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Le competenze paesaggistiche nel Veneto e la delega ai Comuni. PDF Stampa E-mail
martedì 15 giugno 2010
di STEFANO BIGOLARO.
1. L’entrata in vigore del nuovo procedimento autorizzatorio
L’esercizio delle funzioni in materia paesaggistica è recentemente cambiato, come è noto.
L’art. 146 del D.Lgs. 42/2010, alla fine, è entrato in vigore con il 1^ gennaio 2010.
Manca ancora tutta una serie di “snodi” fondamentali per la completa operatività dell’impianto del Codice Urbani: mancano i piani paesaggistici; manca tutto il complesso delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici, da introdurre con i piani paesaggistici o in sede di integrazione del contenuto dei provvedimenti di vincolo[1].
Ma la novità è evidente: il procedimento dell’art. 146 – basato sul parere preventivo e vincolante della Sovrintendenza – è ora applicabile a tutte le pratiche di autorizzazione non ancora definite.
Al 31.12.2009 non c’è stata infatti alcuna ulteriore proroga del regime transitorio in materia di autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 159 del Codice. Né certo le Regioni potevano prorogare in qualche modo, per conto loro, il regime transitorio[2].
Non c’è stata la proroga neanche del termine – sempre del 31.12.2009 – fissato dallo stesso art. 159 del Codice Urbani alle Regioni perché verificassero la sussistenza, nei soggetti delegati, dei requisiti di adeguata competenza tecnico scientifica e di “differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia” posti dall’art. 146. E, nel caso di mancato adempimento, da parte delle Regioni, di tali loro obblighi di verifica, l’art. 159 cit. – molto rigorosamente – prevede la “decadenza delle deleghe in essere alla data del 31 dicembre 2009.
E’ certo difficile – per ogni Regione – gestire una situazione così gravemente sanzionata.
Ma il problema, in realtà, per quanto riguarda il Veneto al momento è stato in qualche modo rinviato al 31 dicembre 2010.
2. La proroga delle deleghe ai Comuni e la verifica entro il 31.12.2010
In particolare, la legge regionale veneta fondamentale sul punto è la L.R. 63/1994 (“Norme per la subdelega delle funzioni concernenti la materia dei beni ambientali”).
In forza di questa legge, tutte le funzioni amministrative di rilascio delle autorizzazioni e di adozione di provvedimenti cautelari e sanzionatori non specificatamente escluse sono subdelegate ai Comuni (cfr. art. 4).
Tali provvedimenti sono emessi, come noto, dopo aver acquisito il parere obbligatorio della Commissione edilizia comunale, integrata al riguardo da due esperti in materia di bellezze naturali e di tutela dell’ambiente nominati dal Consiglio comunale (art. 6, co. 2 e 3). E, nel sistema originario della L.R. 63/94, il provvedimento autorizzatorio veniva quindi trasmesso alla competente Sovrintendenza per consentire l’esercizio del potere di annullamento (cfr. art. 6, co. 5 e 6).
Il sistema organizzatorio previsto dalla L.R. 63/94 è stato poi ribadito dalla L.R. 11/2001[3] (cfr. art. 63); ed è stato quindi confermato dalla L.R. 1/2009[4] fino al 31 dicembre 2009.
Quest’ultimo termine è stato infine spostato al 31 dicembre 2010 con la L.R. 26/2009 (art. 5): e si è in tal modo interrotta la sintonia con il termine del regime transitorio posto dall’art. 159 del Codice Urbani, così determinandosi la situazione attuale, caratterizzata invero da qualche dubbio.
Come si è detto, infatti, il Codice Urbani obbligava la Regione a verificare i requisiti prescritti in capo agli enti delegati entro il 31.12.2009; e forse può dubitarsi che la Regione potesse davvero rinviare nel tempo il compimento della verifica ad essa imposta dalla legge statale, e qualcuno potrebbe conseguentemente ipotizzare che il sistema delle deleghe ai Comuni, nel Veneto, sia già venuto meno.
