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INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2010 PDF Stampa E-mail
mercoledì 10 marzo 2010

 di VINCENZO BOREA, Presidente del TAR VENETO

 

Naturalmente l’esordio di questa mia relazione non può che prendere le mosse da un saluto e un ringraziamento per l’attenzione che si è voluta concedere a questa cerimonia veneziana da parte innanzi tutto delle autorità tutte che hanno voluto oggi essere qui presenti, saluto e ringraziamento che naturalmente estendo agli operatori che professionalmente seguono l’attività del Tribunale che mi onoro di rappresentare, e cioè agli avvocati innanzi tutto, abituali frequentatori delle nostre aule, insieme ai professori universitari di discipline processuali ed amministrative (che poi in definitiva sono anche avvocati), ai dirigenti e funzionari delle pubbliche amministrazioni, i quali, confezionando gli atti e assumendo le decisioni che poi finiscono davanti ai giudici del Tribunale attraverso l’intermediazione degli avvocati, in definitiva costituiscono in sostanza quel terzo, fondamentale lato del triangolo, per così dire, su cui si fonda l’esercizio della giustizia amministrativa.

Aggiungo che un ringraziamento va anche ai colleghi che sono qui presenti in rappresentanza del Consiglio di Presidenza, e sarà proprio a loro che fra poco rivolgerò una pressante preghiera.

Detto questo, in via preliminare, prima cioè di passare ad illustrare rapidamente, a braccio, per evitare all’uditorio la fatica di una lettura che sarebbe sicuramente noiosa, (anche se, naturalmente, parlare a braccio può talora andare a scapito della chiarezza, e di questo chiedo naturalmente perdono), i tre argomenti in cui si suddivide la relazione (la quale è stata naturalmente messa a disposizione dei volenterosi che vorranno leggerla per intero), prima di procedere, oltre, ripeto, anche quest’anno, come l’anno scorso, devo esprimere da un lato una preoccupazione ed da un altro lato un ringraziamento.

La preoccupazione consiste nel dover constatare che la situazione, già grave un anno fa, dovuta alla carenza di personale amministrativo, allorchè il mio arrivo coincise praticamente con l’abbandono anticipato del servizio da parte di ben due funzionari, il sig. Curreri e la sig.ra Scalise, è andata via via sempre più aggravandosi, culminando da ultimo con le dimissioni del Segretario Generale dott. Tessaro, il quale, come io avevo previsto dopo averlo conosciuto, ha vinto brillantemente il concorso a consigliere della Corte dei Conti ed ha anche avuto la fortuna di ottenere Venezia come prima sede: siamo tutti molto contenti per lui, un po’ meno per questo povero Tribunale, ed anzi appare un’ironia per me constatare che dopo essere stato quattro anni a Trieste praticamente senza Segretario Generale ed essere stato ben felice di sapere che venendo a Venezia avrei trovato il ruolo ricoperto, mi trovo di nuovo nella situazione di prima. Anche se, come meglio dirò tra poco, la tenacia e la dedizione dei pochi rimasti riesce, malgrado le difficoltà, a far procedere per il meglio l’apparato…

Ma non è solo questa la ragione della mia preoccupazione, perché a fronte di un organico tabellare di pianta organica di 28 unità di personale, escluso il dirigente, gli impiegati in servizio sono appena 21, con l’aggravante che uno di questi, tra i più anziani ed esperti, si accinge ad andare in pensione anticipata in corso d’anno (anzi, sarebbe già andato se non avesse accolto una preghiera a soprassedere almeno per qualche mese) mentre un’altra da parecchi mesi è assente per ragioni di salute e non si sa quando potrà rientrare.

E’ vero che, grazie alla disponibilità generosa della Regione, della Provincia e del Comune di Venezia, che qui vorrei sentitamente ringraziare, abbiamo con noi 5 ulteriori impiegati, ma si tratta di personale distaccato e quindi precario del senso più reale del termine, soggetto evidentemente a richiamo da parte delle Amministrazioni di appartenenza, o comunque indotto a rientrare in caso di inquadramenti migliorativi ( o anche solo in vista della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato)..

E’ vero poi, e qui voglio darne pubblicamente atto, che anche l’Associazione degli Avvocati Amministrativisti Veneti si mostra sensibile ai nostri problemi per voce del suo Presidente avv. Zambelli, il quale si è assunto l’onere, ciò di cui vivamente lo ringrazio, di fornirci al più presto un concreto supporto mediante la fattiva diretta collaborazione di uno o più impiegati..

Siamo in definitiva costretti non solo ad esercitare le necessarie pressioni sulla casa madre di Roma, e cioè sul Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa (casa madre la quale però, e lo dico con amarezza, non sembra amare molto i suoi figli o per lo meno non sembra amare molto il sottoscritto, visto che quando non si chiude dietro il più assoluto silenzio di fronte alle mie richieste nega il proprio aiuto trincerandosi dietro giustificazioni che spesso appaiono solo incomprensibilmente rigide e burocratiche, ben lontane da quel modello di gestione moderna, elastica ed efficiente in nome del quale a suo tempo si volle privatizzare il pubblico impiego), siamo costretti, insisto, anche a continuare nell’opera di sensibilizzazione delle autorità locali (con l’aiuto anche qui, come promesso, della Associazione degli Avvocati Amministrativisti), autorità le quali, come detto, ci lasciano vedere qualche raggio di sole, dato che hanno sempre dimostrato, qui a Venezia, di ben comprendere i problemi che il tribunale si trova ad affrontare, a differenza, ripeto, della inconcludente burocrazia che domina a Roma. A proposito della quale burocrazia, per dare un esempio, mi si dice che in relazione al progetto finalizzato approvato di recente per far fronte all’impegnativa necessità di accertare la mancanza di interesse ai ricorsi ultraquinquennali (si tratta di sottrarre alla polvere e…all’acqua migliaia e migliaia di fascicoli per poi preparare le lettere e aspettare le relative risposte), il personale che aveva già in via preventiva dato inizio al lavoro approfittando della relativa calma estiva verrà generosamente premiato… con il dimezzamento del compenso previsto. Spero di essere al più presto smentito…

Chiudo dicendo che vorrei approfittare di questa occasione, in presenza dei due rappresentanti del Consiglio di Presidenza, sul cui autorevole intervento nelle stanze romane pongo la più assoluta fiducia, per rinnovare l’appello, a chi ha il potere di decidere sui modi di garantire il buon funzionamento del Tribunale che mi onoro di presiedere, ad ascoltare con un po’ più di attenzione le richieste che finora inutilmente da Venezia come in precedenza da Trieste ho sempre sistematicamente visto cadere nel vuoto……

C’è però un’altra cosa (oltre alla sensibilità che dimostrano Regione, Provincia e Comune di Venezia, nonché gli Avvocati Veneti, che qui voglio accomunare nel mio ringraziamento) che devo aggiungere per concludere, e cioè una cosa che in questo panorama così preoccupante mi concede di non essere del tutto pessimista: ed è la constatazione della disponibilità assoluta, ed anzi vorrei dire la vera e propria dedizione con la quale il personale di questo Tribunale (e lo dico ora a conferma di una sensazione che già avevo avuto ormai più di un anno fa in occasione dell’emergenza acqua alta del 1 dicembre 2008) sta fronteggiando la difficile situazione al fine di garantire il buon funzionamento dell’ufficio e quindi della attività giurisdizionale, e cioè il prodotto che noi tutti insieme, giudici e impiegati, senza distinzione, siamo chiamati a confezionare su domanda dei cittadini e per essi dagli avvocati che li rappresentano.

Ci tengo a dare espressa testimonianza di questo con particolare convinzione, e non me ne voglia nessuno, alludo a coloro con i quali ho rapporti più diretti sia al primo che al secondo piano di questo prestigioso palazzo, se non faccio espressamente riferimento ad alcun nominativo, perché non posso nominarli tutti e non voglio fare torto a nessuno, non lo meriterebbero.

