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AZIONE SUL SILENZIO E INFONDATEZZA DELLA DOMANDA PROVVEDIMENTALE PDF Stampa E-mail
lunedì 29 ottobre 2007
È inammissibile  (per difetto di interesse a ricorere) l'azione, promossa ex art. 21 bis legge T.A.R., diretta a contestare l'inadempimento dell'amministrazione in merito all'assuzione di un provvedimento, allorché la domanda provvedimentale risulti infondata (fattispecie in materia di rilascio del permeso di soggiorno, richiesto da soggetti già condannati per reati in materia di stupefacenti e, quindi, in materia di attività amministrativa vincolata).

T.A.R. Veneto, sez. III, 29 ottobre 2007, n. 3449

"Con istanza datata 21 febbraio 2007 XXX e YYY ZZZZ, cittadini albanesi (condannati per reati in materia di stupefacenti, privi di un legittimo titolo di soggiorno, e doverosamente raggiunti da un provvedimento d’espulsione dal territorio italiano) chiedevano – sostanzialmente adducendo motivi di salute per l’istante Rudina e per la loro figlia minore Valentina – che fosse loro rilasciato “un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai sensi dell’art. 9 comma 11 Decr. Legisl. 25 luglio 1998, n. 286”, recentemente sostituito dall’art. 1 del d. lgs. 8 gennaio 2007, n. 3.
Non risulta che il questore di Venezia, cui la domanda è stata inviata, vi abbia dato seguito, sicché i ZZZZ hanno proposto il ricorso ex art. 21 bis l. 1034/71 qui in esame.
Nel giudizio si è costituita l’Amministrazione dell’interno, la quale ha concluso per la reiezione del ricorso.
2. In generale, l’obbligo dell’Amministrazione di assumere un provvedimento espresso, dopo aver ricevuto un’istanza, presuppone che il richiedente sia titolare di una posizione soggettiva d’interesse legittimo, preesistente e presupposta all’istanza stessa (la quale, da sola non basta a costituire una pretesa tutelabile alla pronuncia espressa sulla medesima); posizione specificatamente correlata alla situazione sostanziale, sulla quale il provvedimento invocato è destinato ad incidere: “Il silenzio rifiuto costituisce uno strumento avente la precipua finalità di provocare, nell’ambito di un rapporto tra privato e p.a. previsto e regolato dalla legge, una pronuncia esplicita da parte dell’Autorità amministrativa, allorché questa abbia l’obbligo di provvedere sulla domanda del privato e sia, pertanto, competente a soddisfare l’esigenza dello stesso” (C.d.S., IV, 17 giugno 2003, n. 3409).
3. In specie, è dubbio che, almeno in relazione alle norme richiamate, i ZZZZ siano, anche solo astrattamente, titolari d’una posizione giuridica tutelabile, in relazione alla quale l’Amministrazione sia obbligata ad assumere un provedimento espresso.
L’art. 9, XI comma, del d. lgs. 286/98, infatti, dispone che “Ai fini dell’adozione del provvedimento di espulsione di cui al comma 10, si tiene conto anche dell’età dell’interessato, della durata del soggiorno sul territorio nazionale, delle conseguenze dell’espulsione per l’interessato e i suoi familiari, dell’esistenza di legami familiari e sociali nel territorio nazionale e dell’assenza di tali vincoli con il Paese di origine”.
In specie, i provvedimenti d’espulsione de quibus sono stati emessi – e sono evidentemente divenuti definitivi - prima della modifica normativa richiamata dai ricorrenti, la quale, del resto, non ha effetto retroattivo.
Inoltre, la disposizione invocata regola il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (già carta di soggiorno), il quale non consta essere mai stato rilasciato ai ZZZZ: sicché non si comprende come essi possano comunque aspirare, su tali basi, ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
4. In ogni caso, l’istanza de qua – della cui fondatezza il giudice amministrativo può conoscere, ex art. 2, V comma, l. 241/90 – è, per le stesse ragioni fin qui esposte, palesemente priva di qualsiasi base giuridica.
I ricorrenti sono stranieri clandestini e pregiudicati, oggetto di un provvedimento di espulsione cui immotivatamente si rifiutano di prestare osservanza.
Il diniego del permesso richiesto, in presenza della situazione presupposta, costituisce senz’altro un atto dovuto: appare perciò superfluo ordinare all’Amministrazione di provvedere, stante l’evidente mancanza di utilità ad ottenere una siffatta decisione espressa." 

 
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