Ma, in mancanza di alcuna pronuncia di incostituzionalità della legge regionale e in mancanza di riscontri giudiziari sulla già avvenuta decadenza delle deleghe, le Amministrazioni delegate si trovano ora a dover applicare sia il Codice, sia la legislazione regionale prorogata al 31.12.2010.
3. Il procedimento autorizzatorio nel momento attuale, tra Codice e L.R. 63/1994
Si tratta dunque, per chi è chiamato ad applicare la legge, di innestare il nuovo procedimento autorizzatorio previsto dall’art. 146 del Codice nel sistema procedimentale delineato dalla L.R. 63/1994, e certo calibrato sulla disciplina previgente (caratterizzata dal potere di annullamento successivo delle Sovrintendenze).
Non è un innesto facile; e la Regione del Veneto – se forse ha rinviato il problema della verifica delle condizioni per le deleghe – certo non ha dato particolari indicazioni sullo svolgimento del procedimento nella situazione attuale.
L’innesto non è facile perché la presenza della Commissione edilizia integrata – se la si ritiene ancora necessaria – comporta alcune incongruenze nel sistema.
La più vistosa è che su una stessa domanda di autorizzazione paesaggistica si determina una duplicazione di valutazioni – prima quella della Commissione edilizia integrata, poi quella della Sovrintendenza - espresse da soggetti competenti alla considerazione degli stessi interessi paesaggistici; e dunque, nello stesso procedimento si ha una doppia valutazione esattamente sotto gli stessi profili.
Quanto ad un altro aspetto, la permanenza della Commissione edilizia integrata – che al suo interno comprende soggetti preposti all’attività edilizia (in primis, di regola il responsabile dell’Ufficio tecnico) – non è certo in linea con quella differenziazione tra attività di tutela paesaggistica e funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia che è invece pretesa dall’art. 146 del Codice.
Si potrebbe dunque giungere alla conclusione che quella parte dell’art. 6 della L.R. 63/1994 che prescrive il parere della Commissione edilizia integrata debba ritenersi caducata; al pari, del resto, dell’ultima parte della stessa norma, che è certamente venuta meno perché incompatibile con il nuovo sistema (facendo riferimento al pregresso regime, caratterizzato dal potere di annullamento della Sovrintendenza).
Ma forse è più prudente e più adeguato al caso specifico se, pur con tutte le incertezze della questione, si tenta di dare un senso all’esplicita conferma legislativa data dalla Regione Veneto all’assetto preesistente, mantendendo in vita un ruolo procedimentale delle Commissioni edilizie integrate.
E dunque, nel tentativo di salvare il sistema, uno spazio alla valutazione della Commissione edilizia integrata può essere recuperato; e, in particolare, può essere rinvenuto nella determinazione dei contenuti di quella “relazione tecnica illustrativa” che l’Amministrazione trasmette alla Sovrintendenza con la documentazione presentata dall’interessato, ai sensi dell’art. 146 co. 7 del Codice[5].
Tale conclusione sembra preferibile; anche perché, con riferimento a quanto si dirà più oltre, non sembra ragionevole pretendere fin d’ora di sopprimere le Commissioni edilizie integrate, presenti in ogni Comune e al cui interno possono rinvenirsi – grazie alla presenza dei cd. “esperti” - quelle competenze tecnico–scientifiche che sono ora ineludibili nei procedimenti in materia di beni paesaggistici.
4. La verifica delle condizioni per la delega e la D.G.R. 835 del 2010
Resta dunque da affrontare il tema della verifica delle condizioni per la (conferma della) delega ai Comuni delle funzioni paesaggistiche.
La Regione Veneto aveva dato un primo inizio a tale verifica ancora nel 2008 (con la nota 330632); ma a tale inizio non ha fatto seguito nient’altro. E dunque la situazione è quella ora determinata con la D.G.R. n. 835 del 15 marzo 2010[6].
Tale atto muove dalla consapevolezza della Regione di dover chiudere la propria verifica entro il 31 dicembre 2010 (già così, come detto, oltre il termine posto dal Codice Urbani); e dunque impone ai Comuni di fornire tutta una serie di indicazioni entro il 30 giugno 2010.