A tutti vada quindi il mio più caloroso ringraziamento, con la speranza che un giorno, prima di lasciare il servizio, il che avverrà nell’ottobre dell’anno venturo, io possa riuscire ad ottenere, da chi può decidere, una qualche risposta positiva sulle cose e sui riconoscimenti per i quali mi è stato chiesto di adoperarmi: anche se ora mi viene un dubbio: non sarà che a Roma non mi ascoltano perché sanno che comunque l’ufficio andrà avanti per il meglio proprio grazie alla abnegazione e allo spirito di sacrificio e al senso di responsabilità che anima la sempre più sparuta compagnia che regge la linea del fronte nelle acque della laguna di Venezia?

 

Passo ora alla prima parte, e cioè alle statistiche.

Il numero dei ricorsi introitati nel 2009 ammonta a 2634, con un calo rispetto al 2008 di 73 unità (2707). Il dato non sarebbe di per sé significativo, se non fosse che a livello nazionale, stando a quanto comunicato dal Presidente Salvatore nella sua relazione del’11 febbraio scorso, si è registrato un calo generalizzato rispetto all’anno precedente di circa 2000 ricorsi (da circa 57.000 a circa 55.000), con punte in discesa a dir poco preoccupanti, come ad esempio in Piemonte, dove si è passati da 1659 a 1395, divenendo ancora più solido che in passato il primato di virtuosità che questa Regione detiene davanti a Lombardia, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Veneto sul piano del rapporto popolazione-numero ricorsi. Si sarebbe tentati di affermare che il calo di ricorsi sia conseguenza della crisi economica che l’Italia e non solo l’Italia sta attraversando, se non fosse per l’esistenza di altri dati che si pongono in controtendenza, come ad es. il numero degli appelli al Consiglio di Stato, che è cresciuto rispetto all’anno precedente, passando da 10.375 a 10618: e si sa che i ricorsi portati dalla periferia alla capitale sono sensibilmente più cari… Meglio dunque non azzardare giudizi che potrebbero essere smentiti l’anno prossimo.

Qualche osservazione si può fare sul riparto per materie dei ricorsi introitati nel 2009 rispetto all’anno precedente, dovendosi peraltro premettere che i dati che andrò a fornire vanno presi con particolare cautela a causa della parziale disomogeneità dei criteri di raccolta dovuta alla diversa metodologia introdotta dall’avvio, in corso d’anno, del Nuovo Sistema Informatico della Giustizia Amministrativa (in gergo NSIGA).

In sintesi, ricordato che anche quest’anno come negli anni precedenti il numero più alto di ricorsi riguarda l’edilizia-urbanistica (peraltro in consistente calo, passando da 880 e 706), devo per contro segnalare un forte aumento del contenzioso sia in materia di appalti di lavori, servizi e forniture (da 207 a 271) che di extracomunitari ( cresciuti da 300 a 353). In calo invece il commercio (da 186 a 116) e, come prevedibile, anche il pubblico impiego (da 147 a 62).

Resta in definitiva confermato che ciascuna delle tre sezioni ha una materia prevalente, e cioè gli appalti in prima (271 su 575), l’edilizia-urbanistica in seconda (706 su 1121) e gli extracomunitari in terza (353 su 938).

Colpisce a questo punto, naturalmente, la squilibrio evidente del valore quantitativo dei ricorsi fra le tre sezioni, così come risulta in base ai dati del 2009, mentre, per quanto riguarda i ricorsi pendenti, la suddivisione numerica appare parzialmente meno squilibrata, ma occorre ovviamente tener conto di alcuni recenti mutamenti nel tipo di contenzioso, basti pensare alla sostanziale scomparsa del pubblico impiego e, per contro, al numero sempre crescente delle controversie introdotte da extracomunitari, fino a pochi anni fa inesistenti.

A questo punto si può maliziosamente osservare che il rilevato squilibrio numerico tra le tre sezioni (squilibrio che potrebbe indurre a pensare …che in prima si lavori di meno…) dovrebbe forse suggerire l’opportunità di una revisione del criterio di riparto, anche se, devo dire, l’esigenza ovvia di evitare contrasti di giurisprudenza sulle stesse questioni di diritto mi consiglia di lasciare, almeno per ora, le cose come stanno ( mi riferisco ovviamente alle tre materie che appaiono prevalenti in ciascuna delle tre sezioni): il che non toglie che si potrebbero fare degli aggiustamenti su altre materie.

A difesa poi della prima sezione appare quasi superfluo dire che il minor numero di ricorsi introitati trova compensazione nell’elevato numero di appalti, quasi mai semplici e per di più aggravati dalla pesante responsabilità di non poter avere pentimenti dopo la quasi contestuale pubblicazione del dispositivo…

Vengo alla produttività.

Dico subito che il calo di provvedimenti decisori (da 4000 a 3910) oltre che essere di scarsa entità è anche deviante, perché in realtà il numero di sentenze collegiali vere e proprie è aumentato, passando da 1659 a 1798, dato che ciò che è calato è il numero dei decreti decisori (CMC, perenzioni, ecc.) sceso da 2341 a 2112 per ragioni che certamente non sono imputabili alla struttura, quanto piuttosto alle onerose difficoltà provocate dal dimezzamento del limite della perenzione lunga da 10 a 5 anni, che ha sostanzialmente sinora impedito, in attesa dell’avvio dell’apposito progetto finalizzato cui dianzi ho fatto cenno, la predisposizione dei ruoli aggiunti cosiddetti di verifica come era da utilissima prassi in precedenza.

Un certo calo invece si registra per ciò che attiene alle sentenze cosiddette brevi rese in camera di consiglio (da 522 a 367), ma non darei alla circostanza particolare significato, dato che la scelta di questo strumento dipende da una pluralità di fattori imprevedibili e affidati ad un amplissimo potere discrezionale E questo dico sempre che, in questo caso come in altri precedentemente visti, il cambio di sistema informatico non abbia portato ad errori di calcolo).

In definitiva rilevo che la produzione di quasi 1800 sentenze pubblicate, detraendo peraltro le circa 160 (equamente divise) dovute alla buona volontà… e alla nostalgia dei tre presidenti, comporta una media per ognuno dei dodici relatori pari ad oltre 130 pro capite, brevi comprese, naturalmente). Il che, a parte qualche isolata e timida protesta nei confronti di un asserito eccesso di carico, dato che di fatto debbo dare atto a tutti i miei colleghi che se qualcosa manca in questo Tribunale non è certo la loro disponibilità al lavoro, così come del resto, e l’ho sottolineato in precedenza, al personale della struttura, mi sembra un ottimo risultato, così come un ottimo risultato, a conferma di una tendenza ormai inarrestabile nel nostro come in tutti gli altri tribunali, è la diminuzione dei ricorsi pendenti, scesi dai 19477 del 31 dicembre 2008 ai 18088 del 31 dicembre 2009. Il che tra l’altro conferma che almeno tre quarti dell’arretrato è da considerare ormai come inesistente, in quanto destinato ad essere falcidiato da perenzioni ed S.C.I., una volta portate a termine le verifiche che si spera entro breve tempo di poter completare grazie al progetto finalizzato al quale ho fatto cenno.

Quanto ai tipi di sentenza, da notare che rispetto all’anno precedente, nel quale grosso modo accoglimenti, rigetti e pronunce dichiarative si equivalevano intorno al 32-34%, nel 2009 si riscontra una maggiore severità, dato che i rigetti sfiorano il 40%, mentre gli accoglimenti si arrestano al 32%. Non credo però che il dato sia particolarmente significativo…

In leggero aumento il numero delle ordinanze collegiali cautelari, salite da 971 a 1030, il che vuol dire, tenuto conto dei casi frequentissimi in cui l’istanza cautelare viene rinunciata o rinviata al merito, che in pratica due ricorsi su tre sono muniti di istanza cautelare: e ben se ne spiega il motivo…

 

Passo ora alla seconda parte di questa mia relazione, e cioè alla segnalazione di quelle che a parere dei colleghi delle altre sezioni, oltre che mio, meritano particolarmente di essere ricordate.

