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Il regime dell'atto amministrativo non conforme alla normativa comunitaria PDF Stampa E-mail
giovedì 03 giugno 2010

di ROCCO GIACOBBE VACCARI*

*Sintesi del seminario svoltosi in data 22/05/2010 e tenuto dagli avv.ti Prof. Bruno Barel e Prof. Paolo Piva.

 

Per delineare il regime dell'atto amministrativo (nazionale) non conforme alla normativa comunitaria è necessario individuare il contesto in cui esso si inserisce.

Si tratta, infatti, della così detta “Comunità di diritto” od “Unione Europea” quale ordinamento giuridico di nuovo genere[1].

La novità sta nel fatto che quest'ultimo non è statale, ma ontologicamente settoriale e poggia sul diritto internazionale pattizio dotato di una propria vis espansiva.

Esso si sviluppa in un sistema di fonti scritte e non scritte che si è andato a consolidare sia in senso orizzontale che in verticale.

Importante fonte del diritto europeo sono i “principi generali del diritto” detti anche “principi fondamentali” o “principi comuni agli Stati membri”.

Tali principi hanno la peculiarità di essere dei canoni con struttura e fondamento proprio - non scritti o codificati - e nonostante ciò influenzano il diritto dei singoli Stati membri fungendo da criteri di interpretazione delle regole materiali precettive.

Esempi sono il principio della libera concorrenza, di tutela del legittimo affidamento, di proporzionalità, dell'effetto utile, di leale collaborazione tra gli Stati, di uguaglianza, di non discriminazione, di supremazia del diritto comunitario sul diritto interno.

Principi che possono essere ricavati dalle norme comunitarie, ma è la giurisprudenza comunitaria ad enuclearli e a suggerirli (riferimento esplicito si ricava ex art. 288 TCE in materia di responsabilità extracontrattuale).

Ricordiamo, soprattutto, il principio della certezza del diritto che guida gli Stati membri nell'applicazione e nell'interpretazione delle norme dell'Unione europea nel loro diritto interno.

Per esempio, tramite questo principio si è data efficacia ex nunc a certe sentenze (in quanto un'efficacia retroattiva del principio di diritto deciso dalle stesse avrebbe compromesso e confuso situazioni giuridiche già consolidate); e, assieme al principio di tutela del legittimo affidamento, funge da parametro per stabilire l'efficacia degli atti amministrativi (in tema di atti illegittimi).

Così facendo, questi principi incidono sull'ordinamento giuridico degli Stati membri, obbligando gli operatori del diritto ad  evitare il realizzarsi di un conflitto tra le norme interne di dettaglio ed i principi comunitari. Si crea, in sostanza, un fenomeno assimilabile ad una sorta di controllo diffuso di costituzionalità.

Il giudice nazionale si trova, quindi, ad effettuare un'attività a cui non è ancora abituato, ossia a giudicare le sue norme sulla scorta dei principi comunitari. In generale, si può affermare che in caso di contrasto tra le norme interne degli Stati membri e le norme comunitarie scritte o non scritte, sarà la norma nazionale ad essere disapplicata.

La Corte di Giustizia delle comunità europee ha chiarito che tale regola vale sia per il diritto nazionale sostanziale ma sia anche per il diritto nazionale processuale.

Nel corso degli anni, si può assistere al formarsi di una serie di tappe giurisprudenziali della Corte comunitaria e delle Corti nazionali italiane che segnano “un percorso di comunitarizzazione del diritto nazionale dei singoli Stati appartenenti all'Unione europea”.

 

La Corte di giustizia, nella sentenza Simmenthal del 09.03.1978 ribadisce le proprie precedenti posizioni circa la preminenza del diritto comunitario sul diritto interno degli Stati membri (posizioni già affermate nella sentenza resa il 15.07.1964, Costa c. Enel), chiarendo che tale preminenza comporta l'immediata applicabilità dei regolamenti negli ordinamenti nazionali, prevalendo sulle norme interne eventualmente incompatibili, anche successive.