Le difficoltà della situazione gravano su tutti i soggetti coinvolti: la Regione deve completare la verifica delle condizioni richieste dal Codice Urbani per la delega, e ha necessità della collaborazione degli enti locali per confermare loro le deleghe già attribuite; nello stesso tempo, gli enti locali si trovano a dover affrontare in concreto le conseguenze sulla loro organizzazione delle scelte astratte compiute dal legislatore statale, quali interpretate – e, per così dire, mediate - dalla Regione.
E le difficoltà riguardano, come è evidente, le “misure organizzative con cui i Comuni dovranno garantire un’istruttoria paesaggistica distinta da quella urbanistico-edilizia”; su di esse vengono dunque forniti, con la citata D.G.R., gli “indirizzi e chiarimenti” regionali.
A tal fine, secondo la D.G.R., i Comuni possono alternativamente:
- o “individuare una apposita struttura incaricata delle istruttorie paesaggistiche” (e dunque un settore al quale spostare competenze ora di consueto affidate al medesimo settore incaricato delle pratiche urbanistico-edilizie);
- o “individuare un incaricato cui attribuire l’istruttoria per l’aspetto paesaggistico” (una persona qualificata, e specificatamente destinata a tali compiti, all’interno della struttura organizzativa competente per le pratiche urbanistico-edilizie);
- oppure, ed è l’opzione più complessa, “prevedere forme associative e di cooperazione, come definite dalle vigenti disposizioni sull’ordinamento degli enti locali, per l’istituzione di una Commissione intercomunale che esprima pareri sulla compatibilità tra l’interesse paesaggistico tutelato e l’intervento progettato”. Insomma, un organo consultivo intercomunale con compiti valutativi, non di cura dell’istruttoria o di redazione e trasmissione alla Sovrintendenza della “relazione tecnico-illustrativa” ex art. 146 co. 7 del Codice: dunque, una sorta di evoluzione dell’attuale Commissione edilizia integrata, che diventa in tal modo intercomunale e perde ogni connotazione edilizia, e che – come precisa la stessa D.G.R. – potrà essere composta per ogni Comune da un rappresentante che abbia specifica esperienza in materia di bellezze naturali, e che potrà essere uno tra gli “esperti” della Commissione edilizia integrata.
***
Se queste sono le scelte organizzative prefigurate dalla D.G.R. 835, ogni Comune si trova a dover in concreto assumere i provvedimenti necessari a compiere tali scelte, e a doverli inviare in Regione.
Nella DG.R. si scrive infatti che, al modello di risposta da inviare entro il 30.6.2010, “gli enti dovranno allegare:
- il provvedimento sottoscritto in caso di associazione con altri Comuni per la istituzione di una struttura intercomunale per l’esame dell’aspetto paesaggistico dei progetti”. Ed il riferimento al “provvedimento sottoscritto” sembra da intendersi – guardando alla forma base tra quelle associative del T.U.E.L., e cioè alla convenzione di cui all’art. 30 – ad una convenzione già stipulata, previa – ovviamente – la delibera di Consiglio comunale[7]; mentre il termine di “struttura intercomunale” fa pensare più a un ufficio comune con competenze istruttorie (o magari anche decisorie) che non a un organo soltanto consultivo come la sopra citata “Commissione intercomunale”;
- oppure, “il provvedimento che individua la struttura o la specifica professionalità cui attribuire le istruttorie paesaggistiche” (provvedimento – o provvedimenti - naturalmente di competenza di organi diversi all’interno dell’ente locale, a seconda delle scelte organizzative effettivamente compiute dall’ente).
***
Prosegue infine la D.G.R. 835/2010 affermando che “le condizioni di cui all’art. 146 , c. 6, del Dlgs. 42/04 si considerano sussistenti qualora: - la responsabilità del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica sia posta in capo ad un soggetto diverso dal responsabile del procedimento urbanistico-edilizio, anche se appartenente alla medesima struttura”. Disposizione che, evidentemente, prevede un obbligo di sdoppiamento dei responsabili dei procedimenti; ma non necessariamente lo sdoppiamento di chi sia chiamato ad emettere i provvedimenti finali.