Cominciando dalla terza sezione, mi pare opportuno, anche questa volta, prendere le mosse dal sempre delicatissimo contenzioso in tema di cittadini extracomunitari, con riguardo essenzialmente, tenuto conto della ben nota e per molti versi criticabile diga creata dal legislatore, il quale per una stessa materia ha ritenuto di individuare due diversi giudici, ai ricorsi in materia di permessi di soggiorno, visto che per le espulsioni (spessissimo conseguenti ai dinieghi di rilascio o rinnovo dei suddetti permessi di soggiorno) competente è invece il giudice di pace.

Comincio con la 42/09, nella quale si afferma che l’esibizione di documentazione sulla attività lavorativa ritenuta falsa non comporta in via automatica diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, ove comunque in base ad elementi sopravvenuti risulti comunque comprovata, al momento di adozione dell’atto la percezione di un reddito lecito ed adeguato.

Di particolare interesse è anche la 972/09, con la quale seguendosi, CdS n. 1340/09, si ribadisce che la disciplina di cui all’art. 4, comma 1, lett. b) del D.L.vo n. 286/98, che equipara agli effetti della preclusione all’ingresso e permanenza in Italia, la sentenza che irroga la pena a seguito di patteggiamento a quella di condanna con rito ordinario, non può trovare applicazione per il passato, dato che in tal modo verrebbe meno il presupposto su cui si fonda l’istituto del patteggiamento, vale a dire la consapevolezza da parte dell’imputato delle conseguenze, penali e non, cui va incontro chiedendo o accettando il rito del patteggiamento.

Ancora, interessante mi pare la 1801/09, con la quale si è ritenuto illegittimo il diniego opposto ad una domanda di rilascio di carta di soggiorno in forza di un giudizio di inidoneità dell’alloggio a disposizione del richiedente basato sulla presenza di tramezzi i quali viceversa, in quanto facilmente rimovibili, non sono stati ritenuti tali da incidere negativamente, come del resto attestato dal comune competente, sui richiesti requisiti di idoneità igienico sanitaria con riguardo al numero delle persone componenti il nucleo familiare.

Ricordo infine la 2271/09, con la quale si è sostenuto l’insufficienza, al fine di negare la richiesta regolarizzazione, di una mera presa d’atto di una segnalazione al sistema Schengen relativa ad una disposta espulsione da altro paese comunitario, occorrendo invece valutare in concreto, in presenza della variegata tipologia delle possibili cause di espulsione, se le circostanze di fatto siano o meno ostative in base alle norme interne alla regolarizzazione stessa.

In materia di ambiente, settore nel quale pure, come ricordo grazie alla mia esperienza triestina “ a tutto campo”, essendo colà operativa una unica sezione, si incontrano grandi difficoltà interpretative in una materia la cui disciplina normativa appare particolarmente complessa, anche dal punto di vista tecnico, credo meritino una citazione le seguenti pronunce:

la 40/09, la quale puntualizza che gli obblighi di diligenza del produttore o detentore di rifiuti si ritengono assolti solo al momento del conferimento dei rifiuti stessi a soggetto autorizzato allo smaltimento, conferimento che deve essere comprovato mediante conservazione ed esibizione di apposito formulario di identificazione rifiuti datato e controfirmato dal ricevente;

la 2454/09, che afferma la natura sanzionatoria, e non già di provvedimento contingibile e urgente, dell’ordinanza di rimozione rifiuti abbandonati ex art. 192 D.L.vo n. 152/06, ferma restando peraltro la competenza sindacale come da detta disposizione, successiva all’art. 107 del T.U. n. 267/00, espressamente si prevede;

merita infine una citazione la 1539/09, con la quale, sul solco della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, si bacchetta una amministrazione colpevole di aver suddiviso in lotti distinti la progettazione di un’opera pubblica al fine di rimanere al di sotto del limite dimensionale che impone la valutazione di impatto ambientale.

Di grande interesse, in materia sanitaria, mi pare la pronuncia 1229/09, nella quale si afferma la piena legittimità di un accordo fra Regioni (nella specie Veneto ed Emilia-Romagna) al fine di regolare la mobilità interregionale dei soggetti che chiedono assistenza sanitaria, anche in assenza del pur previsto decreto ministeriale di fissazione di criteri uniformi per compensare la predetta mobilità.

Due pronunce si segnalano in tema di competenza:

con una prima, la n. 2455/09, si risolve a favore dei comuni la vexata quaestio consistente nel dubbio se ai comuni stessi spetti o meno la competenza a revocare il mandato ai propri rappresentanti a suo tempo nominati in seno alle IPAB, in virtù della asserita fiduciarietà del rapporto, competenza che naturalmente lascia fermo il potere di revoca comunque spettante alla Regione nell’esercizio della generale funzione di vigilanza ad essa ex lege affidato (Ma è di pochi giorni fa un ricorso della stessa Regione che rivendica interamente ed esclusivamente per sé la competenza in materia, richiamando sul punto una recente pronuncia della V Sezione del C. di. S.);

con la seconda, la n. 1486/09, si dà una felice soluzione, se pur necessariamente parziale, al contrasto esistente tra la lettera di cui alla disposizione contenuta nell’art. 26, comma 2, della L. TAR, la quale impone, in caso accoglimento di una doglianza di incompetenza, l’annullamento con rinvio “dell’affare” alla autorità competente (nel presupposto che al giudice non è consentito dettare regole di condotta ad un soggetto rimasto estraneo al giudizio) e l’esigenza di garantire l’applicazione del principio di effettività della tutela, esigenza in base alla quale si considera un diniego di giustizia l’assorbimento dei motivi: premesso che il problema appare ora di grande attualità, posto che l’art. 45, comma 3, dello schema di decreto legislativo recante il codice del processo amministrativo dispone testualmente che il giudice, quando accoglie il ricorso, deve comunque esaminare tutti i motivi, la pronuncia in esame ineccepibilmente dice che non si pone nessun problema di violazione, del principio del contraddittorio nel caso di incompetenza di tipo infrasoggettivo, cioè tra organi di uno stesso ente (nella specie presidente della giunta regionale e dirigente), con ciò potendosi procedere nell’esame di tutti gli altri motivi pur dopo aver ritenuto fondato il dedotto vizio di incompetenza.

Il discorso resta diverso, ovviamente, in caso di incompetenza che coinvolga soggetti di diritto distinti (come ad es. nel caso visto sopra, tra Comuni e Regione), anche qui, a mio modesto avviso, potendosi comunque trovare una via d’uscita senza necessità di rinvio dell’affare alla autorità competente, ricorrendo cioè ad una semplice integrazione del contraddittorio iussu iudicis,

Infine, di particolare interesse, anche per il clamore suscitato dalla vicenda, appare, in materia di commercio su aree pubbliche la pronuncia 1842/09, che ha affermato il legittimo esercizio del potere discrezionale della P.A. di riordinare la collocazione dei posteggi di venditori di articoli per turisti sulla base della necessità di tutelare aree di pregio storico monumentale (siamo al Ponte di Rialto, e ricordiamo, per analogia, lo sgombero dei posteggi venditori di mangime per colombi in Piazza S. Marco) a nulla rilevando in contrario che si disponga la rimozione di impianti che pure in lontani tempi precedenti erano stati consentiti.

 

Possiamo ora porre l’attenzione sulla seconda sezione, ove domina incontrastata la materia dell’edilizia-urbanistica, alla quale appartengono, come si è accennato nella prima parte di questa relazione, la stragrande maggioranza dei ricorsi sia pendenti che introitati nel 2009 di competenza della sezione stessa.

La prima citazione credo spetti di diritto alle famose torri di Jesolo, fortemente volute dal Comune ma altrettanto fieramente avversate da taluni cittadini con l’autorevole appoggio della Sovrintendenza, alla quale la Sezione ha dato ragione con le pronunce nn. 1950 e 1951/09, nelle quali si è affermato che l’area interessata, in quanto ricadente nella fascia protetta di 300 m. dalla battigia senza rivestire, contrariamente a quanto ex adverso affermato, le caratteristiche per le quali l’art. 142 del cosiddetto decreto Urbani consente deroghe al vincolo, non può essere interessata da interventi senza preventiva verifica di compatibilità paesaggistica. La vicenda, come si può immaginare, trattandosi di tre corpi di fabbrica che prevedono ben 21 piani di altezza, muove grossi interessi e non a caso le due pronunce sono state prontamente portate alla attenzione di Palazzo Spada, ove ora si trovano in attesa di giudizio.

