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APPUNTI SULLE CAUSE AMMINISTRATIVE DI VALORE INDETERMINABILE E SULL’USO DEI “MOLTIPLICATORI” PDF Stampa E-mail
mercoledì 14 aprile 2010

di STEFANO BIGOLARO

* intervento al Seminario organizzato dall'Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti in data 27 marzo 2010. 

Anche nel contenzioso amministrativo, è ipotesi residuale che una causa debba essere considerata “di valore indeterminabile” ai fini della parcellazione.

Deve infatti ricercarsi preliminarmente quale sia il valore della causa; e – nel contenzioso in tema di appalti – quando ad essere oggetto di impugnazione siano gli atti di aggiudicazione, il primo riferimento è al valore del contratto.

Il punto è stato specificatamente illustrato nella relazione di Francesco Mazzarolli[1]. Ed è evidentemente infondata la tesi per cui – se si difende la stazione appaltante (che spesso, ma non sempre, è una p.a.) – comunque tutte le cause in tema di appalti avrebbero valore indeterminabile, perché l’interesse della parte assistita sarebbe solo quello alla difesa della legittimità del proprio operato: tesi che porta a considerare le cause tutte uguali se viste dalla parte della stazione appaltante, senza tener conto del loro vero contenuto e della loro delicatezza (oltreché dei rischi connessi alla difesa), e in piena violazione del criterio del “petitum” prescritto dal codice di procedura civile[2], cui rinvia anche l’art. 6 della tariffa [3].

Ciò precisato, è comunque frequente che nel contenzioso amministrativo – ai fini della parcellazione - si debba fare riferimento alle cause di valore indeterminabile. Ad esempio, in tema di pianificazione urbanistica, o comunque quando un valore numerario pur in astratto rinvenibile sia ritenuto meno adeguato all’effettiva natura della controversia.   

E, con riferimento a tale ipotesi, l’incertezza che spesso si pone è quella sull’uso dei cd. “moltiplicatori” e sulla loro cumulabilità.

***

La disciplina generale dei “moltiplicatori” è quella posta dall’art. 5, co. 2 e 3, della tariffa; disciplina generale in quanto prescinde dal fatto che si tratti o meno di cause di valore indeterminabile (le quali sono normate dal successivo art. 6, co. 5 della tariffa).

In particolare, l’art. 5, co. 2, individua la categoria delle “cause di particolare importanza” in relazione alle questioni giuridiche trattate[4]; ed è, va rilevato, disposizione riferita precipuamente al giudice, nei cui confronti è diretta la previsione per cui – in tali cause -   la liquidazione degli onorari a carico del soccombente può arrivare fino al doppio dei massimi stabiliti.

Diversa è invece la categoria individuata dall’art. 5, co. 3, della tariffa: quella delle “cause di straordinaria importanza[5], per le quali la liquidazione degli onorari a carico del cliente può arrivare fino al quadruplo dei massimi stabiliti, previo parere del Consiglio dell’Ordine[6].

La previsione non è in realtà ben coordinata nell’individuare quali siano le “cause di straordinaria importanza”. A guardare infatti la formulazione testuale, sembrerebbe che vi siano due tipi di cause suscettibili di quadruplicazione dei massimi: quelle contraddistinte da tutta una serie di parametri di rilevanza – posti dallo stesso co. 3, oltreché dai commi precedenti da esso richiamati[7] -  e quelle di straordinaria importanza, prive peraltro di ogni definizione. Ma è evidente che – a cercare un’interpretazione ragionevole della disposizione – le cause non possono che essere “di straordinaria importanza” proprio in relazione ai parametri ricordati dalla norma, perché altrimenti vi sarebbe una discrezionalità assoluta nell’individuazione della categoria.

***

In realtà, il rapporto tra le categorie generali delle cause “di particolare importanza”, di cui al co. 2 dell’art. 5, e quelle “di straordinaria importanza” del co. 3 dello stesso articolo sembra abbastanza chiaro.

Non c’è infatti ragione di dubitare che la “straordinaria importanza” del terzo comma ricomprenda e assorba in sé la “particolare importanza” del secondo comma (che del resto, come si è ricordato, è disposizione posta precipuamente per il giudice): in fondo, il concetto è sempre quello dell’importanza – particolare o straordinaria che sia – e i parametri sono gli stessi (fuorché per quelli, posti dal co. 3, che specificatamente qualificano l’ulteriore livello della straordinaria importanza).