La Regione dunque, ricevuta e valutata la documentazione trasmessa dai Comuni, farà un “elenco degli enti ritenuti idonei”; e – a seconda se un ente sarà dentro o fuori tale elenco - sarà delegato oppure no alle funzioni paesaggistiche, le quali altrimenti “saranno esercitate dalla Regione fino all’entrata in vigore di una specifica normativa regionale in materia di beni paesaggistici” (formula, quest’ultima, che sembra quasi un refrain).
5. Il modello di risposta allegato alla D.G.R. 835/2010
Se i problemi aperti dalla D.G.R. 835 sono di per sé gravosi per gli enti locali chiamati a rispondere alla Regione, certo non sono alleviati dal modello di risposta allegato alla medesima D.G.R.
In tale modello risulta evidente, infatti, un continuo ondeggiamento tra la pretesa che le scelte organizzative dell’ente locale siano già state compiute e definite (al 30.6.2010), e la previsione che basti – entro tale data - l’intenzione di compierle.
Il Sindaco dovrebbe – in base a tale modello – dichiarare “che la propria Amministrazione ha assunto le seguenti misure”; e dunque l’esordio sembra far riferimento ad atti già esistenti.
Ma, ad esaminare quali sono le misure da dichiarare secondo il modello, le cose si complicano.
Quanto, in specie, alla Commissione intercomunale, il modello – alla lettera A - prevede che si dichiari che “l’Amministrazione comunale fa parte ovvero intende fare parte di una apposita ‘Commissione intercomunale’ per la verifica degli aspetti paesaggistici …, avendo posto in essere la seguente forma associativa …”. Ed è chiaro che l’espressione “intende far parte” non è coerente con l’aver già “posto in essere” una qualche forma associativa.
Andando avanti, si chiede di dichiarare che, con un atto da indicare specificatamente, “è stato affidato l’incarico di far parte della Commissione intercomunale agli esperti in materia di bellezze naturali facenti già parte della Commissione edilizia integrata”. E suona abbastanza anomalo che si chieda ad un ente locale di dichiarare di aver già incaricato taluno di far parte di una Commissione intercomunale che ha solo intenzione di costituire.
Continua il modello: “A tale scopo, il Comune dichiara che il procedimento di istituzione ovvero di adeguamento sarà perfezionato entro la data del ….. pertanto, si impegna a comunicare entro il 30 giugno 2010 la definizione della procedura avviata”.
Ora, nonostante ogni sforzo interpretativo, quest’ultima previsione appare incongrua se intesa letteralmente: se il termine entro cui un Comune deve spedire il modello di risposta è il 30 giugno 2010, come può – con lo stesso modello – impegnarsi a comunicare entro lo stesso 30 giugno 2010 la definizione della procedura avviata?
Delle due, l’una:
- o, semplicemente, il termine del 30 giugno contenuto nella frase citata è frutto di un errore; e allora il termine esatto per comunicare la definizione della procedura – termine che andrà quindi precisato dalla Regione – scadrà più avanti (a ottobre, a novembre, …). In fondo, il termine fondamentale è quello del 31 dicembre 2010; è ragionevole, anzi, che le Commissioni edilizie integrate attualmente mantenute in vita continuino ad operare fino al 31.12, per essere poi sostituite a partire da quella data dalle nuove Commissioni intercomunali (ove istituite). Perché mai si dovrebbe imporre di aver già concluso la procedura entro il 30.6?
- oppure il termine del 30 giugno indicato nel modello non è frutto di un errore, ma allora ciò che va comunicato entro il 30.6 (con la stessa lettera di risposta alla Regione, perché non si vede la necessità di farne due) non è la già avvenuta conclusione di ogni procedura associativa, ma solo una sorta di “scaletta” per definire quali saranno i tempi della procedura avviata (e in questo senso la “definizione della procedura” cui si riferisce il modello è solo la prefissazione delle tappe entro cui – con anticipo rispetto al 31.12.2010 – la procedura sarà perfezionata). Ed anche questa prospettiva pare ragionevole, restando riservata alla Regione la verifica di ciò che ogni ente locale avrà posto in essere entro le date indicate nella propria ”scaletta” procedimentale e dunque il rispetto di essa.