Sotto due diversi profili interessante è la pronuncia n. 2668/09, da un lato perché si afferma l’obbligo del sindaco di un comune di pronunciarsi su di una domanda di adozione di misure contingibili ed urgenti nell’esercizio del potere di autotutela presentata da un soggetto- previamente ritenuto legittimato in quanto titolare di un interesse concreto ad ottenere quanto chiede- intesa a far mettere in sicurezza un muro pericolante, e, da un altro lato, perché si è ritenuto che, in caso di istanza di risarcimento danni nei confronti del sindaco inadempiente nella sua veste di ufficiale di governo, deve essere evocato in giudizio il Ministero dell’Interno, spettando allo stato rispondere sull’istanza risarcitoria ( ricordo che un paio d’anni or sono una vicenda analoga è stata risolta a Trieste nello stesso senso).

Ricordo ancora la 1196/09, nella quale si esclude l’illegittimità di un atto di annullamento d’ufficio in autotutela in ragione della sola necessità di ripristino della legalità violata, in un caso in cui il soggetto interessato aveva ottenuto l’adozione dell’atto a lui favorevole presentando documentazione falsa con conseguente mancanza di qualunque esigenza di tutela dell’affidamento.

Sul delicato tema del riparto di competenze tra Comuni e Regioni in materia di urbanistica si pronuncia la n. 396/09, nella quale si afferma la legittimità di una modifica d’ufficio introdotta direttamente dalla Regione ad una variante di PRG, modifica d’ufficio recante restituzione a destinazione agricola, in forza di una relazione tecnica attestante la pericolosità geologica del sito, di un’area dal comune ritenuta meritevole di destinazione residenziale.

 Sempre in materia urbanistica, anche se attinente piuttosto alle problematiche in tema di elusione o violazione del giudicato nel caso di reiterazione di un provvedimento già annullato in sede giurisdizionale, ricordo la pronuncia n. 2685/09, che ha ritenuto legittima una delibera recante diniego di approvazione di un piano di lottizzazione nella quale siano state esplicitate le ragioni ostative (attinenti a esigenze di sicurezza stradale e di razionale utilizzo del territorio) la cui mancanza aveva in precedenza portato all’annullamento della delibera di analogo tenore.

Di rilievo è anche la 2372/09, ove si afferma la legittima applicabilità agli abusi edilizi delle sanzioni previste dalla normativa vigente al momento dell’irrogazione della sanzione, in ragione della mancanza di un generale principio di irretroattività della legge (prevista solo per la legge penale).

Ancora, occasionata anche qui da una vicenda di abuso edilizio, ma in realtà applicativa di principi generali d’ordine processuale, è la pronuncia n. 268/09, nella quale si è affermata la mancanza di interesse a censurare l’incompetenza del dirigente (in luogo del sindaco) in caso di sopravvenuta attribuzione formale della competenza stessa al dirigente: il tutto in armonia al principio di conservazione degli atti e di economicità dei giudizi.

Di particolare interesse è poi una pronuncia in tema di danno da ritardo, con la quale (n. 2223/09) si afferma che non spetta alcun risarcimento in caso di ritardo (nel rilascio di una concessione edilizia o permesso di costruire che dir si voglia) allorchè risulti l’esecuzione di manufatti diversi da quelli assentiti.

Da segnalare infine, per concludere con l’edilizia-urbanistica, la pronuncia n. 1458/09, nella quale si è ribadito che la realizzazione di insediamenti industriali ed artigianali non è dovuto il contributo per costo di costruzione.

Due pronunce meritano di essere ricordate al di fuori della suddetta materia della edilizia-urbanistica:

la n. 2470/09, nella quale si afferma l’inapplicabilità dell’istituto del silenzio-assenso in tema di rinnovo di concessioni demaniali;

la n. 728/09, che riafferma la giurisdizione del g. a. in tema di assegnazione (e revoca, o decadenza) di alloggi di edilizia residenziale pubblica, trattandosi di concessione di beni pubblici (art. 5 Legge TAR).

 

Vengo infine alla prima sezione.

Cominciamo naturalmente dagli appalti, che rappresentano, come detto il maggior onere della sezione, sia per quantità (siamo al 50% dei ricorsi) che per livello di impegno richiesto.

Vorrei innanzi tutto ricordare alcune sentenze con le quali, tra le tante, ribadendosi una linea interpretativa risalente, si è continuato ad affermare, in tema di affidamento del servizio distribuzione gas ai sensi del D.Lvo n. 164/00, l’illegittimità della attribuzione di un peso ponderale preponderante, nell’ambito dei criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, all’elemento prezzo (nei casi esaminati intorno al 70%) rispetto alla qualità tecnica (nn. 1867/09; 2016/09; 2017/09). Ritengo in proposito di dover peraltro sottolineare che il consolidamento della giurisprudenza della Sezione nel senso sopra indicato sembra infine aver convinto le amministrazioni comunali ad adeguarsi, come dimostra il caso affrontato con la pronuncia n. 2575/09, nella quale è emerso un ridimensionamento dell’elemento prezzo sino al valore del 50%, come tale ritenuto finalmente congruo dalla sezione: ciò che, si spera, farà nei fatti venire meno anche uno sgradevole contrasto di interpretazione sul punto sin qui venutosi a creare con il giudice d’appello.

Sempre in materia di appalti, segnalo:

la 2247/09, nella quale si è ritenuto che la società Poste Italiane, pur se ricompresa tra gli enti aggiudicatari di cui al D.lvo n. 163/06, in quanto dedita in prevalenza ad attività aventi carattere industriale e commerciale, non è perciò solo assimilabile alle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1 del D.L.vo n. 165/01 (con la conseguenza che legittimamente una fornitura a favore della suddetta società non è stata considerata come requisito di idoneità tecnica ed economica utile ai fini dell’ammissione ad una gara che richiedeva referenze presso pubbliche Amministrazioni in senso stretto);

la 1491/09, la quale (contrariamente a quanto sembra sostenuto in un parere dalla Autorità di Vigilanza) ha affermato l’illegittimità di una esclusione da una gara di un soggetto a suo tempo colpito da un decreto penale in una fattispecie medio tempore depenalizzata ex lege;

la 879/09, con la quale si è affermato che non può essere considerata “affidatario diretto” (come tale da escludere dalla partecipazione a procedure per il conseguimento di pubblici appalti, ai sensi dell’art. 113, comma 6. D.L.vo n. 267/00) una società mista pubblico-privata nel caso in cui il socio privato sia stato scelto a seguito di gara;

la 1242/09, che ha dichiarato legittima la partecipazione ad una gara d’appalto per l’affidamento del servizio pulizia locali ad un’impresa con personale in servizio part time con orario inferiore ai minimi contrattuali consentiti ove risulti che l’orario è integrato con prestazione di servizi in altri appalti;

la 1526/09, sulla legittimità della dichiarazione ex art. 38 D.Lvo n. 163/06 del legale rappresentante della società anche con riguardo ad altri soggetti, ai sensi dell’art. 47 D.L.vo n. 445/00;

la 2740/09, nella quale, prendendo spunto da C. di S., VI, 4905/09, si sono sottolineati i rischi (di segnalazione all’Autorità di vigilanza con conseguente sospensione… a divinis per un anno) che corrono gli imprenditori partecipanti a gare ove sia loro consentito, come appunto la suddetta decisione consente, di valutare a priori la non gravità di determinati reati o inadempienze contributive nel caso in cui per tal via pervengano malauguratamente ad omettere la relativa dichiarazione;

la 2741/09, nella quale si è affermato che l’introduzione nell’ordinamento interno dell’istituto dell’avvalimento, inteso il termine in senso specifico (art. 49 D.L.vo n. 163/06) non ha comportato il venir meno della possibilità, per i partecipanti alle gare, di avvalersi (inteso il termine in senso generico) dell’opera o dell’attività di altro soggetto così come in origine previsto nell’art. 19, comma 1 ter della L. n. 109/94 ed ora nell’art. 53 del predetto D.L.vo n. 163/06.