Successivamente, con la sentenza 22.06.1989, Fratelli Costanzo, la Corte ha avuto modo di sottolineare che la disapplicazione di norme interne incompatibili con il diritto comunitario sussiste non soltanto quando tali norme interne contrastino con un regolamento, ma anche quando siano in conflitto con qualsiasi norma comunitaria produttiva di effetti diretti.

 

Con la sentenza n. 26/62, Van Gend en Loos c. Amministrazione olandese delle imposte la Corte ha affermato che il diritto comunitario, indipendentemente dalle norme emanate dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi attribuisce loro diritti soggettivi. Si deve ritenere che questi sussistano non soltanto nei casi in cui il Trattato espressamente li menziona, ma anche come contropartita di precisi obblighi imposti dal Trattato ai singoli, agli stati membri o alle istituzioni comunitarie.

 

Con la sentenza 30.09.2003, causa C-224/01 caso Kobler la C.G.C.E. fa derivare la responsabilità dello Stato per l'attività posta in essere dal potere giudiziario dall'idea di “Stato inteso come organismo unico, che risponde per tutti gli atti posti in essere da ogni suo organo, indipendentemente dalla maggiore o minore autonomia di cui gode”.

Tale principio aveva trovato una prima affermazione teorica nella sentenza 05.03.1996 Brasserie du Pêcheur e Factortame (cause riunite C-46/93 e C-48/93) nella quale la Corte affermava che la responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli “ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro, qualunque sia l'organo di quest'ultimo la cui azione o omissione ha dato origine alla controversia[2]”.

 

Analizzando la nostra giurisprudenza, soprattutto quella del Consiglio di Stato, rileviamo che si comprendono nella nozione di diritto interno anche gli atti amministrativi, e nel caso di contrasto tra essi e le norme comunitarie il Collegio romano è orientato nella non doverosità dell'annullamento o della disapplicazione. Ricordiamo ora alcune sentenze del Consiglio di Stato che hanno segnato dei punti fermi nell’evoluzione giurisprudenziale:

 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 10 gennaio 2003 n. 35 - Pres. Quaranta, Est. Deodato - ASL n. 3 Provincia di Milano (Avv. Santamaria) c. Omnia Medica s.r.l. (Avv.ti Ribolzi e Romanelli) e Cooperativa Sociale Gruppo Vita Serena (n.c.) - (annulla T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, sent. 31 maggio 2000, n. 3831)[3].

 

CONGIGLIO DI STATO, SEZ. IV – Sentenza 21 febbraio 2005 n. 579Pres. Trotta, Est. De Felice – Puerta Navarro Ana Isabel in Sorace (Avv. Mario Chiti) c. Regione Toscana (S. Santappiè, L. Bora e F. Lorenzoni) – (conferma sentenza n. 156/1996 T.a.r. Toscana, sez- II)[4].

 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 8 settembre 2008 n. 4263 - Pres. Santoro, Est. Marchitiello - Acquavitana S.p.a. (Avv. Cotza) c. Comune di Sinnai (n.c.) - (riforma T.A.R. Sardegna, Sez. I, 27 marzo 2007, n. 549)[5]. 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 19 maggio 2009 n. 3072 - Pres. Iannotta, Est. Poli - Pappalettera (Avv. Faconda) c. Comune di Trani (Avv. Daramo) e Impresa Cassese Andrea di Cassese Gennaro & C. s.a.s. (Avv.ti Cassandro e Tomasicchio) - (conferma T.A.R. Puglia - Bari, Sez. III, 1° febbraio 2008, n. 136)[6].