Se la volontà è di agevolare la costituzione di forme associative - in quanto idonee ad assicurare la differenziazione di funzioni voluta dal legislatore anche negli enti locali di minori dimensioni (che non sarebbero altrimenti in grado di garantirla) – non si vede perché debbano essere previsti termini perentori immotivati per il compimento della complessa attività amministrativa che la costituzione di una forma associativa richiede.
***
Quanto alle altre possibilità contemplate dal modello di risposta allegato alla D.G.R. 835, il rapporto tra di esse non è chiaro.
La possibilità di individuare una specifica “struttura tecnica comunale” preposta all’attività paesaggistica - di cui alla lettera B del modello - è evidentemente alternativa alla possibilità di cui alla lettera C (alla quale nel modello non è attribuito alcun nome) che riguarda l’individuazione di un responsabile differenziato del procedimento paesaggistico.
Ma l’opzione per la forma associativa di cui alla lettera A – la “Commissione intercomunale” – non esclude affatto che il Comune debba indicare anche l’opzione tra le lettere B e C, perché evidentemente la costituzione di una Commissione intercomunale con compiti valutativi non fa venir meno la necessità di svolgere l’attività istruttoria e decisoria in capo ad ogni singolo ente locale.
Diversa può invece essere la situazione ove si opti per la possibilità di cui alla lettera D del modello – anch’essa innominata – che riguarda l’istituzione di una “struttura tecnica intercomunale” – cui evidentemente vanno attribuiti compiti istruttori (ma finanche decisori), così rendendosi inutili le opzioni di cui alle lettere B e C del modello[8].
***
E dunque, proseguendo brevemente nella rassegna, l’opzione per la “struttura tecnica comunale” di cui alla lettera B non pone particolari problemi interpretativi – ma semmai problemi organizzativi ai Comuni – dal momento che si richiede di dichiarare che l’ente “ha attribuito la responsabilità dell’attività istruttoria” ad una struttura comunale “diversa dalla struttura cui è attribuita la responsabilità dell’attività in materia urbanistico – edilizia”.
Mentre l’opzione C – che forse sarà quella più seguita nella pratica – pone maggiori difficoltà. Il modello prevede infatti che si risponda che l’Amministrazione comunale ha sì “attribuito la responsabilità dell’attività istruttoria delle istanze di autorizzazione paesaggistica all’unica struttura che presiede a tutte le funzioni amministrative relative al campo del governo del del territorio”; ma che “garantisce la necessaria differenziazione delle procedure, individuando la responsabilità del procedimento paesaggistico in capo a …, che non svolge attività urbanistico- edilizia”. Insomma, per come è scritto, il modello di risposta pretende dai Comuni l’individuazione di un soggetto specificatamente indicato, senza alcun margine di intercambiabilità: un soggetto, all’interno del settore territorio, sottratto stabilmente ad ogni attività urbanistico-edilizia (ivi compresa, ovviamente, l’emissione dei provvedimenti finali).
Sul punto, il modello va oltre la D.G.R. 835: se quest’ultima pretendeva la diversità dei responsabili dei procedimenti, anche se appartenenti alla medesima struttura organizzativa, il modello prevede che il responsabile del procedimento paesaggistico non svolga proprio attività urbanistico-edilizia.
Il senso letterale delle parole usate dal modello è chiaro; ma resta da comprendere come reagirebbe la Regione – se, cioè, farebbe venir meno la delega - a fronte di situazioni in cui la sottrazione all’attività urbanistico-edilizia non possa essere assicurata in forma così rigorosa (ad es, se un Comune precisasse che il responsabile del procedimento paesaggistico non svolge “di regola” attività urbanistico-edilizia).
