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GLI INTERVENTI EDILIZI NELLE ZONE AGRICOLE DEL VENETO: DOPO IL "CASO CORTINA" PDF Stampa E-mail
lunedì 26 aprile 2010
di STEFANO BIGOLARO
L’esposizione di una disciplina normativa deve comunque essere fatta cercandovi un senso. Gli eventi che l’hanno determinata possono essere i più vari ed estemporanei (riforme legislative, normative transitorie, modifiche e interpolazioni, circolari e sentenze); ma ugualmente l’interprete deve – come in un puzzle – recuperare una logica unitaria. Questo è dunque quanto ora tocca fare a chi è chiamato a interpretare (ed applicare) la disciplina attuale dell’edificabilità nelle zone agricole del Veneto.
La legge regionale n. 11 del 2004
La disciplina attuale, dunque, non è più quella della L.R. 24/1985 (e prima della L.R. 58/1978), cui da molti anni eravamo abituati. La L.R. 24 non rileva più, né in via transitoria né nella situazione a regime.
Quanto a quest’ultima, la disciplina a regime è solo quella posta dal titolo V della L.R. 11 (“tutela ed edificabilità del territorio agricolo”), costituito da tre soli articoli (il 43, il 44 e il 45; quest’ultimo in realtà specifico, perché relativo ai vincoli proiettati dagli edifici in area agricola).
Tale disciplina prevede dunque:
1. all’art. 43, che i PAT e i PI che ci saranno (ed anzi, che in numerosi Comuni veneti cominciano ora ad essere approvati) abbiano contenuti specifici in tema di aree agricole.
Non più – dunque - le tradizionali partizioni in sottozone E, cui pure eravamo abituati; dovranno invece essere individuati – nei PAT - gli edifici di valore storico-ambientale anche non a destinazione agricola, o i limiti fisici alla nuova edificazione; nonché – nei PI - gli ambiti delle aziende agricole esistenti (ambiti forse non facili da individuare in sede di pianificazione urbanistica, e certo non immutabili nel tempo), o le destinazioni d’uso delle costruzioni esistenti non più funzionali alle esigenze dell’azienda agricola (evidentemente, per consentire il recupero e il riuso di fabbricati non più rurali)[1].
2. all’art. 44, quali siano gli interventi edilizi ammessi (con previsione che ulteriormente precisa e limita ciò che è consentito ai PAT e ai PI).
La “ratio” dell’art. 44
Significativo, in particolare, è proprio l’art. 44.
Importante già per il solo fatto di esserci, perché pone una disciplina edilizia (è intitolato “edificabilità”) all’interno di una legge urbanistica (e non edilizia). E conferma così che gli interventi edilizi nelle zone agricole sono stati considerati come straordinariamente importanti: in grado, cioè, di incidere su queste zone e di cambiarle a livello urbanistico, tanto da dover essere disciplinati già a livello di legislazione urbanistica. Di queste zone, insomma, deve essere assicurata la funzionalità all’attività agricola, e in esse va quindi meticolosamente disciplinata – e limitata - l’edificazione, perché non cambino la loro identità urbanistica.
L’intento del legislatore è enunciato con chiarezza fin dall’esordio dell’articolo: “sono ammessi esclusivamente interventi edilizi in funzione dell’attività agricola, siano essi destinati alla residenza che a strutture agricolo produttive”.[2]
Se le parole hanno un senso, questo è drastico e preciso. Gli interventi edilizi – il che, a rigore, vuol dire tutti gli interventi di rilievo edilizio, per quanto limitato – sono assentibili solo se funzionali all’attività agricola. E questo concetto è coerentemente concretato dal prosieguo dell’articolo[3]: gli interventi edilizi sono consentiti solo sulla base di un piano aziendale (avente i contenuti specificatamente indicati dalla stessa norma), il che comporta, evidentemente, che ogni intervento dev’essere dimostrato effettivamente necessario all’attività agricola aziendale. E sono consentiti solo all’imprenditore agricolo titolare di un’azienda agricola che abbia determinati requisiti minimi che, pure, la stessa norma specificatamente indica (il che comporta che a rilevare sia l’azienda agricola e non il richiedente, imprenditore agricolo principale o no che sia, alla stregua della L.R. 24 e della modifica introdotta con la L.R. 35/2002), e che anzi non possono compiere interventi edilizi in zona agricola neppure i soggetti svolgenti attività agricola, ma minimale (le aziende che non raggiungono certe parametri).
L’impostazione è rigorosa, come dicevamo: e qui si determina, evidentemente, il conflitto con una situazione reale nella quale chi vuole intervenire in zona agricola spesso non è imprenditore agricolo, e spesso non lo fa affatto in funzione dell’attività agricola. Ma, appunto, è una scelta del legislatore se assecondare le aspettative diffuse sul territorio o preservare il più possibile quest’ultimo; e qui la scelta, nel senso fatto palese dalle parole, è chiara.
A una disciplina, quale quella della L.R. 24, basata sulle “esigenze abitative dell’imprenditore agricolo[4], soggettivamente inteso - e generatrice di tutte le finzioni ben note, che sono state alla base della variegata edificazione delle campagne venete negli ultimi decenni - se ne sostituisce una che richiede uno stretto legame funzionale tra interventi edilizi in zona agricola ed elementi oggettivi dell’azienda agricola.
La disciplina a regime: i commi 4 e 5 dell’art. 44
La specifica disciplina a regime, dunque, degli interventi assentibili in zona agricola è quella posta dal co. 4 e dal co. 5 dell’art. 44, relativi il primo agli interventi di nuova edificazione e il secondo a quelli di recupero (ma – come si vedrà – tale distinzione, contenuta nel testo iniziale dell’art. 44, non è più così chiara dopo l’intervento della L.R. 4/2008 in materia di ampliamenti).
