e che abbia richiesto l’autorizzazione, a proprio completo rischio, ignorando consapevolmente la situazione del mercato>> 

Ultimo aggiornamento ( domenica 19 agosto 2007 )
 
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