Anche perché non tutto è previsto nel modello: non è prevista, ad es., l’ipotesi – che sembra peraltro ammissibile – che il responsabile del procedimento paesaggistico che non svolge attività urbanistico-edilizia, pur fornito di ogni competenza, sia individuato all’interno di una struttura diversa da quella preposta al governo del territorio.
Per finire la rassegna del modello, vi è poi la possibilità – prevista dalla lettera D - della istituzione di una “struttura tecnica intercomunale”, per la quale si riproduce il consueto ondeggiamento tra sufficienza dell’intenzione e necessità di scelte già compiute (va dichiarato, secondo il modello, che “l’Amministrazione dispone ovvero intende disporre di una struttura tecnica intercomunale … avendo posto in essere la seguente forma associativa”).
Al riguardo, come si è sopra accennato, la distinzione e la diversa collocazione di tale ipotesi rispetto alla “Commissione intercomunale” di cui alla lettera A sembra indicare che a tale “struttura intercomunale” andranno attribuiti i compiti istruttori (se non anche quelli decisori), con la costituzione di un ufficio comune, e con tutte le evidenti difficoltà organizzative – anche in ordine al personale che a tale struttura verrà assegnato – che sono facilmente immaginabili.
Da ultimo, è solo da ricordare en passant l’impegno pure richiesto ai Comuni dalla lettera E del modello all’adeguamento del proprio Regolamento edilizio alle nuove scelte organizzative compiute: impegno per il quale, almeno, il modello non fissa termini.
6. Conclusioni
L’unica conclusione possibile è che tutto dev’essere ancora definito.
Guardando alla D.G.R. 835 e al modello di risposta allegato, emerge che la Regione interpreta l’art. 146 del Codice nel senso che “la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia” debba concretarsi non solo nella diversità dei procedimenti, ma anche: a) nella diversità dei responsabili dei procedimenti; b) nella sottrazione all’attività urbanistico-edilizia di chi sia responsabile del procedimento paesaggistico.
Nessuno ha precisa cognizione di quale sia l’effettiva portata dell’art. 146; ma le scelte regionali - quali espresse con gli atti amministrativi citati – paiono più circostanziate e più avanzate rispetto alla previsione del Codice Urbani.
Quanto ai modi concreti della verifica, l’impressione è poi che neppure la Regione sappia bene cosa vuole, non risultando chiaro se entro il 30 giugno 2010 agli enti locali basti aver definito le proprie scelte organizzative o se debbano averne completato l’iter.
Quel che è certo, è che dopo il 30.6 non potrà mancare una fase ulteriore di approfondimento e di verifica.
La Regione ha fornito un modello per molti versi equivoco, come si è visto; e riceverà dunque risposte altrettanto equivoche e certamente disomogenee, data la diversità di dimensioni e situazioni degli enti locali chiamati a risponderle. Avrà evidenti problemi a mettere a fuoco i riscontri ricevuti, dovrà approfondire, eventualmente chiarire, e magari – in qualche misura – tornare sui propri passi. Forse poteva esservi una fase precedente di confronto e concertazione con gli enti locali delegati all’esercizio delle funzioni paesaggistiche, che risulta invece mancata; potrà ora esservi un confronto successivo, anche in base alle risposte che saranno ora fornite.
In questo senso, il modello di risposta allegato alla D.G.R. 835 non può considerarsi puntualmente vincolante, come fosse un modello imposto ai concorrenti di una gara dalla stazione appaltante; e i Comuni potranno illustrare realisticamente ciò che hanno fatto o intendono fare, e – fornite tutte le indicazioni che sono in grado di fornire – potranno anche chiedere chiarimenti, sollevare dubbi e rappresentare le loro difficoltà concrete.
Anche perché le scelte organizzative cui sono ora chiamati gli enti delegati comportano evidentemente dei costi; e il concorso regionale a tali oneri aggiuntivi – pur previsto dall’art. 31, co. 2 e 3, della L.R. 1/2009[9] – non risulta ancora concretamente disponibile.
