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TODOS CABALLEROS? Riflessioni umbratili sulla sorte degli avvocati PDF Stampa E-mail
giovedì 28 ottobre 2010

di FRANCESCO VOLPE

 

Il Consiglio Nazionale Forense, nella propria seduta del 24 settembre 2010, ha approvato un “Regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista”.


Sulla base di tale atto, dal prossimo 30 giugno 2011, potranno fregiarsi del titolo di avvocato specialista in determinati settori (che sono specificamente: 1) Diritto di famiglia, dei minori e delle persone 2) Diritto della responsabilità civile e delle assicurazioni 3) Diritto commerciale 4) Diritto del lavoro, della previdenza e della sicurezza sociale 5) Diritto industriale 6) Diritto della concorrenza 7) Diritto tributario 8) Diritto amministrativo 9) Diritto della navigazione 10) Diritto dell’Unione europea 11) Diritto penale) solo quei Colleghi che otterranno un diploma rilasciato dallo stesso Consiglio Nazionale. I diplomati, a loro volta, saranno iscritti in un apposito registro tenuto sempre dal Consiglio Nazionale.


Per accedere all'esame di diploma occorrerà frequentare un corso biennale di specializzazione e, anche dopo avere ottenuto il riconoscimento, il nuovo titolo potrà essere conservato, a patto di mantenere costante l'aggiornamento specialistico, mediante la frequenza di centoventi ore di aggiornamento professionale nel triennio.
Va detto che anche le relative scuole, la cui frequenza permette di accedere all'esame di diploma, necessitano di una sorta di accreditamento, da parte del Consiglio Nazionale. Sembra spiccata, al riguardo, una propensione centralistica nell'individuazione di siffatti istituti di formazione. Oltre ai Consigli degli Ordini, infatti, anche le Associazioni forensi potranno istituire dette scuole, purché abbiano una rappresentatività nazionale giustificata dalla loro presenza in almeno la metà delle Corti d'appello.
Per quanto concerne gli amministrativisti (temo che non potrò più dire, in futuro: “Noi amministrativisti”), tale rappresentatività è stata riconosciuta dal regolamento stesso alla  sola Società italiana avvocati amministrativisti.
La riforma mi preoccupa non poco e sotto vari profili.
Il primo, se volete, ha natura puramente campanilistica, ma non è da sottovalutare. Perché l'avvocato specializzato in diritto amministrativo deve essere formato necessariamente da centri di formazione a diffusione nazionale e sulla base di programmi di formazione determinati in sede nazionale? Proprio noi che, più di tutti gli altri avvocati, abbiamo a che fare con le leggi regionali non avremmo forse bisogno di una preparazione attenta alle discipline locali?
Poi vi sono preoccupazioni di carattere giuridico. Ho cercato nella disciplina forense qual sia il riferimento normativo acconcio. Confesso, però, che non sono riuscito a trovare nessuna norma che attribuisca al Consiglio Nazionale una potestà regolamentare. Men che meno in materia di qualificazione degli avvocati.
Se mai, mi pare che l'art. 4 della legge professionale continui a individuare ancora una figura sola di avvocato, il quale può “esercitare la professione davanti a tutte le Corti d'appello, i Tribunali e le Preture della Repubblica” e fatta salva la figura dell'avvocato abilitato all'esercizio della professione davanti alle Magistrature superiori. Rispetto all'art. 91 della legge professionale - secondo il quale "alle professioni di avvocato e di procuratore non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale" - come si pone poi il Regolamento?
Discutibile mi pare, inoltre, sotto il profilo giuridico, la previsione di un nuovo registro, la cui tenuta spetta al Consiglio Nazionale. Che valore esso ha? Dove si trova la sua base normativa?
E, sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità, perché solo le Associazioni dotate di rappresentatività nazionale possono istituire le scuole di formazione? Perché non gli Istituti universitari (che già hanno la responsabilità istituzionale delle scuole per le professioni legali)? E come si fa, effettivamente, a verificare la rappresentatività nazionale delle Associazioni, visto che la loro costituzione e organizzazione non è soggetta ad alcun vincolo generale di legge?
Inoltre, in che modo un tale titolo di avvocato specialista si pone rispetto alla direttiva sui servizi e alla normativa interna che alla stessa ha dato attuazione? Come si pone in relazione alla legge 9 febbraio 1982, n. 31, sul reciproco riconoscimento del titolo di avvocato in sede comunitaria?
Quisquilie, potrebbe dire qualcuno che mi volesse accusare di applicare troppo rigidamente le categorie giuridiche alle diverse necessità della formazione e del mercato.
A questo ipotetico contraddittore opporrò, tuttavia, che sono invece i contenuti del regolamento e le sue possibili conseguenze a preoccuparmi di più.
Oggi, il titolo di avvocato specialista non ha alcun rilievo giuridico. Fregiarsene, certamente, può favorire un certo appeal nei riguardi della clientela, ma questa è una conseguenza di fatto, non di diritto.