In conclusione: se è possibile la moltiplicazione fino a quattro dei valori massimi – quale prevista dal co. 3 dell’art. 5 – non lo è mai la doppia moltiplicazione: prima fino a due, in base al co. 2, e poi fino a quattro, in base al co. 3.

La “straordinaria importanza”, come detto, comprende la “particolare importanza”, e non si somma invece ad essa.  

***

Le conclusioni potrebbero però essere diverse con riferimento alle “cause di valore indeterminabile”. 

La disciplina qui è tutta specificatamente contenuta al co. 5 dell’art. 6 della tariffa[8].

In particolare, la regola è che gli onorari minimi per tali cause siano quelli previsti per le cause di valore da 25.900 euro a 51.700 euro, mentre quelli massimi sono quelli previsti per lo scaglione delle cause da 51.700 euro a 103.300 euro, “tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia  (insomma, come se per le cause di valore indeterminabile vi fosse uno scaglione grande il doppio di quelli consueti).

E vi è poi una disciplina ad hoc per la cause di valore indeterminato, ma “di particolare importanza per l’oggetto, per le questioni giuridiche trattate, per la rilevanza degli effetti e dei risultati utili di qualsiasi natura, anche di carattere non patrimoniale”: per esse, gli onorari possono essere liquidati fino ai limiti previsti per le cause di valore fino a € 516.500,00 (limiti che sono sostanzialmente doppi rispetto a quelli dello scaglione fino ai 103.300 euro, cui si può giungere nelle cause di valore indeterminabile non di particolare importanza).

***

La difficoltà interpretativa riguarda quindi il rapporto tra la specifica disciplina delle cause di valore indeterminabile e di particolare importanza posta dall’art. 6 co. 5 della tariffa, e la generale disciplina delle cause di particolare e di straordinaria importanza posta dall’art. 5, co. 2 e co. 3.

Al riguardo sono possibili due diverse scelte interpretative

1) Si può anzitutto ritenere che l’art. 6, co. 5, della tariffa – quando menziona tra le cause di valore indeterminabile quelle “di particolare importanza” – si riferisca alle “cause di particolare importanza” di cui all’art. 5 co. 2.

In tal senso si può infatti ragionevolmente argomentare che si tratti proprio della stessa categoria: da un lato, la terminologia usata nelle due norme della tariffa è la stessa (appunto, la “particolare importanza”); e, d’altro lato, è la medesima anche la disciplina che ne consegue, con il raddoppio dei massimi stabiliti per gli onorari (giacché – come si è visto - anche l’art. 6, co. 5, comporta sostanzialmente il raddoppio dei massimi per le cause di valore indeterminabile).

Conseguentemente, quando si debba applicare l’art. 5 co. 3 della tariffa - in tema di “cause di straordinaria importanza” - alle cause di valore indeterminabile, si deve considerare che il generale rapporto tra “particolare importanza” e “straordinaria importanza” è quello sopra illustrato, per cui il moltiplicatore (fino a quattro volte i massimi degli onorari) previsto per la “straordinaria importanza” comprende quello per la “particolare importanza” (fino a due volte i massimi) e non si aggiunge ad esso.

Insomma: per le cause di valore indeterminabile, quando gli onorari già siano determinati con lo scaglione delle cause di valore fino a 516.500 euro in ragione della loro “particolare importanza”, non è poi possibile la loro ulteriore moltiplicazione fino al quadruplo in applicazione del parametro della “straordinaria importanza”; essi - al più – potranno soltanto essere raddoppiati, qualora ricorrano le circostanze necessarie a qualificare la causa come “di straordinaria importanza”.

2) Se l’interpretazione proposta sub 1) è certamente ragionevole, è tuttavia possibile un’interpretazione diversa ma altrettanto validamente argomentabile.

Può infatti sostenersi che la disciplina delle cause di valore indeterminabile sia quella specificatamente posta dall’art. 6 co. 5 della tariffa, dovendo pertanto farsi riferimento solo ad essa per la determinazione dei relativi onorari: è quindi agli importi degli onorari quali risultanti in esito all’applicazione dell’art. 6 co. 5 che andrà poi applicato l’istituto generale della “straordinaria importanza” quale disciplinato dall’art. 5, co. 3. E, in definitiva, si potrà dunque, se sussistono le condizioni della “straordinaria importanza”, giungere fino alla quadruplicazione delle somme già determinate a titolo di onorari in base all’intero comma 5 dell’art. 6 (e dunque alla loro quadruplicazione anche se esse siano già state determinate, in conformità al citato art. 6 co. 5,  con riferimento allo scaglione delle cause di valore fino a 516.500 euro). 