7. Appendice: e la valutazione paesaggistica dei piani attuativi?
Siccome un dialogo tra Comuni e Regione deve ora aver luogo quanto all’esercizio della delega, forse i Comuni potrebbero anche chiedere alla Regione se tra le funzioni delegate vi sia anche l’autorizzazione paesaggistica dei piani attuativi.
La questione non è nuova, ma – non essendo mai stata risolta – sembra covare sotto la cenere.
Da un lato, infatti, può sembrare risolutivo al riguardo che nessuna valutazione paesaggistica dei piani attuativi sia prescritta nel Codice Urbani[10]; e che – a livello regionale – nessun cenno di essa neppure sia fatto nella disciplina del procedimento di formazione dei PUA posta dalla L.R. 11/2004.
D’altro lato, ragioni di logica procedimentale possono indurre a ritenere opportuna la valutazione paesaggistica già del piano attuativo; ad evitare che la valutazione che verrà effettuata in relazione ai titoli edilizi intervenga a travolgere anche l’attività pianificatoria a monte.
E, soprattutto, riemergono in giurisprudenza affermazioni nel senso della necessità della valutazione paesaggistica dei PUA.
Affermazioni che si fondano sulla risalente norma dell’art. 16, co. 3, della legge 1150/1942 (così TAR Lombardia, Milano, sez. II, 04/12/2007 n. 6541), o sull’altrettanto risalente art. 28, co. 2, della stessa legge (così TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 08/04/2010 n. 1511; e, prima, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 02/03/2000 n. 1095).
Più in generale, sono numerose le pronunce che disciplinano i rapporti tra valutazione paesaggistica del PUA e successiva valutazione paesaggistica dei titoli edilizi, così presupponendo l’esistenza anche della prima fase valutativa (cfr. ad es. Cons. Stato, sez. VI, 15/03/2010 n. 1491; Cons. Stato, sez. VI, 01/10/2008 n. 4726; Cons. Stato, sez. VI, 12/02/2007 n. 543).
Con specifico riferimento al Veneto, due delle sentenze di primo grado intervenute nella nota vicenda degli edifici a torre lungo il litorale di Jesolo paiono poi significative.
La sentenza del TAR Veneto, sez. II, 26/06/2009 n. 1951 annulla – per la riscontrata esistenza del vincolo paesaggistico, e dunque per assenza di autorizzazione - sia il piano di recupero (impugnato con il ricorso principale) sia i titoli edilizi (impugnati con i motivi aggiunti), e non solo questi ultimi; e la contemporanea sentenza n. 1952/2009 espressamente afferma che “l’obbligo dell’autorizzazione paesaggistica sussiste sia nei confronti del Piano di recupero sia nei confronti dei permessi di costruzione”.
La condotta, infine, dei Comuni del Veneto non risulta essere uniforme.
Se vi è talora la prassi di sentire la Sovrintendenza sul PUA prima della sua approvazione, recependone le eventuali prescrizioni, non per questo l’inquadramento giuridico della questione sembra definito: al di là del parere della Sovrintendenza, se un’autorizzazione paesaggistica si ritenga necessaria essa dovrebbe probabilmente assumere la forma del provvedimento autorizzatorio quale disciplinato ora dall’art. 146 del Codice Urbani.
Insomma, una richiesta di indicazioni alla Regione sul punto – trattandosi di funzioni da essa delegate – non sembra inopportuna; a prescindere dalla difficoltà che anche la Regione avrebbe nel rispondere sul punto[11].


[1] In particolare, le prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelati potranno essere introdotte -oltreché con i nuovi vincoli, siano essi provvedimentali (ex art. 140 co. 2 D.Lgs. 42/2004) o imposti dal piano paesaggistico (art. 143, co. 1, lett. d) - in sede di integrazione del contenuto delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico preesistenti (art. 141 bis) nonché di ricognizione, nel piano paesaggistico, di immobili ed aree dichiarati di notevole interesse pubblico (art. 143, co. 1, lett. b e c).
[2] A disporre una proroga del regime transitorio di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ha provato la Regione Friuli Venezia Giulia, con norme però indichiarate incostituzionali: cfr. Corte Cost., 17.3.2010, n. 101.