Per completezza segnaliamo una delle tante sentenze relative all’annosa vicenda delle così dette “Quote latte” che hanno “invaso” la magistratura amministrativa:

TAR LAZIO, ROMA, SEZ. II TER – sentenza 04 maggio 2010 n. 9450 – Pres. FF. Riccio, Est. Chinè – Caseificio Fratelli Ghidetti Carlo e Sergio s.n.c. (ora Caseificio Ghidetti s. r. l. (Avv.ti M. Aldegheri e A. Tonachella) c. AIMA – Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo, n. c. g. – Ministero dell’Economia e delle Finanze – (relativa alle c. d. “quote latte”, il Collegio accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 1, comma 8, del D.L. n. 43/1999, convertito in legge n. 118/99, annulla parzialmente il provvedimento impugnato).

 

Tornando ora ad analizzare altra giurisprudenza comunitaria che si occupa dell’applicazione dei “principi comuni agli Stati membri” anche al tema degli appalti pubblici ricordiamo:

 

- Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 14 dicembre 1995, causa C-312/1993, Peterbroek, Van Campenhout & Cie SCS, in cui si afferma che: “il diritto comunitario osta all’ applicazione di una norma processuale nazionale che, in condizioni analoghe a quelle del procedimento di cui trattasi nella causa davanti al giudice a quo, vieta al giudice nazionale, adito nell’ambito della sua competenza, di valutare d’ufficio la compatibilità di un provvedimento di diritto nazionale con una disposizione comunitaria, quando quest’ultima non sia stata invocata dal singolo entro un determinato termine[7].

 

- Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 15 settembre 1996, causa C-231/1996, tale pronuncia è stata resa nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto la richiesta di rimborso di una tassa di concessione governativa per l’iscrizione di una società nel registro delle imprese e prevede che il diritto comunitario non osta, in linea di principio, a che la normativa di uno Stato membro contempli, accanto a un termine di prescrizione ordinario applicabile alle azioni di ripetizione dell'indebito tra privati, modalità particolari di reclamo e di azione giudiziale per la contestazione delle tasse e degli altri tributi. Precisa ancora come il diritto comunitario non vieta ad uno Stato membro di opporre alle pretese dei singoli fondate sul diritto comunitario, termini nazionali di decadenza o prescrizione il cui decorso prescinda dalla considerazione che, alla data in cui la pretesa poteva essere fatta valere, la direttiva non era stata ancora correttamente attuata nell’ordinamento nazionale.

 

- Corte di Giustizia delle Comunità europee, Sez. VI, 27 febbraio 2003, C – 327/00 “Santex S.p.a.”, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte - a norma dell'art. 234 CE, dal T.A.R. Lombardia, nella causa dinanzi ad esso pendente tra Santex S.p.A. / Unità Socio Sanitaria Locale n. 42 di Pavia - vertente sull'interpretazione dell'art. 22 della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), e dell'art. 6, n. 2, UE [8].

 

- Corte di Giustizia delle Comunità europee, Sez. II, 29 aprile 1999, C – 224/1997 “Ciola”, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte - a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, dal Verwaltungsgerichtshof (Austria), nella causa dinanzi ad esso pendente tra Erich Ciola / Land Vorarlberg, - vertente sull'interpretazione del combinato disposto degli artt. da 59 a 66 e dell'art. 5 del Trattato CE, nonché dell'art. 2 dell'atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei Trattati sui quali si fonda l'Unione europea[9].

- Corte di Giustizia delle Comunità europee, Sez. IV, 24 aprile 2008, C-55/06,“Arcor” avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Verwaltungsgericht Köln (Germania) con decisione 26 gennaio 2006, pervenuta in cancelleria il 2 febbraio 2006, nella causa  Arcor AG & Co. KG” contro “Repubblica federale di Germania”, con l’intervento di: “Deutsche Telekom AG”[10]

 

Per completezza, si ricordi che i “principi comuni agli Stati membri”, ad esempio quello di parità di trattamento e dell’ obbligo di trasparenza, si applicano anche nel caso di appalti sotto soglia comunitaria. Le procedure di affidamento degli appalti sotto soglia sono state oggetto di divergenze interpretative anche per “le interferenze” delle Istituzioni comunitarie all’interno degli Stati membri (ad es. la Commissione europea ha voluto applicare le norme sulla concessione di servizi pubblici alla tematica degli appalti sotto soglia. creando così dei vincoli ulteriori che ne complicano l’applicabilità).