Dispone il co. 4 dell’art. 44 cit.[5] che gli interventi assentibili sono quelli per la realizzazione delle nuove case di abitazione, con un limite massimo di 1.200 mc.; nonché quelli di ampliamento di case di abitazione esistenti, fino a un massimo - anche qui - di 1.200 mc., “fatto salvo quanto previsto al comma 5.
E il comma 5 dispone[6] che sono sempre consentiti gli interventi di cui alle lettere a), b), e c) del testo unico dell’edilizia – manutenzione ordinaria, straordinaria e restauro e risanamento conservativo, mentre non si menziona la lett. d) relativa alla ristrutturazione – “nonché l’ampliamento di case di abitazione fino ad un limite massimo di 800 mc.”
La normativa transitoria: l’art. 48
Ciò che fin qui si è esposto riguarda la disciplina a regime: quella che ci sarà a PAT e PI entrambi approvati[7].
Ma, per comprendere la situazione attuale nella maggior parte dei Comuni veneti, è necessario misurarsi con quella specie di rompicapo che – dopo le varie stratificazioni di interventi legislativi– è ora divenuto l’art. 48 della L.R. 11 (“disposizioni transitorie”).
Le prime due disposizioni transitorie poste dalla norma in tema di edificazione in zona agricola sono quelle del co. 3 e del co. 7 bis 3 dell’art. 48 cit.[8]; ma entrambe risultano certamente superate per decorso del termine in esse indicato, e dunque il comma ora rilevante ai nostri fini è il co. 7 ter dello stesso articolo[9].
Quest’ultima norma contiene una vera e propria tabella degli interventi ammissibili nella fase transitoria, e precisa in particolare che:
- nelle attuali sottozone E1, E2, E3 sono consentiti gli interventi di nuova edificazione destinati alle strutture agricolo produttive “con le modalità di cui agli articoli 44 e 45; modalità che vanno evidentemente identificate con i requisiti sopra ricordati (relativi al piano aziendale e alla titolarità di un’azienda agricola con determinate caratteristiche);
- nelle attuali sottozone E2 ed E3 sono inoltre consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del testo unico dell’edilizia “nonché, fermo restando quanto previsto ai commi 2 e 3 dell’articolo 44, la realizzazione di nuove edifici residenziali da destinare ad abitazione principale nel limite di 600 mc.”. La formulazione non è esplicita, ma – dal fatto che le previsioni del 44 sono ricordate dopo il “nonché” – si deduce che gli interventi della lettera d) prescindano dai requisiti dell’art. 44 (e – se ne prescindono quelli della lettera d) – a maggior ragione ne prescinderanno gli interventi minori di cui alla lett. a), b) e c) dell’art. 3 del T.u).
- nelle attuali sottozone E4 sono consentiti tutti gli interventi previsti dal P.R.G. vigente;
- e in ogni caso, a prescindere dalle sottozone, per le costruzioni non tutelate ubicate nelle fasce di protezione delle strade e di rispetto delle zone umide sono consentiti gli interventi della lettera d), compresa la demolizione e ricostruzione anche in area agricola adiacente purché senza avanzamento (previsione analoga a quella dell’art. 7 della L.R. 24).
Peraltro, prima di esporre gli interventi ammissibili articolati per le varie sottozone E, l’art. 48 co. 7 ter contiene un inciso che pone in realtà una facoltà generale: “fermi restando gli interventi consentiti ai sensi del comma 5 dell’articolo 44. E appunto sulla portata di tale inciso è sorta la nota vicenda giudiziaria che ha riguardato il Comune di Cortina d’Ampezzo.
Ma, prima di passare all’esame di quest’ultima, va anche ricordato il recente co. 7 sexies dell’art. 48[10], che – con previsione generalissima – fa sempre salvi, fino al primo PAT e PI, gli interventi di cui all’art. 18 bis[11]. Norma, quest’ultima, che è stata ora introdotta con la L.R. 11/2010 e che ha riproposto il tradizionale contenuto degli articoli 9 e 109 della L.R. 61/1985 (che forse già costituiva espressione di un principio generale): quello per cui sono sempre ammessi, anche in assenza dei PUA prescritti, gli interventi sul patrimonio esistente, compresa la ristrutturazione, e gli interventi di completamento su parti del territorio già dotate delle principali opere di urbanizzazione. Peraltro una norma del genere, pur nei termini amplissimi in cui è ora inserita nella legislazione urbanistica veneta, non sembra rilevante ai fini della disciplina delle zone agricole, giacché da un lato essa è posta a disciplinare gli interventi laddove è prescritto un PUA, ipotesi di per sè incompatibile con le zone agricole; e, d’altro lato, per queste ultime non può che considerarsi specifica e prevalente la disciplina del co. 7 ter fin qui ricordato.
Ampliamenti delle case di abitazione e requisiti
Il tema del contenzioso di Cortina riguarda questo specifico punto: gli interventi di ampliamento delle case di abitazione fino a 800 mc. – che sono “sempre” consentiti dal co. 5 dell’art. 44, ed espressamente fatti salvi nella fase transitoria (“fermi restando”) dall’art. 48 co. 7 ter - richiedono oppure no i requisiti dell’art. 44 co. 1 e 2 (la dimostrazione della loro funzionalità all’attività agricola, e quindi il piano aziendale e la titolarità di un’azienda agricola fornita dei requisiti minimi)?
Probabilmente la Regione – nell’introdurre le disposizioni ora ricordate (con la L.R. 4/2008) – intendeva liberalizzare tali ampliamenti. E di ciò la traccia più evidente è forse la circolare n. 2 del 15 gennaio 2009[12], dalla quale ogni incertezza è bandita: “la novità di tale disposizione – si legge con riferimento al co. 5 dell’art. 44 – consiste nell’aver introdotto, tra gli interventi sempre consentiti, anche l’ampliamento fino a 800 mc., comprensivi dell’esistente e nel rispetto della tipologia originaria. In primo luogo occorre specificare che l’ampliamento è ammesso a favore di tutti coloro che possiedono una casa di abitazione in zona agricola, a prescindere dall’essere o meno imprenditore agricolo e indipendentemente dall’esistenza di un annesso rustico …”.