Tra le pronunce che non riguardano appalti, vorrei ricordare:

la 2303/09, che ha affermato la legittimità dei criteri seguiti, in caso di nascita di un comune per scorporo, per individuare i beni del patrimonio mobiliare ed immobiliare da attribuire alla titolarità del nuovo soggetto (criteri consistenti essenzialmente, per il patrimonio mobiliare, nel valore percentuale della quantità di popolazione risultante dopo lo scorporo, e, per quello immobiliare, nella collocazione territoriale);

la 2601/09, nella quale si è ritenuto illegittimo un atto regionale di diniego di un contributo ad un Comune per la realizzazione di una scuola per avere il comune fatto ricorso a tal fine di un leasing finanziario, nel convincimento, ritenuto erroneo dalla sezione, che tra i criteri per la concessione del contributo non fosse possibile ricomprendere il suddetto metodo di finanziamento.

Singolari e da ricordare sono due pronunce in materia di disciplina di concessioni marittime per attività di rimorchio, entrambe ispirate al principio del favore della libera attività imprenditoriale rispetto al quale il regime concessorio per attività di rimorchio deve essere inteso in senso restrittivo: con la prima di queste, 1245/09, si è affermato che è libera, e non soggetta a regime concessorio l’attività di rimorchio con riguardo ad un rigassificatore posto al largo della costa, non potendo la relativa piattaforma essere ricompresa nell’area portuale né essere considerata accessibile ad un a pluralità di utenti; con la seconda, n. 2639/09, si è analogamente affermato che l’attività di rimorchio trasporto verso il porto di chiatte da carico provenienti da navi al largo è libera e non è soggetto a regime di concessione portuale, dovendosi distinguere il rimorchio trasporto dal rimorchio manovra, in quest’ultimo caso soltanto ricorrendo esigenze di sicurezza con conseguente necessità di ricorrere al soggetto titolare di concessione portuale.

Per chiudere ricordo che numerose, sono state, purtroppo, come ogni anno le sentenze che dichiarano il difetto di giurisdizione (ad es. in materia di decadenza o revoca contributi, di canoni di concessioni demaniali, di procedure di avanzamento di pubblici impiegati nell’ambito di una stessa area, ecc.).... E dico purtroppo perchè ogni volta, a parte casi clamorosi quanto rari, mi pare si tratti in sostanza di un diniego di giustizia, anche se ora, dopo le ben note pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione sulla cosiddetta translatio iudicii, i danni per i malcapitati sono sensibilmente ridotti.

 

Passo ora alla terza e ultima parte di questa mia relazione, per intrattenermi, come di consueto, naturalmente in modo il più sintetico possibile, su alcune considerazioni in ordine allo stato attuale della giustizia amministrativa.

Negli anni scorsi, e cioè sia a Trieste nel 2008 che qui a Venezia l’anno scorso, mi ero soffermato con preoccupazione sulle conseguenze del duplice attacco portato dalle SS.UU della Cassazione mirante da un lato a far venir meno la cosiddetta pregiudiziale amministrativa al fine di introdurre in via autonoma l’azione risarcitoria per lesione di interessi legittimi e, da un altro lato, a sbarrare la strada al giudice amministrativo nei suoi tentativi di conoscere anche della sorte del contratto in caso di annullamento dell’aggiudicazione in tema di appalti.

Avevo sottolineato, in particolare, quella che a mio giudizio appariva come una stretta correlazione, sul piano delle conseguenze, fra i due pur distinti arresti della cassazione, dato che in entrambi i casi si veniva in sostanza a sostituire l’azione di annullamento, che costituisce la ragione stessa dell’esistenza del giudice amministrativo nella sua specialità, sin dalle sue lontane origini, con un’ordinaria azione risarcitoria.

Sembrava evidente, infatti, qual era lo scopo cui mirava la cassazione: su di un piano generale, e cioè con riguardo alla generalità delle azioni di annullamento, si offriva la possibilità di sostituire, nel rispetto non più di un stretto termine di decadenza, bensì entro il normale termine di prescrizione quinquennale, tale azione con un’azione risarcitoria per equivalente, in sostanza chiedendosi al g.a. (cui spetta pronunciarsi anche sull’azione risarcitoria, per dictum della Corte Costituzionale con la sent. n. 204/04 e non certo per scelta della cassazione) di disapplicare l’atto ritenuto lesivo, mentre in particolare, con riguardo al contenzioso in materia di appalti, allo stesso risultato si perveniva, anche a prescindere dalla imposizione della suddetta regola generale di alternatività tra azione di annullamento e azione risarcitoria, vanificando in sostanza ogni concreta possibilità di conseguire con la necessaria tempestività la reintegrazione in forma specifica a seguito dell’annullamento della aggiudicazione, dato che per ottenere tale risultato, con tanti saluti al principio di concentrazione, inutilmente affermato nella suddetta sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004, occorreva cambiare treno e ottenere una pronuncia di un altro giudice, al cui cospetto, per di più, secondo la prevalente dottrina, il nostro povero ricorrente neppure avrebbe potuto direttamente presentarsi, spettando tale iniziativa alla sola amministrazione appaltante. 

In conclusione, se tale duplice attacco a tenaglia avesse potuto divenire vincente, nonostante le tenaci resistenze opposte (peraltro in ordine alla sola questione della pregiudiziale, si veda in proposito da ultimo l’appassionata ordinanza della VI Sez. del C. di S. n. 2436 del 21 aprile 2009, dato che invece appaiono sostanzialmente concordi giurisprudenza e dottrina nel ritenere il contratto inattaccabile da parte del giudice amministrativo, alla stregua della normativa sino ad ora vigente) io credo che l’inevitabile svilimento che ne sarebbe derivato in danno dell’azione di annullamento in quanto per un verso, in via generale sostituibile, sul piano del concreto soddisfacimento di interessi, dall’azione risarcitoria per equivalente, e per un altro verso, quanto agli appalti in particolare, resa sostanzialmente inutile ai fini della reintegrazione in forma specifica, avrebbe condotto alla fine della stessa ragion d’essere  del giudice amministrativo come giudice speciale cui spetta il potere di annullamento degli atti amministrativi illegittimi: non vi sarebbe quindi più in via di principio alcun ragionevole impedimento a far rientrare la giustizia amministrativa nell’alveo della giustizia ordinaria.

Sarebbe stata questa io credo, di fatto, la conclusione della vicenda, da taluno certamente auspicata, ma non da coloro che temono invece che dalla scomparsa del giudice amministrativo possa derivare, come a mio giudizio già avvenuto con la cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego, una diminuzione di tutela dei soggetti privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

Ed era appunto questo l’obiettivo perseguito dalle SS.UU. in nome di quel principio di nomofilachia ad esse rimesso dall’ordinamento che a suo tempo, nel 1998, scatenò quella fiera opposizione all’attribuzione al g.a. della giurisdizione esclusiva generalizzata nelle materie dei servizi pubblici e dell’assetto del territorio che portò poi alla ben nota e già richiamata distruttiva sent. n. 204/04 (con la quale peraltro, a mo’ di contentino e peraltro nell’evidente malumore delle SS.UU., le quali sin dalla sent. n. 500 del ’99 ritenevano di loro diretta spettanza l’azione risarcitoria per lesione di interessi legittimi, si ritenne di spettanza del giudice preposto alla tutela degli interessi legittimi assicurarne anche la tutela risarcitoria).

