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AVVOCATI E AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE PDF Stampa E-mail
venerdì 13 novembre 2009
   di Franco Zambelli -

- L’AUTONOMIA DEGLI AVVOCATI PUBBLICI E GLI UFFICI UNICI DI AVVOCATURA

- LA SCELTA DEGLI AVVOCATI DEL LIBERO FORO DA PARTE DEGLI ENTI PUBBLICI

 

Il presente testo riproduce l’intervento del Presidente dell’Associazione al convegno di Vicenza dell11.11.2009 sul tema: “Il contenzioso delle pubbliche amministrazioni e gli uffici legali interni”

 

Una breve considerazione che sintetizza quanto al momento espresso a chiusura dei lavori di questo Convegno.

Occorre muovere dall’art. 3 della nostra legge professionale, il quale pone l’accento sulla esclusività della prestazione professionale, autonoma ed incompatibile con altre attività e, segnatamente, con quelle commerciali ovvero assoggettate a rapporti di pubblico impiego.

Con l’unica eccezione rilevante degli avvocati delle P.A. iscritti all’albo speciale, i quali, peraltro, devono essere istituiti in un ufficio legale, qualunque sia la sua denominazione e le sue modalità di attuazione, con l’onere di prestare la propria opera nelle cause e negli affari di esclusivo riferimento dell’ente da cui essi dipendono.

In altri termini, si deve essere in presenza di una unità organica autonoma, sostanzialmente estranea all’apparato amministrativo, con una attività dedicata in via esclusiva all’ente di appartenenza.

In tal modo, il legislatore ha voluto sottolineare l’autonomia, l’indipendenza e la qualità professionale dell’avvocato iscritto nel l’Albo speciale, che peraltro, essendo un dipendente dell’Ente, non può che svolgere la propria attività a beneficio del datore di lavoro che lo ha assunto e che lo ha inserito nella propria struttura organica ed al quale, quindi, latu sensu, deve rispondere, salvaguardata la propria autonomia funzionale.

Ma già questo riferimento univoco al datore di lavoro presso il quale vengono percorsi i gradini gerarchici e viene svolta l’attività professionale ci fa domandare se sia possibile che l’avvocato pubblico esplichi la propria attività professionale anche per Enti diversi da quello di appartenenza, ove è stato assunto, ha svolto dei concorsi pubblici ed è chiamato ad esperire la propria attività professionale.

La portata dell’art. 3 - il quale, come si è visto, pone l’accento non solo sulla autonomia dell’ufficio legale o dell’apparato legale comunque formato, ma, soprattutto, sulla rispondenza, anche sotto il profilo della responsabilità, nei confronti dell’Ente per il quale si è stati assunti - sembra escludere la possibilità di svolgere delle attività propriamente giudiziarie o di consulenza nei confronti di Enti ed altri soggetti pubblici anche diversi da quelli di assunzione e di riferimento istituzionale.

Siamo ben consapevoli che l’art. 2, comma 12 della legge finanziaria n. 244/2007 consente agli Enti locali di istituire, mediante convenzioni da stipulare ai sensi dell’art. 30 del medesimo T.U.E.L., uffici unici di avvocatura per lo svolgimento dell’attività di consulenza legale, difesa e rappresentanza in giudizio degli Enti convenzionati. Ma siffatta possibilità non può, a mio modo di vedere, incidere sulla esclusività dell’opera prestata a beneficio dell’Ente di appartenenza, sancita dall’art. 3 della legge professionale, allorquando la convenzione non si traduca in una radicale modifica della struttura o delle strutture legali originarie, le quali debbono per ciò stesso organicamente confluire in un unico istituto.

Diversamente si dovrebbe ammettere che l’art. 2, comma 12 citato abbia operato una abrogazione tacita del disposto dell’art. 3 della legge professionale che, al contrario, stante la sua specialità, sembra, sotto questo profilo, inattaccabile.

Ovviamente una siffatta posizione è espressione di una tutela della categoria professionale degli avvocati pubblici, i quali possono vedere, da un lato, conculcate le loro posizioni gerarchiche, dall’altro, disattesa la loro autonomia, in un rapporto amplificato per il quale dovrebbero rispondere nei confronti di più Enti di cui conoscono in maniera meno significativa la struttura e l’organizzazione e, quindi, anche le finalità.

Senza considerare, poi, le possibili situazioni di fatto che possono condurre a concrete contrapposizioni.

Si pensi al caso di un avvocato di un ufficio unico che, pur essendo un dipendente della Provincia, esprima un parere per un Comune su problematica che vede contrapposti i due Enti.

Appare evidente che sia la Provincia, sia il Comune risultano in qualche modo vincolati dal suddetto parere, determinando situazioni di incompatibilità professionale che si proiettano anche sulla futura difesa in giudizio degli Enti, eventualmente affidata a professionisti estranei all’ufficio unificato.

Con l’insorgenza di contrapposizioni, se del caso, all’interno dello stesso ufficio unico, ove convivono più “anime” che rendono difficile la guida e la risposta alle richieste dei diversi amministratori.