Ma le leggi vanno interpretate per come sono scritte, secondo i consueti criteri ermeneutici, anche indipendentemente da che cosa avrebbero voluto disporre le persone e gli organi che le hanno votate; e le circolari non possono né imporre né fondare interpretazioni obbligate delle norme di legge.
Anzi, forse una delle lezioni più chiare della vicenda di Cortina riguarda proprio quale sia l’effettivo peso delle circolari interpretative. Che forniscono un ausilio interpretativo, e sono certamente utili al dirigente chiamato ad applicare la legge anche a limitarne le eventuali responsabilità, ma che non obbligano nessuno e certo non rendono legittimi gli atti basati su di esse.
La sentenza del TAR Veneto 1353/2009 su Cortina
L’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 44 co. 5 e dell’art. 48 co. 7 ter della L.R. 11 è stata dunque fornita, in primo luogo, con la sentenza del TAR Veneto, sez. II, 30.4.2009 n. 1353. Sentenza riferita, certo, ad un intervento edificatorio specifico richiesto nel Comune di Cortina d’Ampezzo; ma che – com’è evidente - riguarda il significato di una norma applicabile nella generalità del Veneto.
Il caso ha avuto dunque ad oggetto una domanda di permesso di costruire presentata – da una società di capitali - per l’ampliamento di un preesistente fabbricato destinato ad uso residenziale e sito in zona agricola.
A fronte della pretesa della ricorrente di veder consentito l’ampliamento fino agli 800 mc. dell’esistente, il TAR ha confermato la posizione negativa assunta dal Comune, e ha affermato che: “in realtà il comma 5 dell’art. 44 della legge regionale n. 11 del 2004 si inserisce all’interno della norma che prescrive che nella zona agricola sono ammessi, in attuazione di quanto previsto dal PAT e dal PI, esclusivamente interventi edilizi in funzione dell’attività agricola. Tali interventi sono consentiti, sulla base di un piano aziendale, esclusivamente all’imprenditore agricolo titolare di un’azienda agricola (art. 44 commi 1 e 2 della legge regionale n. 11 del 2004)”.
La conclusione è dunque obbligata: “La ricorrente, non avendo i requisiti soggettivi previsti, né avendo dimostrato che l’ampliamento è funzionale all’attività agricola, non lo può ottenere”.
Né ha ragione di porsi, secondo il TAR, alcun dubbio interpretativo derivante dalla previsione testuale che inserisce gli interventi di ampliamento tra quelli “sempre consentiti”: “L’avverbio ‘sempre’ di cui al comma 5 dell’art. 44 della legge regionale n. 11 del 2004 indica che il PAT e il PI non possono inibire la possibilità di ampliare in zona agricola la casa di abitazione fino a 800 metri cubi”, ma “fermi comunque restando i requisiti previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 44 della legge regionale n. 11 del 2004 per poter effettuare interventi in zona agricola”.
La sentenza è tutta qui, essendo resa in forma semplificata, ma è chiara e precisa nel suo percorso logico: non si può guardare al 5^ comma di un articolo senza guardare ai commi precedenti; non si possono considerare in astratto gli interventi previsti in tale comma, ammettendoli a prescindere dalle condizioni prescritte nella parte precedente dello stesso articolo.
Potrà sembrare più o meno condivisibile: ma, certo, la disciplina di legge ben può essere ragionevolmente intesa come l’ha intesa il TAR Veneto, valorizzandone le chiare affermazioni di principio (sulla funzionalità degli interventi edilizi all’attività agricola) e dunque le prescrizioni conseguenti (in tema di piano aziendale e azienda agricola).
La conferma da parte del Consiglio di Stato
Del resto - e non è senza rilievo per chi è chiamato ad applicare le norme - l’interpretazione data dal Giudice di primo grado è stata condivisa anche da quello d’appello. Ed infatti, con la decisione n. 798 del 12.2.2010, il Consiglio di Stato, sez. IV, ha letto esattamente allo stesso modo del TAR Veneto le norme della legge regionale 11, riconoscendone anzi espressamente il senso e l’importanza.
L’art. 44 in disamina” – afferma il Consiglio di Stato – “si assume il compito di disciplinare l’edificabilità nel territorio rurale, dimostrando una singolare attenzione del legislatore regionale alle modalità con cui verranno realizzati gli insediamenti”. E, più oltre: “Certamente il legislatore abbraccia una concezione estremamente rigorosa delle costruzioni in zona agricola, tanto da impedire del tutto nuovi interventi che non siano funzionali all’attività agricola, e quindi vieta espressamente, a chi non abbia i requisiti previsti, qualsiasi tipo di realizzazione che sia assimilabile al concetto di intervento edilizio”.
Non c’è che dire, il massimo Giudice amministrativo ha preso in parola il legislatore regionale, valorizzandone le enunciazioni di principio e le prescrizioni conseguenti: “La detta rigidità della norma, l’espressa previsione di una oggettivazione dei requisiti legittimanti le nuove costruzioni, la ratio di tutela implicita negli articoli 43 e 44 in disamina, spingono a ritenere del tutto anomala la lettura che del comma 5 vuole fare l’appellante “ (che, appunto, ne deduceva la facoltà di intervenire in ampliamento “sempre”, a prescindere dai requisiti; e dunque – secondo il Consiglio di Stato - intendeva la norma come “autoapplicativa, e quindi del tutto slegata dal contesto in cui viene a trovarsi”).
Ed in effetti” – conclude la pronuncia – “in un coacervo normativo di tale significatività, coeso e teso alla tutela delle aree in questione, appare quanto meno azzardato ritenere che il legislatore regionale, utilizzando l’avverbio ‘sempre’ nel citato comma 5, abbia voluto di fatto mettere in ombra tutto l’impianto normativo e consentire gli ampliamenti voluti dall’appellante senza alcun riguardo alla situazione soggettiva dei richiedenti”.