[3]Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del D.Lgs. 31/03/1998, n. 112
[4] Cfr. Art. 31, L.R. 12.1.2009 n. 1: “1. Nelle more dell’entrata in vigore di una specifica normativa regionale in materia di beni paesaggistici, in attuazione di quanto previsto dal decreto legislativo 22 genanaio 2004, n. 42 ‘Codice deli beni culturali e del paesaggio’ e successive modifiche ed integrazioni, la ripartizione delle funzioni amministrative prevista dalla legge regionale 13 aprile 2001, n. 11 ... è confermata fino al 31 dicembre 2009.
[5] Forse il nome stesso di “parere” dato alla valutazione della Commissione edilizia integrata non è più corretto – benché sia nella L.R. 63/1994 - e ci si dovrebbe invece riferire ad una innominata attività valutativa che appunto concorre come tale a dar sostanza a quella “relazione tecnica illustrativa” ora prescritta all’art. 146 del Codice. Ma il problema, come si è detto, non sembra solo terminologico.
[6]Indirizzi in merito alla verifica della sussistenza dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnica/scientifica per l’esercizio delle funzioni paesaggistiche al fine del rilascio della autorizzazione paesaggistica art. 146 c. 6 del Dlgs 42/02”, in Bur n. 27 del 30/3/2010.
[7] Cfr. art. 42, co. 2, lett. c) del T.U.E.L., che riserva al Consiglio comunale la competenza in merito a “convenzioni tra i Comuni e quelle tra i Comuni e Provincia, costituzione e modificazione di forme associative”.
[8] La “struttura intercomunale” non è invece alternativa alla “Commissione intercomunale”, di cui anzi costituisce un completamento: oltre alla fase valutativa, con la “struttura intercomunale” vengono spostate al di fuori dell’ente locale delegato anche attività istruttorie e decisorie; e, insomma, sembra avere un senso l’istituzione di una “struttura intercomunale” laddove vi sia una “Commissione intercomunale”, ma la “Commmissione intercomunale” ben può essere istituita senza alcuna struttura, senza necessità cioè che l’istruttoria delle pratiche venga spostata su scala intercomunale.
Il rapporto tra le varie possibilità organizzative non sembra del resto essere stato correttamente definito nella D.G.R 835, che (come si è sopra ricordato) aveva previsto - in alternativa tra loro - l’individuazione di una apposita struttura comunale incaricata delle istruttorie paesaggistiche, l’individuazione di un incaricato per l’istruttoria paesaggistica, e il ricorso alle forme associative per l’istituzione di una “Commissione intercomunale che esprima pareri”; ciò che – per quanto si è detto – appare un po’ troppo semplicistico.
[9] Cfr. Art. 31, L.R. 12.1.2009 n. 1:
2. Per l’esercizio delle funzioni relative al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, la Giunta regionale, con proprio provvedimento, concorre a favore dei Comuni agli oneri derivanti dall’adempimento degli obblighi previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in ordine all’individuazione delle strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico–scientifiche, nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia.
3. Agli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo, quantificati in euro 20.000, 00 per l’esercizio 2009, si fa fronte con le risorse allocate nell’ups U0085 ‘Studi, ricerche e indagini a servizio del territorio’, del bilancio di previsione 2009.
[10] L’art. 146 co. 2 del D.Lgs. 42/2004 si limita a prevedere “l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi” che si intenda intraprendere; espressione che – pur se i PUA possono avere contenuti progettuali più o meno definiti – non sembra idonea a fondare una generale sottoposizione all’autorizzazione paesaggistica dei PUA.
[11] Nel disciplinare le procedure di formazione dei PUA, la Regione può certo prevedere una loro valutazione paesaggistica; ma – se si dovesse concludere che la legislazione statale specificatamente imponga un’autorizzazione paesaggistica dei PUA – un intervento regionale che invece escluda tale obbligatorietà potrebbe non essere sufficiente.
Ultimo aggiornamento ( sabato 19 giugno 2010 )
 
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