La tesi può addurre a proprio favore argomenti precipuamente letterali: da un lato, infatti, la disciplina degli onorari delle cause di valore indeterminabile è specifica (contenuta in un comma dell’art. 6 della tariffa, intitolato alla “determinazione del valore della controversia”) e separata dalla disciplina generale della “particolare importanza” (contenuta all’art. 5, “criteri generali per la liquidazione”). E, d’altro lato, la “particolare importanza” menzionata all’art. 6 co. 5 - benché abbia evidentemente lo stesso nome della “particolare importanza” di cui all’art. 5 co. 2 - risponde in realtà a parametri in parte diversi (che sono quelli enumerati espressamente nell’art. 6, co. 5, ove ci si riferisce alle “cause di particolare importanza per l’oggetto, per le questioni giuridiche trattate, per la rilevanza degli effetti e dei risultati utili di qualsiasi natura, anche di carattere non patrimoniale[9]), essendo oltretutto accidentale che l’effetto della “particolare importanza” finisca - anche nel caso dell’art. 6 co. 5 – per essere il raddoppio dei massimi stabiliti per gli onorari, perché in realtà la previsione del citato art. 6 co. 5 non è quella del raddoppio - come all’art. 5 co. 2 - ma quella dell’applicazione di uno specifico scaglione delle cause di valore determinato (quelle di valore fino a 516.500 euro).

***

Come si è visto, le interpretazioni paiono ambedue sostenibili. Né constano pareri specifici del C.N.F. o riferimenti giurisprudenziali utili a considerare preferibile l’una o l’altra.

A quanto risulta, invece, le risposte che i vari Ordini hanno dato sul punto non sono omogenee, ed anzi sono soggette a mutamenti nel tempo: cosicché è quanto mai auspicabile che intervenga – ad esempio, dall’Ordine distrettuale – un’indicazione unitaria, che possa essere di riferimento almeno per tutti gli Ordini del distretto. 

Altrimenti, nella situazione attuale, non è possibile alcuna conclusione sicura: nelle cause di valore indeterminabile qualificabili come “di straordinaria importanza”, se – dopo che gli onorari sono stati determinati facendo riferimento allo scaglione delle cause di valore fino a 516.500 euro – si applica un’ulteriore moltiplicazione dei massimi fino a due, non ha ragione di porsi alcuna incertezza (sempre, naturalmente, che effettivamente ricorrano le condizioni della straordinaria importanza sopra ricordate); ma se invece la moltiplicazione per la straordinaria importanza eccede il raddoppio, giungendo fino al quadruplo, si entra in una zona d’ombra, nella quale non è possibile conoscere a priori come ciascun Ordine si determinerà[10]. 

***

Infine, due brevi precisazioni su argomenti connessi.

Sotto un primo profilo, vi è da chiedersi se i “moltiplicatori” per la straordinaria importanza vadano applicati per i singoli atti compiuti in ciascuna causa, o se invece – una volta qualificata la causa come di straordinaria importanza – tutte le attività beneficeranno della moltiplicazione dei massimi. Fermo restando che non si può prescindere dall’esame delle singole attività (ad es. nel caso di udienze di mero rinvio o di memorie formali), è evidente che – una volta qualificata la causa di straordinaria importanza – tutte le attività in essa compiute dovranno ricondursi a tale qualificazione. Non può esserci un giudizio puntuale su ogni singolo atto defensionale, nel senso se quell’atto sia o meno di straordinaria importanza; andrà piuttosto fatta una valutazione in concreto della congruità degli onorari attribuiti a quell’atto e in tale fase è fondamentale il confronto con l’avvocato che chiede la liquidazione, che potrà adeguatamente descrivere le attività compiute.

Sotto altro profilo, prescindendo dalle cause di valore indeterminabile e considerando invece i contenziosi cui è possibile attribuire un certo valore, potrebbe porsi qualche incertezza quanto al “posizionamento” della parcella all’interno dello scaglione di valore cui la causa appartiene.

In sostanza, va chiarito che se il valore di una causa si situa all’interno di un certo scaglione, è certamente possibile – ove ne ricorrano le condizioni – considerare gli importi massimi degli onorari di quello scaglione, anche se il valore della causa è inferiore (e magari molto inferiore) a quello massimo dello scaglione: non si è obbligati, cioè, a individuare la posizione della causa, per il suo valore, all’interno dello scaglione, per poi determinare gli onorari in modo che abbiano la stessa posizione tra gli onorari minimi e i massimi previsti in quello scaglione.