Qualche conseguenza immediata, però, potrebbe già esserci. Sappiamo qual sia la spinta degli Enti Pubblici verso l'esperimento delle gare per l'affidamento dei servizi legali. È probabile che il titolo di specialista avrà valore di qualificazione o che come tale esso venga indicato nei bandi di gara, sì da favorire chi ne è possessore nell'ottenere la relativa aggiudicazione.
Ma è soprattutto il possibile futuro a spaventarmi. Introdotto il titolo di specialista in via di fatto (perché temo che il regolamento del CNF sia giuridicamente inesistente, mancando il potere di emanarlo), reputo assai probabile, se non certo, che future leggi – magari quelle leggi omnibus in cui tutto è contenuto – possano prevedere che certe nostre attività siano svolte solo da avvocati specialisti. Sì che, magari in un primo momento, il procedimento davanti all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato possa essere svolta solo da specialisti in diritto industriale e che, poi, lo stesso appello al Consiglio di Stato possa essere seguito dal solo specialista in diritto amministrativo.
La tecnica legislativa non sarebbe né nuova né originale.
Essa consiste in ciò: quando si vuole azzerare i titolari di una determinata qualifica giuridica, anziché farlo espressamente si istituisce a fianco della vecchia qualifica una nuova qualifica, a cui si imputano, poco alla volta, i contenuti giuridici della vecchia.
Non ho elementi per dire che questo sia stato il criterio ispiratore del Consiglio Nazionale Forense, nell'avviare tale iniziativa.
Ma non mi stupirei che - di fronte all'affermazione secondo cui gli avvocati in Italia sarebbero troppi (magari perché si è preoccupati dalla sorte di una Cassa di previdenza che in passato ha dispensato pensioni in modo troppo disinvolto) e di fronte all'impossibilità di cacciare dai troppo affollati albi coloro che hanno già ottenuto il titolo - qualcuno abbia pensato che si possa inventare la nuova figura dell'avvocato specialista, a cui riservare in futuro prerogative che prima competevano al vecchio avvocato ordinario, sì da svuotare la vecchia e sovrabbondante figura.
Se poi a tutto ciò si accompagna anche la centralizzazione dei centri di formazione per l'accesso alla qualifica (o, quanto meno, la centralizzazione della loro individuazione) e la tenuta del relativo albo, tanto meglio. Anche Ordini e Università, in tal modo, vedrebbero ridimensionati i loro ruoli.
Se così fosse, in futuro resterebbero pur sempre i "vecchi" avvocati, ma il loro titolo diverrebbe progressivamente inutile, perché svuotato. Resterebbero pur sempre i vecchi Ordini degli avvocati, ma solo l'iscrizione al registro nazionale consentirebbe un effettivo accesso alla professione. Resterebbero pur sempre le Facoltà di Giurisprudenza, ma solo la frequenza delle Scuole di specializzazione darebbe la vera formazione abilitante.
Se tale fosse il principio ispiratore della riforma, esso non mi piacerebbe affatto e ritengo che dovrebbe essere contestato da tutti noi, nei modi che la legge prevede e consente.
Infine, un'ultima considerazione. Il regolamento del C.N.F. stabilisce che potranno accedere ai corsi necessari per l'acquisizione del titolo di specialista gli avvocati con sei anni di iscrizione all'albo.
È singolare che detto periodo di iscrizione coincida con quello che, un tempo, era necessario al procuratore legale per diventare avvocato.
La soppressione della figura del procuratore legale non fu una buona iniziativa, per molti motivi che, qui, non è il caso di ricordare.
Errerebbe, però, chi pensasse che, attraverso la nuova figura dell'avvocato specialista, si sia inteso reintrodurre, con diversa denominazione, la distinzione tra procuratori e avvocati. l'avvocato specialista non sarà quello che era il vecchio avvocato ante riforma e l'avvocato non specialista non sarà il vecchio procuratore legale.
La vecchia distinzione si reggeva sul principio della titolarità dello ius postulandi, che nel regolamento non è affatto indicato come criterio informatore; la vecchia distinzione non si appoggiava sul possesso di competenze specialistiche ma sull'anzianità di servizio (e, quindi, sull'esperienza professionale, di cui il regolamento non tiene gran conto: non è necessario aver fatto molte cause al T.A.R. per essere specializzati in diritto amministrativo, ma è necessario, invece, seguire dei corsi di formazione, aver cioè seguito un cursus honorum per definizione teorico). Infine, la vecchia distinzione non presupponeva l'attribuzione al C.N.F. di un potere di vigilanza sull'attività di formazione e un potere di tenuta di un albo.
Gli scopi del regolamento, pertanto, sono ben distanti da quello di reintrodurre le due, tradizionali, figure defensionali, sicché, anche sotto questo aspetto, la "novità" non mi pare meritevole di essere apprezzata.
È ovvio che quanto sopra sostengo è opinione del tutto personale e non è l'opinione istituzionale dell'Associazione.

 

Ultimo aggiornamento ( lunedì 10 gennaio 2011 )
 
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