Detto questo, occorre dire però che oggi, la situazione sta per cambiare radicalmente, dato che, e la cosa è davanti agli occhi di tutti, entrambe le problematiche poste, pregiudiziale amministrativa e giurisdizione sul contratto, appaiono superate in forza dell’ormai prossima entrata in vigore di due novelle legislative che necessariamente imporranno ottiche di valutazione completamente diverse.

Alludo naturalmente all’attuazione delle deleghe per il riassetto della disciplina del processo amministrativo e per l’attuazione della direttiva ricorsi C.E. n. 66/07, di cui rispettivamente all’art. 44 della L. n. 69/09 e ( vedi caso) ancora all’art. 44 della l. n. 88/09, attuazione che si sta completando in queste settimane con i relativi testi già messi a disposizione degli operatori, sia pur naturalmente essendo necessario tenere conto che si tratta di testi provvisori ai quali potranno essere apportate ulteriori modifiche prima della approvazione definitiva.

Ma credo che, per quanto qui interessa, le eventuali modifiche ulteriori non potranno essere tali da stravolgere l’impostazione di fondo che ispira i due testi (con la precisazione che la nuova disciplina in materia di ricorsi è destinata ovviamente ad essere inglobata nel testo recante il riassetto della disciplina del processo amministrativo, più semplicemente definito codice del processo amministrativo).

E cominciamo dalla pregiudiziale.

L’art. 39 dello schema così dispone, sotto la rubrica “azione di condanna”:

1. Chiunque vi abbia interesse può chiedere la condanna dell’amministrazione al pagamento di somme di denaro o all’adozione di ogni altra misura idonea a tutelare la posizione giuridica soggettiva, non conseguibile con il tempestivo esercizio delle altre azioni.

2. L’azione di condanna può essere proposta contestualmente ad ogni altra azione o in via autonoma.

3. Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio o dal mancato esercizio dell’attività amministrativa. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall’articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica.

4. L’azione di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centottanta giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e può escludere i danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esercizio dei mezzi di tutela o l’invito all’autotutela.

5. Per il risarcimento del danno cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 4 non decorre fintanto che perdura l’inadempimento.

6. Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o comunque sino a centottanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”.

Naturalmente è la disposizione di cui al quarto comma quella che ci interessa, unitamente, in subordine, a quella di cui al sesto comma.

 In breve, dalle due disposizioni citate risulta che, ferma restando, a livello di semplice facoltà, peraltro, la scelta di proporre la domanda risarcitoria congiuntamente a quella d’annullamento (ovvero nel corso del relativo giudizio), si prevede in primo luogo, in evidente ossequio al principio di delega contenuto nel primo comma della norma delegante che impone di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza …delle giurisdizioni superiori (e qui si deve leggere SS.UU.) l’azione autonoma di risarcimento per lesione di interessi legittimi, e cioè sganciata dall’azione di annullamento. La vittoria delle SS.UU. però non è completa, visto che tale azione viene assoggettata ad un (relativamente) breve termine di decadenza di centottanta giorni, abbandonandosi quindi da parte del legislatore la tesi originaria delle stesse SS.UU secondo la quale l’azione di condanna al risarcimento da lesione di interesse legittimo presuppone che la situazione soggettiva azionata sia un diritto, come tale prescrittibile in cinque anni: il legislatore aderisce invece alla interpretazione formulata dalla Corte Costituzionale nella ricordata sentenza n. 204, secondo la quale, com’è noto, proprio nell’intento di giustificarne l’attribuzione al g.a., in applicazione del principio di concentrazione ed effettività della tutela, l’azione risarcitoria v iene configurata semplicemente “come uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della P.A.”. E poco importa ormai, che nella ratio che ispira la suddetta pronuncia del giudice delle leggi l’aggettivo ulteriore fosse da intendere come pacifica accettazione della natura pregiudiziale della domanda d’annullamento per poter accedere alla domanda risarcitoria (ulteriore).

Appare evidente che il legislatore ha voluto mettere fine, con una soluzione di compromesso, alla quale ora dobbiamo tutti inchinarci avendola in effetti da tempo invocata, alla lunga diatriba che da anni divide le due massime giurisdizioni superiori, SS.UU e Consiglio di Stato; soluzione di compromesso che consiste da un lato nel fatto di aver fatto salvo il principio della autonomia dell’azione risarcitoria, e da un altro lato, nell’aver quanto meno avuto cura di limitare nel tempo l’incertezza sulla sorte dell’assetto dato dall’atto contestato al rapporto dallo stesso regolato e, soprattutto, di rendere meno sanguinosa la ferita inferta alla cosiddetta presunzione di legittimità dell’atto medesimo: il tutto pur formalmente rimanendo evidente, come autorevolmente è stato osservato, la pericolosa falla costituita da quella che si configura come una sostanziale disapplicazione dell’atto impugnato.

Da segnalare poi le cautele con le quali la norma (secondo periodo del comma 4) si preoccupa di circoscrivere e limitare i costi che per le pubbliche amministrazioni possono comportare le azioni risarcitorie, in particolare lasciando intendere che bene farebbero i gli interessati, onde evitare di incappare nelle sabbie mobili del 1227, che possono al limite di fatto vanificare le domande azionate, ad impugnare tempestivamente gli atti ritenuti lesivi, salva naturalmente la contestualità dell’istanza risarcitoria…il tutto come sinora ritenuto nella generalità dei casi in nome della pregiudizialità.

Concludo osservando che la disposizione non si limita a contemplare l’azione risarcitoria a causa di lesione prodotta da un atto amministrativo, bensì tale lesione riconduce, oltre che ad un atto, anche ad un fatto, dall’avverarsi del quale decorre il termine decadenziale di centottanta giorni a prescindere, sembra di capire, dall’adozione di un provvedimento. Sembra di dover ritenere che qui il legislatore configuri la possibile lesione di un interesse legittimo anche da parte di semplici comportamenti, sulla scia del noto arresto della Corte Costituzionale n. 191 del 2006, con il quale, temperandosi il rigore  con il quale la 204/04 aveva limitato l’attribuzione della giurisdizione al g.a. alle materie in cui la P.A. agisce come autorità sovraordinata alla parte privata, per tal via giungendo a sottrarre al medesimo g.a. il potere di conoscere dei “comportamenti” in materia di urbanistica previsti dall’art. 34 del D.Lvo n. 80/98, si è ammesso che permane la giurisdizione amministrativa “tutte le volte in cui detti comportamenti siano anche solo mediamente riconducibili all’esercizio dei pubblici poteri”.

La formula è divenuta ora norma di legge, posto che, come si legge nell’art. 11 del testo in esame,

1. Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo.

2. Il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi.

3. Sono ricomprese nella giurisdizione del giudice amministrativo anche le controversie per il risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dalla sua omissione, pure se introdotte in via autonoma, nonché le questioni relative agli altri diritti patrimoniali consequenziali.

4. Nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’articolo 150, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi.

5. Il giudice amministrativo esercita giurisdizione estesa al merito nelle controversie indicate dalla legge e dall’articolo 151. Nell’esercizio di tale giurisdizione il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione.

 

Da ultimo segnalo poi per chiarezza che nella sua prima versione il comma 5 dell’art. 41 (ora divenuto 39) teneva fermo il termine prescrizionale di cinque anni in caso di azione risarcitoria avverso l’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, come già previsto dall’art. 2 bis della L. n. 241/90 nel testo introdotto dall’art. 6 della stessa L. n. 69 /09 il cui art. 44 contiene la delega della cui attuazione ora si parla. Ciò mi aveva indotto a pensare che il legislatore avesse voluto ritenere più grave il mancato esercizio del potere di quanto non sia l’illegittimo esercizio del potere stesso (ciò che di per sé suscitava francamente qualche perplessità), con la conseguenza ulteriore che non si riusciva bene a comprendere, o quanto meno chi scrive non riusciva bene a comprendere, quali possano essere i fatti, distinti tanto dai comportamenti omissivi quanto dai provvedimenti veri e propri, dal legislatore a questi ultimi equiparati in quanto azionabili, ove ritenuti lesivi, nel termine decadenziale di centottanta giorni. Pensavo di attendere lumi, che sono arrivati subito, perché nel testo definitivo licenziato dalla commissione il quinto comma, come si è visto, riferito al termine prescrizionale per l’azione avverso l’inosservanza del termine di conclusione del procedimento è scomparso, sostituito da una disposizione che riconduce anche tale azione nell’alveo del comma 4 dicendo che il termine di centottanta giorni non decorre fintanto che perdura l’inadempimento. Ora tutto è più chiaro, il riferimento al fatto sembra proprio prevedere l’ipotesi del comportamento omissivo di provvedimento. E l’art. 2 bis della L. n. 241/90 risulta espressamente in parte qua abrogato dall’art. 5, comma 1, n. 15 dell’allegato 4 al D.L.vo di approvazione del codice.