Vi è certo la necessità di una valutazione concreta dell’attività compiuta, al di fine di verificare la congruità degli onorari applicati; ma non vi è alcun vincolo matematico al rispetto di una sorta di proporzionalità degli onorari all’interno degli scaglioni. E dunque, se ne ricorrano le condizioni, non vi è dubbio – come del resto chiaramente indicato nella tariffa - che sono gli onorari massimi stabiliti per lo scaglione di appartenenza a poter essere oggetto di moltiplicazione nei casi della particolare e della straordinaria importanza.

 

Stefano Bigolaro

 



[1] Il riferimento è alla relazione tenuta dall’avv. Francesco Mazzarolli nel seminario intitolato “Criteri di tariffazione e parcellazione da applicare nelle controversie di natura amministrativa”, organizzato dall’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti e tenuto a Padova il 27.03.2010; seminario nel corso del quale pure è stato esposto il presente intervento.

[2] Cfr. in particolare gli artt. 10 e ss. del c.p.c., ove per la determinazione del valore della causa si fa appunto riferimento alla domanda.

[3] Approvata con decreto ministeriale 8.4.2004 n. 127.

[4] Art. 5, co. 2: “Nelle cause di particolare importanza per le questioni giuridiche trattate, la liquidazione degli onorari a carico del soccombente può arrivare fino al doppio dei massimi stabiliti”.

[5] Art. 5, co. 3: “Nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, oltre che dei criteri di cui ai commi precedenti, può essere tenuto conto dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti, nonché dell’urgenza richiesta per il compimento di singole attività e, nelle cause di straordinaria importanza, la liquidazione può arrivare fino al quadruplo dei massimi stabiliti, previo parere del Consiglio dell’Ordine”.

[6] E si tratta, in questo caso, sicuramente di disposizione rivolta all’avvocato, e non al giudice.

[7] I parametri rilevanti sono quelli “della natura e del valore della controversia, dell’importanza e del numero delle questioni trattate, del grado dell’autorità adita, con speciale riguardo all’attività svolta dall’avvocato davanti al giudice”, in base al co. 1 dell’art. 5; delle “questioni giuridiche trattate”; in base al co. 2 dell’art. 5; “dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti, nonché dell’urgenza richiesta per il compimento di singole attività”, in base appunto quanto disposto dal co. 3 dell’art. 5.   

[8]Per le cause di valore indeterminabile, gli onorari minimi sono quelli previsti per le cause di valore da € 25.900,01 a € 51.700,00, mentre gli onorari massimi sono quelli previsti per le cause di valore da € 51.700,01 a € 103.300,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia; qualora le cause siano di particolare importanza per l’oggetto, per le questioni giuridiche trattate, per la rilevanza degli effetti e dei risultati utili di qualsiasi natura, anche di carattere non patrimoniale, gli onorari possono esser liquidati fino al limite massimo previsto per le cause di valore fino a € 516.500,000”.

[9] Parametri, come detto, non del tutto coincidenti con quelli cui si deve far riferimento per individuare la “particolare importanza” di cui al co. 2 dell’art. 5: in particolare, tra questi ultimi non vi è la rilevanza degli effetti e dei risultati utili (cfr. nota 7).

I risultati utili e i vantaggi sono semmai tra i parametri che (insieme ad altri)  qualificano la “straordinaria importanza” di cui al co. 3 dell’art. 5: ma sembra francamente difficile fondare su tale (parziale) coincidenza la conseguenza draconiana che le cause di valore indeterminabile non possano mai essere “di straordinaria importanza”, e che dunque agli onorari per esse determinati in base all’art. 6 co. 5 non si possa mai applicare il cd. “moltiplicatore” di cui all’art. 5 co. 3.

[10] E’ appena il caso di rilevare, peraltro, che quando un Ordine intende negare il visto di congruità della parcella ad esso sottoposta, o intende operarne la diminuzione, deve prima informare l’interessato delle ragioni alla base delle determinazioni che sta per assumere, consentendogli di esprimere al riguardo le proprie osservazioni: ciò che costituisce un principio di comunicazione e di partecipazione in ordine ai motivi ostativi all’accoglimento della richiesta cui è tenuto  ogni ente pubblico (è il cd. “pre-diniego” dell’art. 10 bis l. 241/1990).

 
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