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LA DOMANDA E L’OFFERTA DI GIUSTIZIA PDF Stampa E-mail
martedì 09 febbraio 2010

di Giovanni Attilio De Martin.

 All’inizio di ogni anno giudiziario vengono esposti e proclamati, all’interno delle singole Corti Giudicanti, taluni principi che dovrebbero valere alla stregua di “massimi sistemi” nell’esercizio della funzione giurisdizionale. Mi è capitato quest’anno di leggere sulle principali testate giornalistiche che, ad avviso degli autorevolissimi esponenti della Suprema Corte di Cassazione, il lento e patologico funzionamento della macchina giudiziaria sarebbe imputabile essenzialmente ad un eccesso di contenzioso, ad un numero troppo elevato di Avvocati e, quindi, in estrema sintesi ad una domanda di giustizia sostanzialmente incontrollata ed incontrollabile. Infatti, seguendo questa linea di pensiero, un eccessivo contenzioso, una troppo dilatata domanda di giustizia conduce irrimediabilmente ed inevitabilmente ad una definizione dei processi in tempi troppo lunghi o, comunque, tali da sforare il termine della “ragionevole durata”, come previsto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo così esponendo lo Stato alle istanze indennitare dei cittadini litiganti svolte nelle forme e con le modalità previste dalla cc.dd. Legge Pinto. La causa dell’irragionevole durata sarebbe, quindi, da individuare nell’eccessivo numero di controversie che pervengono al Giudice. La soluzione starebbe, pertanto, nell’individuare corretti, adeguati ed idonei “filtri” tali da impedire che un siffatto eccessivo contenzioso si abbatta (in maniera quasi alluvionale e dirompente) sugli Organi Giudicanti. La prospettiva indicata ed evocata, sia pure in maniera così autorevole, mi sembra, di primo acchito, asimmetrica e sostanzialmente impraticabile. Noi Avvocati Amministrativisti abbiano sperimentato e stiamo sperimentando un “filtro” davvero notevole (e purtroppo) notevolmente assai efficace, posto che la più recente legislazione invece che agire sull’output della giustizia amministrativa ha pensato bene di operare sull’input e ciò essenzialmente per il tramite del notevole innalzamento del contributo unificato per spese di giustizia in tutto il settore del Giudizio Amministrativo. Con la conseguenza che quello che era stato congegnato come un sistema di tutela del cittadino nei confronti dei possibili soprusi della Pubblica Amministrazione è divenuto, inutile ed illusorio affermare il contrario, un sistema fondato sul “censo” di colui che interpone l’impugnativa. Come già scritto su questo sito, infatti, non di rado, credo, nell’esperienza professionale di Tutti Noi abbiamo potuto verificare che un Assistito ha desistito dall’interporre impugnativa giurisdizionale motivando tale desistenza con l’affermazione che l’importo del contributo unificato risulta eccessivamente elevato e non alla sua portata e ciò indipendentemente dalle chances di vittoria in sede processuale. Ciò avviene, soprattutto, per quei soggetti che provengono da classi sociali o da ceti più deboli ma, per ciò stesso, non certamente sono meno degne di tutela e considerazione. In questo caso si è creato il “filtro” (con conseguente, assai marcata contrazione e riduzione del contenzioso) ma il “filtro”, a mio personale ma assai meditato avviso, con ogni ragionevole probabilità non si conforma a talune fondamentali norme costituzionali, fra le quali, in particolare, l’Articolo 3, ad avviso del quale, “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, l’Articolo 24, a tenore del quale: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi……. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per difendersi davanti ad ogni giurisdizione”, l’Articolo 113 ed altre ancora. Non vi è dubbio che l’arretrato, soprattutto nell’ambito della Giustizia Civile, costituisca una problematica assai grave e da non sottovalutare (una tale circostanza mi è ben presente e certamente non la sottovaluto). Tuttavia, a mio personale avviso, le linee – guida di una complessiva riforma della Giustizia dovrebbero andare nella direzione di debellare l’arretrato esistente (e, per quanto concerne il Giudizio Amministrativo, ci penserà e già ci sta pensando, assai efficacemente, l’istituto della perenzione cc.dd. ultraquinquennale) e di fare in modo che non se ne formi di nuovo. E, proprio qui, da quanto appreso dagli Organi di stampa che riportavano le autorevolissime Relazioni alle quali facevo all’inizio accenno, verrebbero in considerazione i cc.dd. “filtri” all’accesso ovverosia un sistema di congegni idonei a ridimensionare la domanda di giustizia secondo il semplice (e quasi matematico) teorema secondo il quale meno contenzioso in entrata = meno arretrato, a parità di Giudici e di operatori amministrativi. Mi si consenta di non essere d’accordo con siffatta impostazione, non perchè il sottoscritto sia un amante del contenzioso a tutti i costi, ma in ragione di talune semplici considerazioni che cercherò qui di seguito solamente di sintetizzare. Ritengo, infatti, che, a parte il Nostro fortunato mondo del Giudizio Amministrativo - caratterizzato da Magistrati mediamente di alta specializzazione, competenti e professionalmente ineccepibili (nel sistema della giustizia amministrativa, in ragione di taluni specifici istituti processuali, una sentenza la si può ottenere anche solamente dopo quindici giorni dalla notificazione del ricorso) – la tento temuta “alluvione” da eccesso di contenzioso potrebbe essere di molto contenuta operando taluni correttivi ossia: a) la specializzazione dei Giudici per materia; b) il deciso e capillare potenziamento del sistema informatico della giustizia; c) la formazione del fascicolo di causa (già presente nel sistema della giustizia amministrativa da circa un decennio); d) i rinvii delle controversie ad Udienze anche molto ravvicinate; e) la creazione della figura del Giudice coordinatore, una sorta di primus inter pares, il quale coadiuva il Presidente dell’Organo Giurisdizionale nella distribuzione delle controversie ai Magistrati secondo le loro specializzazioni maturate nonché ne “misura” l’attività e l’efficacia affinchè la pronuncia della sentenza non possa (tendenzialmente) mai sforare i termini della “ragionevole durata”. Quella tratteggiata (direi, quasi, “tinteggiata”) è solamente una proposta, certamente perfettibile ed incompleta, ma che ha, ritengo, il pregio di non contrarre la domanda di giustizia con eventuali congegni dalla dubbia costituzionalità e di agire, viceversa, sulla “qualità” dell’ “offerta della giustizia”.

Il presente modesto contributo riflette, come sempre, unicamente le opinioni di colui che lo ha redatto non impegnando, in alcun modo, l’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti. 

Padova, lì 04.02.2010                                                                        

Giovanni Attilio De Martin

 
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