Non è dato comprendere se davvero l’art. 44 della legge regionale 11 sia stato concepito con tutta la coerenza che il Consiglio di Stato presume, e con una tale coesione e tensione alla tutela delle aree in questione: ma, certo, questo è il giudizio del Consiglio di Stato sulla legislazione regionale vigente, ed è un giudizio estremamente positivo, che la accredita come un sistema unitario in cui gli interventi edilizi non vanno consentiti “azzardatamente”.
Le indicazioni regionali dopo Cortina
Peraltro, anziché essere lieta di tale positiva valutazione della propria legislazione, la Regione non sembra aver apprezzato la pronuncia del Consiglio di Stato. Ne è prova la nota 25 marzo 2010 prot. n. 169673, che – pur essendo una nota interna[13] – ha avuto ampia diffusione tra tutti gli enti locali del Veneto.
In tale nota, dopo aver dato atto degli specifici precedenti del TAR Veneto e del Consiglio di Stato, tuttavia “si ritiene di proporre una diversa lettura” dell’art. 44, co. 5^.
Gli argomenti che dovrebbero giustificare tale diversa lettura – ricordati in successione nella nota – non paiono però particolarmente convincenti. In sintesi:
- si ricorda la giurisprudenza della Corte costituzionale che considera lesivo del contenuto minimo della proprietà il divieto di procedere alla manutenzione di un immobile; ma sembra invero di tutta evidenza che se è incostituzionale la privazione della facoltà di intervenire per la manutenzione di un immobile, non per questo lo è anche la privazione della facoltà di ampliare quello stesso immobile;
- si ricorda il “piano casa”, cioè la L.R. 14/2009, che - nel consentire l’ampliamento fino al 20 per cento sulla volumetria massima assentibile per la zona agricola - farebbe “implicitamente riferimento agli 800 mc., a conferma della lettura dianzi evidenziata[14]; ma, in realtà, la norma del “piano casa” citata non sembra confermare alcunché sulla possibilità di ampliare le case di abitazione in zona agricola senza averne i requisiti. Anzi, semmai è il contrario: è la legislazione sul piano casa che va oggi riconsiderata alla luce delle pronunce del Giudice amministrativo su quando sia assentibile un intervento edilizio in zona agricola (ma su ciò, vedi oltre);
- si ricorda che in sede di discussione della L.R. 4 del 2008 era stato votato (e, par di capire, respinto) un emendamento restrittivo, volto ad evitare l’ampliamento indiscriminato delle case di abitazione in zona agricola: ma neppure in questo caso sembra si possa trarre un argomento decisivo dalla discussione di un emendamento poi respinto, a fronte della chiara interpretazione della norma di legge da parte del Giudice amministrativo che si è sopra ricordata;
- si ricorda che in precedenza la L.R. 24/1985 ammetteva l’ampliamento (sia pure con il requisito della residenza stabilmente abitata da almeno sette anni); ma è appena il caso di notare che L.R. 24 era un’altra legge;
- si ricorda infine che una recente ordinanza cautelare del TAR Veneto, la n. 140/20010 – non avendo accolto la richiesta di sospensione di un permesso di costruire rilasciato a un soggetto non imprenditore agricolo - lascerebbe “spazio ad una possibile rilettura della norma rispetto a quanto affermato con le sentenze 1353/2009 e 798/2010”; ma certo non è agevole desumere un possibile “revirement” nei confronti di una giurisprudenza specifica sul punto (anche) del Consiglio di Stato a partire da una decisione cautelare di primo grado, oltretutto per niente esplicita nell’interpretazione data alla norma in questione[15];
- si ricorda infine che le sentenze del TAR e del Consiglio di Stato fanno stato soltanto tra le parti; ciò che è certamente vero, ma che non le rende affatto irrilevanti per chi deve interpretare e quindi applicare quelle stesse norme che sono state oggetto di tali pronunce.
La conclusione della nota è quindi “sfumata”: le sentenze già intervenute non impedirebbero – si afferma - la lettura suggerita con la nota, ma ciò “in attesa di un auspicabile intervento legislativo confermativo della tesi ampliativa sostenuta dalla Regione”. E questa è in realtà l’aspettativa che si è ora consolidata: un intervento del legislatore con una norma interpretativa, e quindi retroattiva, che risolva ogni problema pratico.
Nel frattempo, come giustamente termina la nota – ma certo, in modo non rassicurante per l’operatore – “spetta a ciascun ente locale la scelta in ordine alle modalità regolative da applicare ai casi concreti”.
Il rilascio di nuovi permessi di ampliamento e i permessi già rilasciati
Insomma, anche tale ultima nota interpretativa degli Uffici regionali – per chi ora è chiamato a dare applicazione alla legge all’interno di ogni ente locale – vale quel che vale.
Non è facile dare indicazioni. Ma - nel rapporto tra il peso che ha la giurisprudenza anche d’appello specifica sul punto e il diverso peso delle nuove indicazioni regionali (peraltro, esse stesse ben consapevoli dei propri limiti, nel loro auspicio finale di un intervento del legislatore regionale) – non è possibile al commentatore avallare il rilascio di nuovi titoli edilizi per interventi di ampliamento in mancanza delle condizioni dei primi due commi dell’art. 44.
Certo, se ciò accadrà senza che nessuno impugni avanti a un Giudice i nuovi titoli, potranno anche non insorgere problemi nella pratica; ma il rischio di rilasciare titoli illegittimi è evidente: le pronunce su Cortina faranno anche stato solo per il caso deciso, ma – se c’è una logica – la medesima interpretazione giurisprudenziale dovrebbe (presumibilmente) continuare ad essere seguita in ogni caso di applicazione di quelle stesse norme.