D’altronde, se teniamo presente che il 12° comma dell’art. 2, L. 244/2007 è inserito in una legge finanziaria, la cui finalità è quella di individuare le fonti di finanziamento e parallelamente di ridurre i costi e le uscite, mi sembra di poter sostenere, ancora, che l’art. 2 tende a razionalizzare, mediante l’istituzione degli uffici unici di avvocatura, le spese degli uffici legali pubblici già esistenti e cioè degli uffici legali degli Enti che già sono dotati di strutture a ciò dedicate, disponendone l’accorpamento in termini strettamente amministrativi e mirando, conseguentemente, a dotarli di una unica componente impiegatizia a sostegno dell’attività dei legali professionisti i quali, da parte loro, devono comunque mantenere la loro autonomia.

E ciò senza invadere la sfera degli Enti privi di uffici legali.

E proprio questa tutela dalla invasione di sfere che coinvolgono la professione anche del libero Foro, ci porta a dissentire dal noto parere con cui la Corte dei Conti ha ritenuto che la prestazione professionale svolta dal legale nell’incarico a favore di un Ente pubblico debba soggiacere alle procedure ad evidenza pubblica, trattandosi di un appalto di servizi per il quale debbono essere rispettate tutte le procedure sancite, per l’appunto, dal Codice degli appalti.

Ora, non possiamo dimenticare che la scelta dell’avvocato del libero Foro è il frutto di un’attribuzione fiduciaria la quale per l’appunto si fonda sulla rispondenza del professionista a determinati requisiti obiettivi di cui è consapevole la P.A.

Rapporto fiduciario che è annullato nell’ipotesi di una gara ad evidenza pubblica, la quale, ovviamente, nella sua obiettività deve prescindere da qualsiasi condizionamento o valutazione in qualche maniera discrezionale. Ma è proprio la tesi di fondo della Corte dei Conti che ci sembra non rispettosa della figura e dell’istituto che caratterizza tale professione, che è quello della prestazione d’opera intellettuale al di fuori di qualsiasi schema pubblicistico o di assimilazione alla figura imprenditoriale, la quale rappresenta l’elemento soggettivo qualificabile come parte essenziale del contratto di appalto di servizi.

In realtà, la Corte dei Conti ha operato una manipolazione errata ed erronea della normativa in tema di appalto di servizi, dimenticando che l‘art. 19 espressamente esclude dalla applicabilità delle norme del Codice non solo le materie dell’arbitrato e della conciliazione, ma anche quelle concernenti qualsiasi ipotesi di contratto di lavoro, nella quale possono farsi rientrare anche gli incarichi a favore delle P.A.

La Corte dei Conti avrebbe dovuto, a mio modo di vedere, distinguere tra l’affidamento della difesa giudiziaria, che rientra nel c.d. “cottimo fiduciario”, per il quale, in ipotesi, se la somma messa a bilancio non supera i 20.000 Euro è ammesso l’affidamento diretto da parte della struttura amministrativa, da quelli che sono gli altri incarichi. Incarichi che, se legali, ben possono essere conferiti con la procedura di cui all’art. 7 novellato del d.lgs. 29/1993 (ora 165/2001) e, cioè, mediante procedure comparative.

Ma allora anche sulla procedura comparativa occorre, in qualche modo, misurarsi.

Non è detto, infatti, che la presentazione del curriculum e la richiesta di un corrispettivo minimizzato rispondano a quelli che sono i criteri di concorrenzialità e di trasparenza richiamati dalla Corte dei Conti. Non risponde certamente a tale criterio il curriculum, posto che esso preclude a priori la possibilità di partecipazione di avvocati all’inizio della propria carriera, ma per ciò stesso non meno capaci e brillanti. D’altro canto, il tariffario minimo non è certamente sinonimo di prestazione la più approfondita possibile, dovendo pur sempre nel sottofondo valutarsi il costo della prestazione stessa, parametrato con la organizzazione e, quindi, in qualche maniera con la struttura professionale che si mette a disposizione.

In altri termini e concludendo ci sembra che su entrambi i fronti - quello, da un lato, della avvocatura pubblica, quello, dall’altro, del libero Foro - si stiano giocando delle partite in estrema evoluzione, nelle quali va salvaguardata la capacità professionale, la autonomia, la dignità di ciascun operatore, il quale è tanto più in grado di assolvere al proprio impegno, quanto maggiormente ama questo impegno e, quindi, lo gratifica non solo e non tanto sul piano economico, ma anche sul piano di esprimere al meglio le proprie capacità.

Non vi è quindi alcuna contrapposizione tra una categoria e l’altra di professionisti, ma vi è necessità di un confronto comune e costante, con la consapevolezza che l’unicità del linguaggio porta di per ciò stesso ad una affinità e forse anche ad una reciproca comprensione delle difficoltà che riguardano la nostra professione.

 

Ultimo aggiornamento ( venerdì 13 novembre 2009 )
 
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