 

 



[1]    Oggi la nostra Costituzione (art.117) presenta un esplicito riferimento all' “ordinamento comunitario” in virtù della modifica apportata al Titolo V della nostra Carta fondamentale dalla legge costituzionale n. 3/2001.

[2]     Quest’ultima sentenza fa riflettere sull’applicazione nel nostro Stato della L. n. 117/1988 relativa alla responsabilità civile dei magistrati (art. 2, Responsabilità per dolo o colpa grave – art. 13 Responsabilità civile per fatti costituenti reato), che talvolta viene ad essere disconosciuta, scusandosi l’operato di tali organi con giustificazioni legate a “errori dovuti a motivi di carattere interpretativo” (un’interessante sentenza sull'argomento è quella della C.G.C.E. del 13.05.2006 che afferma il dovere in capo al Giudice italiano di disapplicare l’art. 2 della L n. 117/1988 in certe situazioni ingiuste).

 

[3]     Tale decisione è relativa: ai termini di impugnazione della clausole dei bandi e dei capitolati; all’impossibilità di procedere alla inserzione automatica ex artt. 1339 e 1419 c.c. delle clausole del capitolato contrastanti con norme imperative; alla rilevanza dei vizi di nullità ed annullabilità nel campo amministrativo e ai limiti del potere di disapplicazione del G.A.

 

[4]   La decisione considera l’appello della cittadina spagnola infondato e rigetta tutte le richieste dell’appellante, anche relative alla rimessione alla  Corte di Giustizia, per la presenza nel nostro Stato di principi sufficientemente consolidati sia in materia di natura del vizio invocato dalla ricorrente dell’atto amministrativo violativo del diritto comunitario – di annullabilità e di non nullità – sia di sussistenza dell’onere di immediata impugnazione (confermato anche dal diritto comunitario) delle clausole del bando di gara o di concorso, immediatamente preclusive nei confronti di determinati soggetti.

 

[5]   Il Collegio romano ha deciso che nei casi in cui il contenuto di un provvedimento amministrativo sia in contrasto con norme o principi comunitari, il provvedimento stesso non può essere disapplicato dall’Amministrazione che l’ha adottato, sic et simpliciter, ma deve essere rimosso con il ricorso ai poteri di autotutela di cui la stessa P.A. dispone; l’esercizio di tali poteri, peraltro, deve ritenersi soggetto, anche in questi casi, ai principi che sono a fondamento della legittimità dei relativi provvedimenti, rappresentati dalla contemporanea presenza di preminenti ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto, se si tratta di situazioni consolidate o di atti che abbiano determinato un legittimo affidamento in coloro che ne sono interessati, e dalla osservanza delle garanzie che l’ordinamento appresta per i soggetti incisi dall’atto di autotutela, prima fra tutte quella di consentire ai soggetti interessati di partecipare al relativo procedimento.”.