Per i titoli già rilasciati, la questione è diversa: ed è in realtà assai recente (febbraio 2010) la pronuncia del Consiglio di Stato che ha ora definitivamente sconfessato la circolare regionale n. 2/2009 (sulla cui base la gran parte degli enti locali si è fino ad oggi fondata nel rilascio dei titoli edilizi). Peraltro, sotto il profilo giuridico, è certamente corretto e condivisibile l’operato di quell’ente locale che – non avendo ancora ricevuto alcuna comunicazione di inizio lavori, e ravvisando un interesse pubblico urbanistico specifico ad impedire l’ampliamento di una casa di abitazione esistente in zona agricola (ad es., per la particolare valenza ambientale di quest’ultima, per il suo valore paesaggistico, per l’esigenza di limitazione del consumo di suolo in quella zona agricola , ecc. ecc.) – avvii un procedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire precedentemente rilasciato in base alla più larga interpretazione dell’art. 44 co. 5 ora censurata dalla giurisprudenza.
Gli ampliamenti del “piano casa” in zona agricola
Ci si deve inoltre interrogare in merito agli effetti che l’interpretazione della disciplina delle zone agricole ora data dalla giurisprudenza possa avere sulla recente legislazione regionale in tema di “piano casa”.
I temi sembrano distinti. Quanto al “piano casa”, il riferimento è infatti alla L.R. 14/2009, rispondente ad esigenze di carattere eccezionale, che nulla dice sui requisiti per gli interventi in zona agricola, ma che certamente non esclude di applicarsi in zona agricola, come si evince da un’esplicita disposizione di legge (e sarà semmai una scelta della delibera consiliare di ciascun Comune quella di limitare o escludere simili interventi). Dispone infatti l’art. 9 co. 6 della L.R. 14 che “per gli edifici residenziali in zona agricola l’ampliamento del 20 per cento qualora sia realizzato sulla prima casa di abitazione, è calcolato sulla volumetria massima assentibile ai sensi della vigente normativa”.
Ma la questione ritorna: ci si deve comunque chiedere se anche per gli interventi in zona agricola basati sul “piano casa” siano o meno richieste le condizioni di cui all’art. 44 , 1 e 2 comma, della L.R. 11.
La circolare regionale n. 4/2009 afferma, al riguardo, che è possibile realizzare gli interventi del “piano casa” in zona agricola “senza che ciò sia condizionato alla sussistenza di requisiti oggettivi o soggettivi diversi da quelli previsti dalla legge”. In realtà, il testo non è scritto con chiarezza (non si comprende se la legge cui si fa riferimento sia la stessa L.R. 14/2009, che peraltro di requisiti non ne pone); ma probabilmente l’intendimento della circolare regionale era di affermare che l’ampliamento del “piano casa” prescinde dai requisiti dell’art. 44 L.R. 11.
Ora, è certo possibile ritenere che si tratti di due tipi di ampliamento ben diversi tra loro; e che dunque, mentre l’ampliamento ex art. 44 co. 5 L.R. 11 richiede – come visto - i requisiti di cui ai primi due commi dello stesso art. 44, l’ampliamento eccezionale del “piano casa” invece non li richiede.
Ma le pronunce giurisprudenziali ora intervenute sul “caso Cortina” pongono dubbi ulteriori.
Sotto un primo profilo, può invero dubitarsi che – se si deve calcolare l’ampliamento possibile “sulla volumetria massima assentibile ai sensi della vigente normativa” (come dice l’art. 9 co. 6 L.R. 14) - allora il necessario punto di riferimento del calcolo sia una volumetria assentibile se ve ne sono le condizioni normative (e, dunque, se sussistono i requisiti dell’art. 44, co. 1 e 2, L.R. 11).
E, sotto altro profilo, l’art. 9, co. 2 della L.R. 14 afferma: “In ogni caso gli ampliamenti sono consentiti esclusivamente su aree che abbiano una destinazione compatibile con la destinazione d’uso dell’edificio da ampliare”. Orbene, dopo le pronunce sul caso Cortina, la funzionalizzazione delle aree agricole all’attività agricola è divenuta più marcata e più netta, in conformità alle affermazioni di principio del primo comma dell’art. 44 valorizzate dal Giudice amministrativo. Cosicché può dubitarsi che in nessun caso sia ammesso con il “piano casa” l’ampliamento su un’area agricola di una casa di abitazione che non sia funzionale all’attività agricola (e, in specie, non sia un elemento di quell’azienda agricola che il legislatore richiede quale presupposto di ogni intervento).
Le scelte future del legislatore veneto
Prevedere il futuro non è mai facile. Ma, come sopra si accennava, ciò che ora tutti prevedono è che interverrà a breve una norma di legge regionale interpretativa (e dunque retroattiva), a chiarire quella che – in ipotesi - è sempre stata l’interpretazione corretta da dare al co. 5 dell’art. 44: quella secondo cui l’ampliamento delle case di abitazione in zona agricola è sempre consentito, a prescindere da qualsivoglia requisito.
In fondo, questa era la volontà della Regione già con la circolare n. 2/2009, e questa l’aspettativa che si è diffusa sul territorio (anche sulla base di quella circolare); e, dunque, interverrà una norma di legge che risolverà i procedimenti pendenti e i contenziosi, e consentirà a chi lo vorrà di ampliare la propria casa di abitazione in zona agricola, come del resto è stato finora di regola consentito a quanti già l’hanno chiesto dopo la L.R. 4/2008.
Però due sono le possibilità di lettura del “caso Cortina”, e – più in generale - due gli scenari possibili nella disciplina degli interventi nelle zone agricole del Veneto.
- Può darsi che si sia trattato soltanto di un errore. Il legislatore veneto - quando con la L.R. 4/2008 ha voluto consentire “sempre” l’ampliamento delle case di abitazione in zona agricola, per il solo fatto della loro esistenza - ha compiuto una disattenzione: ha pensato di poterlo fare introducendo un 5^ comma in una disposizione (l’art. 44, appunto) che però prima ne aveva degli altri, i quali ponevano precise prescrizioni. E, insomma, non si è reso conto che un Giudice prima o poi avrebbe potuto pensare che le prescrizioni dei primi commi si estendessero anche al nuovo 5^ comma, limitando così quella facoltà di ampliamento che si voleva libera e incondizionata.