 

Se la soluzione normativa alla querelle sulla pregiudiziale amministrativa è frutto, come si è visto, di un compromesso fra le opposte posizioni delle due giurisdizioni superiori interessate, compromesso autorevolmente ispirato, come si è pure visto, da un arresto della Corte Costituzionale, a ben diverse e più radicali considerazioni si deve pervenire con riguardo all’altro tema di scontro che tante polemiche ha suscitato negli anni scorsi, al tema cioè dei possibili effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto eventualmente nelle more stipulato in materia di appalti.

Sappiamo bene che sul punto si erano formate due tesi diametralmente opposte: da un lato si era detto che l’annullamento dell’aggiudicazione fa venir meno automaticamente in via consequenziale anche il contratto, non importa se questo debba considerarsi nullo ovvero inefficace, e ciò si era sostenuto, sul piano sostanziale, al fine di assicurare quella concentrazione ed effettività della tutela che la stessa Corte Costituzionale aveva affermato come immanente al processo amministrativo con la sent. 204/04 (sia pur con riguardo all’azione risarcitoria in aggiunta all’azione di annullamento), principio, quello della concentrazione ed effettività della tutela del resto riconducibile pianamente alla “ragionevole durata del processo” di cui al novellato art. 111 della Costituzione. Dall’altra parte, invece, si era sostenuto, per la verità in termini strettamente giuridici in modo difficilmente criticabile, alla luce della disciplina di legge vigente, che il contratto a seguito dell’annullamento del presupposto atto di aggiudicazione non è né nullo né inefficace, bensì soltanto annullabile, e che la giurisdizione esclusiva del g.a. sui procedimenti di aggiudicazione non può essere estesa alle vicende che riguardano il contratto stesso, in quanto frutto dell’incontro di volontà paritetiche con conseguente dominio del giudice ordinario: il tutto, si ripete, alla luce del riparto di giurisdizione sino ad oggi operante, con le pesanti conseguenze che peraltro si sono viste a scapito della concentrazione ed effettività della tutela e quindi in sostanza venendosi a sottrarre al ricorrente che ne abbia titolo secondo il g.a. il beneficio della reintegrazione in forma specifica costringendolo ad accontentarsi del risarcimento per equivalente con conseguente aggravio di costi per la stazione appaltante e quindi in definitiva per la collettività.

Ora peraltro, il quadro normativo sta per cambiare in modo radicale con la prossima entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della nota direttiva n. 66/07 concernente il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, visto che il testo provvisorio messo di recente a disposizione degli operatori, (in pedissequa applicazione peraltro della norma delegante, il ricordato art. 44 della L. n. 88/09) non solo prevede, come via obbligata, in ossequio alla direttiva (salve talune specifiche eccezioni nella stessa direttiva previste) “la privazione degli effetti” del contratto ad opera del giudice competente (in Italia ovviamente il g.a., come risulta nella norma di delega ove si parla di giurisdizione esclusiva e anzi, addirittura di merito, e come esplicitamente consacrato nell’art. 10 dello schema di decreto legislativo) in quegli specifici casi in cui la direttiva considera le violazioni delle procedure come particolarmente gravi, ma tale regola, con il relativo potere di dichiarare la privazione degli effetti del contratto, di fatto generalizza, affidando al giudice di valutarne discrezionalmente, sulla base di parametri normativamente fissati, i presupposti, in alternativa al risarcimento per equivalente ovvero ad altre misure sanzionatorie.

Ed è sintomatico che le stesse SS.UU della Cassazione, una volta preso atto della ineluttabile ed imminente entrata in vigore delle norme interne di recepimento della direttiva, nelle quali finalmente si riafferma il primato di quelle esigenze di concentrazione e di effettività delle quali si è detto, abbiano deciso di far buon viso a cattivo gioco, sostenendo da ultimo che alla luce dei precetti contenuti nella direttiva in questione (la quale risale al dicembre 2007, ed era quindi conosciuta da tempo, ancor prima della ben nota pronuncia 128 dicembre 2007 n. 27169) il giudice amministrativo deve conoscere anche del contratto, sia pur per le procedure di affidamento successive al dicembre 2007, e cioè riconoscendo l’immediata applicabilità delle disposizioni contenute nella direttiva stessa: insomma, abbiamo polemizzato e versato fiumi di inchiostro per due anni del tutto inutilmente, visto che ora tardivamente si ammette che dal dicembre 2007 si deve considerare un fatto compiuto l’attribuzione al g.a. della competenza a conoscere anche della sorte del contratto (SS.UU: 11 febbraio 2010 n. 2906).

Occorre però aggiungere che se finalmente il g. a. si ritroverà felicemente libero, sul piano giuridico-formale, dai pesanti vincoli impostigli finora dalle SS.UU a conoscere del contratto, vincoli che sino ad ora gli hanno impedito anche solo di dichiararne l’inefficacia in conseguenza del venir meno del presupposto atto di aggiudicazione sui esso si fonda (la nota A.P. n. 8/07 lasciava alla stazione appaltante il compito di trarre le debite conseguenze dall’annullamento della aggiudicazione) non per questo si può immaginare che i giudici dei TT.AA.RR si potranno abbandonare ad una sorta di tiro a segno contro i contratti.

Ritengo infatti che il g.a., una volta liberato dalla sudditanza necessitata dal veto delle SS.UU., acquisirà in breve tempo piena consapevolezza della pesante responsabilità che gli si attribuisce, dato che le conseguenze della declaratoria di inefficacia di contratti non si avvertono ovviamente solo sul piano giuridico formale, quanto piuttosto e soprattutto sul piano sostanziale e materiale, vale dire ovviamente sul piano economico. Opportunamente quindi sia la direttiva che il legislatore interno circondano l’esercizio del potere affidato al giudice di particolari cautele, prevedendosi una variegata pluralità di possibili scelte alternative (che vanno dalla privazione degli effetti soltanto per le prestazioni ancora da eseguire al risarcimento per equivalente od anche al ricorso di altre sanzioni alternative (pecuniarie, riduzione della durata del contratto) sulla base di parametri di volta in volta espressamente indicati.

Ritengo poi di sottolineare che in definitiva, e qui starà, a mio giudizio, il carico maggiore della responsabilità che viene addossata al g.a., carico il cui peso non sarà rappresentato solo dalle difficoltà giuridiche nuove da affrontare quanto piuttosto e forse in misura anche maggiore dall’inevitabile aumento dell’impegno quantitativo e materiale di lavoro richiesto, la ratio che ispira la direttiva e più ancora, direi il testo di attuazione che si dovrà presto applicare, è quella di far sì che il giudizio, quanto meno in primo grado, si concluda, addirittura al limite anche nel merito, prima della stipula del contratto: più esattamente, siccome la disciplina comunitaria mira a conciliare la tutela della concorrenza senza peraltro voler compromettere gli obiettivi di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (in modo che non si possa dire, come qualcuno purtroppo, del resto malinformato ha detto, che i TAR impediscono l’esecuzione delle opere pubbliche), prima della scadenza dei termini in via ordinaria previsti per la stipula del contratto

Da un lato infatti si dispone che dalla comunicazione della avvenuta aggiudicazione devono intercorrere almeno 35 giorni prima che si possa stipulare il contratto, disposizione alla quale va aggiunto che poi, una volta notificato il ricorso, ove questo contenga istanza cautelare, il contratto non può essere stipulato per almeno 20 giorni “a condizione che entro tale termine intervenga almeno il provvedimento cautelare, ovvero fino alla pronuncia di detto provvedimento, se successiva”.