[6]  Il Consiglio ha deciso che: 1. La violazione di una norma del diritto comunitario implica un vizio di legittimità che comporta l’annullabilità dell’atto amministrativo con esso contrastante, e non già la nullità, la quale è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva del potere) incompatibile con il diritto comunitario (e quindi disapplicabile); 2. Nel caso in cui si lamenti la violazione di una norma del diritto comunitario, sussiste, sul piano processuale, l’onere di impugnare il provvedimento contrastante con il diritto comunitario dinanzi al giudice amministrativo entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità; sussiste altresì l’obbligo per l’Amministrazione di applicare l’atto illegittimo salvo il ricorso ai poteri di autotutela; 3. Mentre il servizio di trasporto funebre è da considerarsi a tutti gli effetti liberalizzato, le agenzie funebri di intermediazione sono tuttora tenute ad ottenere la specifica autorizzazione di polizia rilasciata dal Comune, a mente del combinato disposto degli artt. 115, r.d. 18 giugno 1931, n. 773 e 163, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112; l’Ente locale, invero, deve vagliare gli aspetti inerenti la sicurezza, l’ordine pubblico e la prevenzione dei reati che costituiscono la ratio dell’assoggettamento ad autorizzazione di polizia dell’apertura di agenzie di affari; 4. Non sussiste l’onere di impugnare gli atti meramente confermativi attraverso i quali l’Amministrazione si limita a richiamare una determinazione in precedenza adottata, senza effettuare una nuova istruttoria ed una nuova valutazione degli elementi di fatto e di diritto già considerati, ovvero di altri nuovi, medio tempore acquisiti. La non impugnabilità dei suddetti atti discende, per un verso, dal riconoscimento della carenza assoluta di interesse ad ottenere l’annullamento giurisdizionale, poiché la sua eliminazione dal mondo giuridico non sarebbe in grado di rimuovere una lesione comunque imputabile all’atto confermato ove questo non sia stato impugnato; per altro verso, ove viceversa quest’ultimo sia stato già impugnato, per l’inutilità di imporre un onere di impugnazione di atti che vengono in essere con un contenuto meramente riproduttivo di altri già gravati in sede giurisdizionale e destinati ad essere travolti dall’annullamento dei primi.

[7]  Dalla sentenza “Peterbroek”si deduce che i principi di effettività e non discriminazione comportano l’obbligo per le autorità nazionali di applicare, anche d’ufficio, le norme di diritto comunitario, se necessario attraverso la disapplicazione del diritto nazionale che sia in contrasto con tali norme, senza che possano ostarvi preclusioni, anche di natura processuale, non operanti in casi analoghi.

 

[8]  Con la sentenza “Santex” la Corte pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con ordinanza 23 giugno 2000, dichiara: La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, deve essere interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione di tale autorità - impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità (…).

[9]  Con la sentenza “Ciola”, la Corte ha statuito che l'art. 59 del Trattato CE va interpretato nel senso che osta a che uno Stato membro vieti al gestore di un porto per imbarcazioni da diporto - comminando, in caso di inosservanza, sanzioni penali - di concedere in locazione posti barca, oltre un determinato contingente, a proprietari di imbarcazioni residenti in un altro Stato membro. Un divieto emanato anteriormente all'adesione di uno Stato membro all'Unione europea non attraverso una norma generale ed astratta, bensì attraverso una decisione amministrativa individuale e concreta divenuta definitiva, che sia in contrasto con la libera prestazione dei servizi, va disapplicato nella valutazione della legittimità di un'ammenda irrogata per l'inosservanza di tale divieto dopo la data di adesione. (Principio: i provvedimenti amministrativi nazionali non possono essere applicati se contrastano con norme di diritto comunitario direttamente applicabili).

[10] La pronuncia “Arcor” è relativa a telecomunicazioni; accesso alla rete locale; principio di orientamento delle tariffe ai costi; discrezionalità delle autorità nazionali di regolamentazione; sindacato giurisdizionale autonomia procedurale; procedura di vigilanza e procedura giurisdizionale. Con la sentenza in esame la Corte, tra l’altro, esige che: …omissis.. i giudici nazionali interpretino e applichino le regole procedurali interne che disciplinano il diritto al ricorso in modo tale che una decisione dell’autorità nazionale di regolamentazione riguardante l’autorizzazione dei prezzi d’accesso disaggregato alla rete locale possa essere impugnata in sede giurisdizionale non solo ad opera dell’impresa destinataria di una decisione siffatta, bensì, del pari, ad opera dei beneficiari ai sensi del detto regolamento, i cui diritti siano potenzialmente lesi dalla decisione stessa.

 

 

 

 

 
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