E allora, se è andata così, è solo un problema di tecnica legislativa, di cattivo coordinamento tra disposizioni all’interno di un articolo: e, dunque, ben venga una legge regionale interpretativa, perché è lo strumento giusto per “ripulire” il testo di quell’articolo.
- Ma le cose possono anche essere diverse, più serie; e il problema può essere un problema di fondo.
La nuova disciplina posta per gli interventi nelle zone agricole dall’art. 44 della L.R. 11 vuole essere “rigida”, rispondente cioè a quella logica espressa con chiarezza dalle parole usate: non si vuole più consentire l’ulteriore consumo del suolo agricolo per interventi edilizi non funzionali all’attività agricola. Ed è tale logica ad essere stata confermata dal Consiglio di Stato, che ha riconosciuto nella legge veneta – come sopra ricordato – una “tensione” alla tutela delle aree agricole, in coerente applicazione di una concezione estremamente rigorosa degli interventi edilizi ammessi in esse.
Se questa davvero è la portata della disciplina regionale, allora - con la norma interpretativa oggetto dell’odierna attesa - ben si potrà liberalizzare l’ampliamento di tutte le case di abitazione; ma, dietro l’apparenza di una norma interpretativa, si creerebbe in realtà una normativa “rinnegante”, che nello specifico – nel caso cioè, di grande importanza pratica, dell’ampliamento di tutte le case di abitazione – si porrebbe in contraddizione con la risoluta enunciazione del principio cui la legge si ispira.
E’ tuttavia evidente l’inutilità di scrivere principi che poi non si applicano. E forse il “caso Cortina” – pur con tutte le difficoltà concrete che determina – un senso ce l’ha: l’invito al legislatore ad essere coerente.


[1] Si riporta, per comodità di lettura, il testo dell’articolo 43: “Tutela del territorio agricolo nel Piano Regolatore Comunale.
1. Il piano di assetto del territorio (PAT) individua:
a) gli edifici con valore storico-ambientale e le destinazioni d'uso compatibili;
b) le tipologie e le caratteristiche costruttive per le nuove edificazioni, le modalità d'intervento per il recupero degli edifici esistenti con particolare attenzione a quelli di cui alla lettera a);
c) i limiti fisici alla nuova edificazione con riferimento alle caratteristiche paesaggistico-ambientali, tecnico-agronomiche e di integrità fondiaria del territorio;
2. Il piano degli interventi (PI) individua:
a) gli ambiti delle aziende agricole esistenti;
b) gli ambiti in cui non è consentita la nuova edificazione con riferimento ai limiti di cui al comma 1, lettera c);
c) gli ambiti in cui eventualmente localizzare gli interventi edilizi nel caso in cui siano presenti congiuntamente una frammentazione fondiaria e attività colturali di tipo intensivo quali orti, vivai e serre;
d) le destinazioni d'uso delle costruzioni esistenti non più funzionali alle esigenze dell'azienda agricola, fermo restando quanto previsto dal PAT per gli edifici con valore storico-ambientale di cui al comma 1, lettera a);
e) le modalità costruttive per la realizzazione di serre fisse collegate alla produzione e al commercio di piante, ortaggi e di fiori coltivati in maniera intensiva, anche con riferimento alle altezze, ai materiali e alle opere necessarie alla regimazione e raccolta delle acque meteoriche e di quelle derivanti dall'esercizio dell'attività.
”.
[2] Art. 44, co. 1: “Nella zona agricola sono ammessi, in attuazione di quanto previsto dal PAT e dal PI, esclusivamente interventi edilizi in funzione dell'attività agricola, siano essi destinati alla residenza che a strutture agricolo-produttive così come definite con provvedimento della Giunta regionale ai sensi dell'articolo 50, comma 1, lettera d), n. 3.
[3] Si riportano i co. 2 e 3 dell’art. 44:
2. Gli interventi di cui al comma 1 sono consentiti, sulla base di un piano aziendale, esclusivamente all'imprenditore agricolo titolare di un'azienda agricola con i seguenti requisiti minimi:
a) iscrizione all'anagrafe regionale nell'ambito del Sistema Informativo del Settore Primario (SISP) di cui all'
articolo 11 della legge regionale 12 dicembre 2003, n. 40 "Nuove norme per gli interventi in agricoltura" e successive modificazioni;
b) occupazione di almeno una unità lavorativa a tempo pieno regolarmente iscritta nei ruoli previdenziali agricoli presso l'INPS; tale requisito non è richiesto per le aziende agricole ubicate nelle zone montane di cui alla
legge regionale 9 settembre 1999, n. 39 "Modifica della legge regionale 3 luglio 1992, n. 19 "Norme sull'istituzione e il funzionamento delle comunità montane" " e successive modificazioni;
c) redditività minima definita sulla base dei parametri fissati dalla Giunta regionale ai sensi dell'
articolo 50, comma 1, lettera d), n. 1.” (…);
3. Il piano aziendale di cui al comma 2, redatto da un tecnico abilitato del settore secondo i parametri indicati dal provvedimento di cui all'articolo 50, comma 1, lettera d), n. 2, è approvato dall'ispettorato regionale dell'agricoltura (IRA) e contiene in particolare:
a) la certificazione dei requisiti di cui al comma 2;
b) la descrizione analitica dei fattori costitutivi l'azienda agricola: numero di occupati, dettaglio delle superfici, delle coltivazioni, degli allevamenti, delle produzioni realizzate, delle attività connesse e dei fabbricati esistenti;
c) la descrizione dettagliata degli interventi edilizi, residenziali o agricolo-produttivi che si ritengono necessari per l'azienda agricola, con l'indicazione dei tempi e delle fasi della loro realizzazione, nonché la dichiarazione che nell'azienda agricola non sussistono edifici recuperabili ai fini richiesti. Per gli interventi con finalità agricolo-produttive il piano deve dimostrare analiticamente la congruità del loro dimensionamento rispetto alle attività aziendali.”