Da un altro lato, poi, si imprime una ulteriore accelerazione al già abbreviato rito del 23 bis, imponendo la notifica del ricorso entro 30 giorni, il deposito nei successivi 5, anche senza la prova immediata delle avvenute notifiche e con trattazione della sospensiva la prima udienza (rectius, camera di consiglio) utile successiva, salva, ove non impedita da esigenze istruttorie o dalla necessità di integrare il contraddittorio, la pronuncia di merito ad udienza da tenersi entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle controparti (quindici giorni dalla notifica).

Si può dunque avanzare l’ipotesi che raramente il g.a. potrà trovarsi alle prese con il problema di dichiarare o meno l’inefficacia del contratto, e tale conclusione credo possa essere rafforzata dal fatto che ora le amministrazioni, di fronte alla minacciosa eventualità, sinora assai più nebulosa per non dire inesistente, di vedersi pesantemente sanzionate per aver voluto frettolosamente sottoscrivere i contratti, con l’intento più o meno evidente di far trovare il g.a. in sede cautelare di fronte al fatto compiuto, sarà ora molto più cauta prima di compiere passi che potrebbero costare loro un assai caro prezzo. Né, salve rare eccezioni, potranno invocare esigenze indifferibili di urgenza, sia perché lavori, servizi e forniture ritenuti urgenti possono eventualmente prender corpo in via interinale senza contratto, e sia, soprattutto perché normalmente, il che vale all’evidenza per servizi e forniture, nelle more alle continuità dei servizi e delle forniture provvede l’aggiudicatario uscente.

 Quel che è certo, comunque è che il giudice, e con lui la struttura amministrativa che lo sorregge, sarà chiamato ad affrontare difficoltà non indifferenti, in quanto costretto a concludere presto (oltre che bene, si spera) il lavoro che gli si prospetta al fine di prevenire la stipula dei contratti, senza con questo ritardare lo svolgimento dei lavori e dei servizi e i tempi di consegna delle forniture programmati, con l’ulteriore conseguenza che il contenzioso ordinario subirà necessariamente un ulteriore rallentamento con tutto ciò che ne deriva (sanzioni legge Pinto).

A proposito dell’aggravio di lavoro al quale ho ora accennato, che si profila pesante oltre che difficile, non ritengo sia superfluo accennare anche al fatto che analoghe preoccupanti difficoltà operative presenta il codice del processo amministrativo.

Anche a voler sorvolare sulla singolarità delle udienze domenicali in materia di giudizi elettorali (ma non ci dovranno dare lo straordinario festivo?) mi limito a segnalare a regime la generalizzazione, a mio giudizio inutile, ed anzi dannosa, della tutela ante causam, prima limitata alla sola materia degli appalti, e l’onere di fissazione entro un anno dei ricorsi per i quali venga concessa la sospensiva, mentre, in via transitoria, al già pesante impegno richiesto a giudici e personale amministrativo si aggiunge la previsione di sezioni stralcio per smaltire l’arretrato: il tutto ferme restando attribuzioni funzioni e attività degli uffici di assegnazione, quasi che allo stato tutti lavorino a mezzo servizio e senza che si possa in alcun modo finanziare l’operazione.

Le nozze con i fichi secchi, insomma…Non sarebbe stato più semplice affidare i vecchi ricorsi a giudici monocratici con previsione di opposizione al collegio, entro un breve termine, come per le perenzioni?

Scorrendo il testo del codice vedo molte disposizioni che meriterebbero attenzione, ma ritengo che l’argomento  richiederebbe un troppo lungo discorso, per non dire che andrebbe al di là dell’oggetto di una relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario.

Ad ogni modo, in rapidissima sintesi, ribadendo peraltro che le due novità principali contenute nella duplice novella che sta per essere approvata sono a mio giudizio quelle sulle quali mi sono soffermato sin qui, segnalo fuggevolmente quelle che mi paiono le disposizioni particolarmente interessanti, ognuna delle quali peraltro meriterà ben più diffusi commenti:

l’art. 6, che impone ai giudici ed avvocati la redazione degli atti in maniera chiara e sintetica (e non si tratta di norma meramente programmatica e cioè senza conseguenze visto che in base all’art. 32 se ne può tenere conto in sede di condanna alle spese… già, questo vale per gli avvocati, ma per i giudici?);

L’art. 21, che sottrae al TAR la delibazione preliminare sul fumus delle eccezioni di incompetenza: questo sembra un esercizio di volontà accentratrice da parte del Consiglio di Stato…

L’art. 36 che introduce una azione di accertamento dell’esistenza o meno di del rapporto giuridico che a me appare alquanto misteriosa, visto che se ne delinea lo spazio operativo soltanto in termini negativi, nel senso che non la si può proporre se vi sono i presupposti per chiedere l’annullamento o l’adempimento ovvero con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati;

l’art. 45, il quale, come ho già ricordato, impone l’onere per il giudice di non assorbire i motivi;

l’art. 56, che prende atto della linea giurisprudenziale secondo la quale il termine per il deposito del ricorso inizia a decorrere dal perfezionamento della notifica per il destinatario, salvo comunque il deposito anticipato:

l’art. 66, il quale (finalmente sanziona espressamente con l’improcedibilità la domanda cautelare (ivi compresa quella di misure provvisorie monocratiche) in mancanza di domanda di fissazione (misura indispensabile e comunque insita più che mai nel sistema dopo l’introduzione della sentenza breve pronunciabile direttamente in camera di consiglio);

l’art. 72 che, come già sopra anticipato, generalizza l’istituto della misura cautelare ante causam, e ciò avviene malgrado l’esperienza si qui compiuta in materia di appalti ne abbia dimostrato lo scarsissimo successo, in quanto sostanzialmente doppione della ormai più che collaudata misura cautelare monocratica, la quale ha altresì il vantaggio, non indifferente, di consentire al giudice, oltre che di soppesare il fattore danno, di avere la possibilità di effettuare una valutazione sia pure rapida ed epidermica anche sul fumus boni iuris.

Due considerazioni finali: la prima è che sia i giudici che il personale di segreteria, e prima ancora gli avvocati, dovranno dimenticare le regole sui termini processuali sin qui familiari, ed affilare le armi per abituarsi alle nuove scadenze ora previste, scadenze che risultano ora in buona misura sostanzialmente ampliate, sia per il rito di merito che per quello cautelare, evidentemente a maggior tutela del contraddittorio: ciò s’intende vale per i ricorsi cosiddetti normali, dato che invece per gli appalti i termini già abbreviati vengono ulteriormente ristretti, per non dire strangolati, ed anzi come componente della sezione competente in materia, elevo un sentito ringraziamento agli estensori del testo del codice per non aver previsto anche in questa materia, come per i procedimenti elettorali preparatori, le udienze domenicali…

La seconda considerazione attiene al fatto, come già rilevato da più parti, che è rimasta sostanzialmente inattuata la disposizione contenuta nella delega ex art. 44 L. m. 69/09 concernente l’estensione delle funzioni istruttorie da esercitarsi in forma monocratica: operazione che io avevo auspicato sia perché utilissima al fine di evitare l’arrivo all’esame del collegio in udienza di cause immature....o al contrario, troppo mature, e sia per venire incontro alle giustificate aspirazioni di colleghi con un congruo numero di anni di lavoro alle spalle di liberarsi, almeno in parte, in attesa di una presidenza di sezione, della monotonia del proprio lavoro di relatori e di arricchire la propria esperienza con una attività più libera ed autonoma: Anzi, da questo punto di vista, ottimale sarebbe stato se lo smaltimento dell’arretrato, come sopra accennato, fosse stato affidato, appunto, a giudici monocratici, naturalmente con incarichi a termine per consentire la rotazione e con parziale esonero dai carichi di lavoro ordinari…

E qui concludo.

 

 
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