[4] Cfr. in specie art. 3, co. 1, L.R. 24/1985: “L’edificazione di case di abitazione nelle zone agricole è concessa alle seguenti condizioni: 1) che sia in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze abitative dell’imprenditore agricolo, singolo o associato e degli addetti all’azienda, coadiuvanti e/o dipendenti dalla stessa; (…)”.
[5] Art. 44, co. 4, nel testo modificato dalla L.R. 4/2008: “Gli interventi di cui al comma 1 sono consentiti:
a) per l’ampliamento di case di abitazione esistenti, fatto salvo quanto previsto al comma 5, fino a 200 mc. per ogni familiare e/o addetto regolarmente occupato come unità lavoro, documentabile con l’iscrizione agli specifici ruoli previdenziali presso l’INPS, e comunque non oltre 1.200 mc.;
a bis) per usi agrituristici, ai richiedenti aventi titolo ai sensi della normativa vigente, l’ampliamento delle case di abitazione fino a 1.200 mc., comprensivi dell’esistente, anche in aderenza alla parte rustica presente;
b) per nuove case di abitazione, qualora non esistenti nell'azienda agricola, fino ad un limite di 600 mc. per ogni azienda agricola, ampliabili di 100 mc. per ogni familiare e/o addetto regolarmente occupato come unità lavoro, documentabile con l'iscrizione agli specifici ruoli previdenziali presso l'INPS, e comunque non oltre 1200 mc.;
c) per le strutture agricolo-produttive con il limite della loro funzionalità e congruità rispetto alle attività aziendali, fatte salve eventuali scelte più restrittive del piano di assetto del territorio.
[6] Art. 44, co. 5, nel testo sostituito dalla L.R. 4/2008: “Gli interventi di recupero dei fabbricati esistenti in zona agricola sono disciplinati dal PAT e dal PI ai sensi dell’articolo 43. Sono sempre consentiti gli interventi di cui alle lettere a), b) e c) dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni, nonché l’ampliamento di case di abitazione fino ad un limite massimo di 800 mc. comprensivi dell’esistente, purché eseguiti nel rispetto integrale della tipologia originaria.”
[7] L’approvazione del solo PAT non sembra sufficiente a rendere operativa la disciplina a regime, giacché – a fronte del chiaro riferimento testuale (cfr. art. 48, co. 7 ter) all’approvazione sia del PAT sia del PI - non pare invocabile al riguardo la disposizione – posta a tutt’altri fini - secondo cui, approvato il PAT, il PRG acquista il valore di PI per le parti compatibili (cfr. art. 48, co. 5, L.R. 11: “I piani regolatori generali vigenti mantengono efficacia fino all’approvazione del primo PAT. A seguito dell’approvazione di tale piano, i piani regolatori generali vigenti acquistano il valore e l’efficacia del PI per le sole parti compatibili con il PAT.).
[8] Rispettivamente:
Art. 48, co. 3, come modificato dalla L.R. 20/2004: “3. L'edificazione in zona agricola continua ad essere disciplinata dalla legge regionale 5 marzo 1985, n. 24 "Tutela ed edificabilità delle zone agricole" e successive modificazioni, ivi comprese le modifiche contenute nell'articolo 1, comma 8, lettere a) e b) della legge regionale 27 dicembre 2002, n. 35, e successive modificazioni, fino all'approvazione del primo PAT e del primo PI e, comunque, per non più di un anno decorrente dall'applicazione degli articoli da 1 a 49. Decorso tale termine, fatti salvi i procedimenti autorizzatori in corso per i quali continua ad applicarsi la legge regionale 5 marzo 1985, n. 24 , si applica la normativa di cui agli articoli 43, 44 e 45.
Art. 48, co. 7 bis 3, come aggiunto dalla L.R. 23/2005: “In deroga al comma 3, fino all'approvazione del primo PAT e del primo PI e, comunque non oltre il 30 giugno 2006, nelle zone agricole sono consentiti esclusivamente gli interventi di ampliamento ai sensi dell’articolo 4 della legge regionale 5 marzo 1985, n. 24 e successive modificazioni ad eccezione delle zone agricole dei territori classificati montani, ai sensi dell’articolo 1 della legge regionale 18 gennaio 1994, n. 2 “Provvedimenti per il consolidamento e lo sviluppo dell’agricoltura di montagna e per la tutela e la valorizzazione dei territori montani.”, dove sono consentiti tutti gli interventi di edificazione previsti dalla legge regionale 5 marzo 1985, n. 24 e successive modificazioni, ivi comprese le modifiche contenute nell’articolo 1, comma 8, lettere a) e b) della legge regionale 27 dicembre 2002, n. 35 , e successive modificazioni. Decorso il termine suindicato si applica la normativa di cui agli articoli 43, 44 e 45, fatti salvi i procedimenti autorizzatori in corso per i quali continua ad applicarsi la legge regionale 5 marzo 1985, n. 24 e successive modificazioni.
[9] Art. 48, co. 7 ter, come sostituito dalla L.R. 4/2008: “Decorso il termine di cui al comma 7 bis 3, fermi restando gli interventi consentiti ai sensi del comma 5 dell’articolo 44, nelle more dell’approvazione del primo PAT e PI:
a) nelle sottozone classificate E1, E2, E3 dal vigente piano regolatore generale comunale sono consentiti, nel rispetto delle previsioni e prescrizioni dello stesso:
1) gli interventi previsti dal vigente strumento urbanistico comunale finalizzati alla tutela del patrimonio storico, ambientale e rurale ai sensi degli articoli 10 e 12 della
legge regionale 5 marzo 1985, n. 24 ;
2) per le costruzioni esistenti non più funzionali alle esigenze del fondo individuate e disciplinate dallo strumento urbanistico vigente, gli interventi in esso previsti;
3) gli interventi edilizi, compresa la nuova edificazione, in funzione dell'attività agricola destinati a strutture agricolo-produttive con le modalità di cui agli articoli 44 e 45;
b) nelle sottozone classificate E2 e E3 dal vigente piano regolatore generale comunale sono, altresì, consentiti gli interventi di cui alla lettera d), comma 1 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e successive modificazioni nonché, fermo restando quanto previsto ai commi 2 e 3 dell’articolo 44, la realizzazione di nuovi edifici residenziali da destinare ad abitazione principale nel limite di 600 mc.;
c) nelle sottozone classificate E4 - centri rurali - dal vigente piano regolatore generale comunale sono consentiti tutti gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale vigente;
d) oltre agli interventi ammessi per ciascuna tipologia di sottozona ai sensi delle lettere a), b) e c), nelle zone agricole dei territori montani di cui all'articolo 1 della
legge regionale 18 gennaio 1994, n. 2 “Provvedimenti per il consolidamento e lo sviluppo dell'agricoltura di montagna e per la tutela e la valorizzazione dei territori montani” sono consentiti, altresì, gli interventi finalizzati al mutamento di destinazione d'uso residenziale nei limiti di 300 mc., a condizione che l'edificio sia dichiarato non più funzionale alle esigenze del fondo, sulla base di un'analisi agronomica redatta da un tecnico abilitato e certificata dall'ispettorato regionale dell'agricoltura, e che le eventuali opere necessarie per l'allacciamento alle reti tecnologiche e per l'accessibilità viaria siano a carico del richiedente. Nelle zone E1, il cambio di destinazione d’uso a fini residenziali è consentito esclusivamente con gli interventi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e successive modificazioni;
e) per le costruzioni non oggetto di tutela da parte del vigente piano regolatore generale ubicate nelle zone di protezione delle strade di cui al DM 1° aprile 1968, n. 1404 e in quelle di rispetto al nastro stradale e alle zone umide vincolate come inedificabili dagli strumenti urbanistici generali, sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del comma 1 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, compresa la demolizione e la ricostruzione in loco oppure in area agricola adiacente, sempre che non comportino l’avanzamento dell’edificio esistente sul fronte stradale o sul bene da tutelare.
[10]Art. 48, co. 7 sexies, introdotto dalla L.R. 11/2010: “Fino al primo PAT e PI sono sempre ammessi gli interventi di cui all’articolo 18 bis.”.
[11] Art. 18 bis, introdotto dalla L.R. 11/2010: “Interventi in diretta attuazione degli strumenti urbanistici generali. 1. Sono sempre ammessi in diretta attuazione degli strumenti urbanistici generali, anche in assenza dei piani attuativi dagli stessi richiesti, gli interventi sul patrimonio edilizio esistente di cui alle lettere a), b), c) e d), dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” e quelli di completamento su parti del territorio già dotate delle principali opere di urbanizzazione primaria e secondaria
[12] Circolare approvata con deliberazione della Giunta regionale n. 4146 del 30 dicembre 2008, e pubblicata sul Bur n. 9 del 27.1.2009
[13] Si tratta infatti non di una delibera di Giunta Regionale, ma di una nota – avente ad oggetto “Interventi edilizi in zona agricola. Intepretazione dell’articolo 44, comma 5, dela legge regionale n. 11 del 2004 – indirizzata dal Dirigente Regioanle della Direzione affari legislativi alla Direzione Urbanistica della Regione Veneto.
[14] Dispone l’art. 9, co. 6, ultimo periodo della L.R. 14/2009: “Per gli edifici residenziali in zona agricola l’ampliamento del 20 per cento qualora sia realizzato sulla prima casa di abitazione, è calcolato sulla volumetria massima assentibile ai sensi della vigente normativa”.
[15] In realtà, dalla lettura dell’ordinanza del TAR n. 140/2010, citata nella nota, non si ricava molto: si afferma sì che “le prospettive di esito favorevole del ricorso non sono tali da giustificare l’accoglimento della domanda cautelare, in considerazione dell’applicazione dell’art. 44, comma V, della l.r. n. 11 del 2004, come modificato dalla l.r. n. 4 del 2008, che consente l’ampliamento delle case di abitazione sino ad un limite massimo di 800 mc. comprensivi dell’esistente, purché eseguiti nel rispetto integrale della tipologia originaria…”, ma subito si aggiunge – introducendo un elemento diverso - “… e della circostanza che, nella fattispecie in esame, non emerge, allo stato, la violazione della disciplina delle distanze di cui al D.M. n. 1444 del 1968.
Non sembra pertanto che da ciò debba desumersi una negazione dell’orientamento giurisprudenziale pregresso sull’interpretazione dell’art. 44 co. 5 giacché, a prescindere dal fatto – evidente – che si tratta di un’ordinanza cautelare e non di una sentenza, non vi è in essa una presa di posizione espressa in merito; ed anzi il ricorso sembra diretto non tanto contro un titolo edilizio rilasciato per l’ampliamento di una casa di abitazione a chi non ne aveva i requisiti, ma – come si legge nell’epigrafe – contro un permesso di costruire per la ristrutturazione con cambio d’uso da agricolo a residenziale di un pregresso fabbricato.
La posizione del TAR è stata peraltro ripetuta nello stesso giudizio, su una rinnovata domanda cautelare del ricorrente, con la successiva ordinanza 206/2010, ove si afferma che il ricorso per motivi aggiunti “non contiene elementi di fumus tali da giustificare l’accoglimento della domanda cautelare già respinta, in considerazione dell’applicazione, in quella sede ritenuta corretta, dell’art. 44 co. 5 della l.r. 11/2004 come modificata dalla l.r. 4/2008 …”. Ma oltre queste affermazioni (non esplicite sul punto), anche nella nuova ordinanza cautelare non si va: e dunque non sembra si possa ravvisare neanche in essa alcuna prova di una rilettura giurisprudenziale delle norme (a parte il fatto che il Giudice amministrativo, se vuole allontanarsi dai precedenti, dovrebbe comunque esplicitare la propria rinnovata valutazione).
Ultimo aggiornamento ( domenica 08 maggio 2011 )
 
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