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ANCORA SULL'AVVOCATO SPECIALISTA PDF Stampa E-mail
lunedì 15 novembre 2010

di FRANCESCO VOLPE 

 

In questi giorni, il dibattito sulla questione dell'avvocato specialista è piuttosto acceso.

Se ne discute nelle sedi istituzionali e nella nostra stessa Associazione, meditando sulle decisioni da prendere, per contrastare un'iniziativa che, secondo molti aspetti, si prospetta come foriera di pregiudizi.

Non è mia intenzione, qui, verificare se sia bene avviare un'impugnativa contro il regolamento del CNF, oppure no. Il Direttivo dell'Associazione ne sta discutendo piuttosto intensamente e i punti di vista sono molteplici, sia sull'an, sia sulle modalità con cui l'eventuale iniziativa deve essere assunta.

Va detto, però, che è diffuso, tra coloro con cui mi trovo a discutere della cosa, un giudizio non favorevole sul regolamento del CNF che ha introdotto questa nuova figura professionale.

 Alcuni tra gli stessi componenti di dello stesso CNF sembrano riconoscere che il regolamento vada in ogni caso rivisto, non fosse altro perché il disegno di legge di riforma della professione forense, che è adesso all'esame del Senato, incide comunque sulla materia, portandovi non poche novità.

A cominciare dal fatto che - così sembrerebbe -  il disegno di legge non vorrebbe riconoscere al giudice disciplinare d'appello il potere regolamentare sulla questione, nonché il potere di accreditare gli enti formativi e di svolgere le prove per ottenere la qualifica professionale.

 Da ciò deriva che, ricorso o no, si instaurerà un tavolo per le trattative e che dobbiamo prepararci al meglio per quando dovremo sederci allo stesso.

Sul punto, perciò, ho fatto alcune riflessioni che vorrei condividere con Voi.

La  battaglia contro la figura dell'avvocato specialista, verosimilmente, non potrà radicalmente evitare che questa nuova qualifica professionale venga prima o poi introdotta.

Sebbene gli scopi della riforma sembrino esogeni (rispetto a quanto formalmente dichiarato), è, infatti, obiettivamente difficile sostenere che non vogliamo sia dato rilievo ad una formazione specialistica di un determinato avvocato, volta a informare in modo più preciso la Clientela sulle puntuali competenze del singolo professionista.

In effetti, il fine dichiarato del regolamento non è in sé riprovevole e la figura dell'avvocato specialista non può essere contestata in sé, ma può essere contestata solo perché, suo tramite, potrebbero essere introdotte delle barriere all'ingresso sul mercato dei servizi forensi o dei vincoli al mantenimento sullo stesso mercato che non sono collegati al merito del professionista, ma a fattori che con lo stesso nulla hanno a che spartire, quali ad esempio la sua collocazione territoriale o l'astratta anzianità di servizio.

Pertanto, la battaglia contro la figura dello specialista viene condotta da una trincea, collocata per di più  in una posizione difficile. Potremo anche infliggere gravi perdite al "nemico", ma sappiamo che prima o poi dovremo abbandonare la nostra posizione difensiva.

Dobbiamo, dunque, prepararci a cedere il passo nel modo migliore: nel modo che reca a noi meno danni e che sia di vantaggio per l'interesse pubblico, che nella fattispecie è l'interesse dei nostri Clienti.

Se, pertanto, passiamo dalla fase destruens, di mera critica della riforma, a quella construens, di indicazione almeno di un più corretto modo per qualificare l'avvocato specialista, è utile chiedersi che cosa, effettivamente, sia sinonimo di detta specializzazione.

Oggi, il regolamento dice che è specialista solo chi ha frequentato e continuerà a frequentare dei corsi di formazione professionale. 

Non escludo che anche ciò possa  contribuire a costruire una preparazione specialistica; ma questo non è certo il solo modo.

E, dunque, chi è l'avvocato specialista? 

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo stabilire che cosa significhi, sotto il profilo sostanziale, essere specializzati in un determinato settore del diritto, sì da suggerire che la qualifica formale, e giuridica, finisca per riflettere quella sostanziale.

Spesso mi capita, come a molti di tutti noi, di essere interpellato da un Collega che pratica una diversa disciplina (civile o penale), perché io lo affianchi in una controversia di diritto amministrativo. Quando ciò accade, evidentemente il Collega chiede il mio intervento reputando che io sia titolare di una sostanziale preparazione specialistica nella materia. E' dunque questo il migliore banco di prova per verificare che cosa effettivamente è chiesto di fare allo "specialista" e che cosa egli sia: capire che cosa il Collega "non specialista" chiede a me avvocato "specialista".

Ebbene, quando con il Collega, in questi frangenti, discuto su come impostare la causa o su come difenderci, spesso mi trovo a dire frasi di questo tipo: "Il motivo di impugnazione che suggerisci formalmente è corretto ed astrattamente sarebbe pure fondato, ma ti assicuro che il giudice non ci seguirà mai su questa strada". Oppure: "Evitiamo di scrivere queste cose: distraggono il giudice dal tema principale della causa". O ancora: "Chiediamo la sospensiva. Non la otterremo mai, ma abbiamo bisogno di fare una marcia di avvicinamento al merito"; o, al contrario: "E' inutile chiedere la sospensiva; l'istanza in questi frangenti farebbe solo danni".

Insomma, in questi casi, mi trovo spesso ad applicare la mia "specialistica" preparazione non tanto adducendo concetti o nozioni definite, ma esprimendo soltanto rilievi quantitativi, talvolta addirittura basati su mie "impressioni" o su una mia particolare "sensibilità" sul modo con cui la causa verrebbe affrontata dal giudice. "Quantità" versus "qualità".

E' questo, dunque, il mio essere "specialista" e quello che il mercato mi chiede, quando, come "specialista", appunto, mi interpella. La qualifica implica capire dove la questione di diritto amministrativo finirà per indirizzarsi.

Mi trovo a fare discorsi contrari a quelli che intrattengo con il Collega "non specialista", quando invece discuto con Voi Colleghi del Foro amministrativistico nelle chiacchierate davanti alla porta della Camera di consiglio o nei nostri seminari.

In quei nostri discorsi - discorsi che avvengono tra specialisti - non abbiamo spesso neppure bisogno di affrontare la questione di diritto "puro": la soluzione ad una dato problema giuridico e processuale verso la quale ci indirizziamo, in quei nostri discorsi "interni", è basata spesso sulla conoscenza di come effettivamente funzionano le cose davanti al giudice.

Qual è dunque il comune denominatore tra questi due diversi casi (quello in cui affronto i problemi del diritto amministrativo insieme a Colleghi fuori materia e quello  in cui lo affronto con Colleghi che praticano la materia)?

Esso è dato dall'esperienza della causa: esperienza che deriva dal fatto di avere sostenuto molte cause davanti a quel giudice, in quella materia e sostenendo determinate impostazioni.

Indipendentemente e oltre la questione della conoscenza e dell'inquadramento tecnici del problema di diritto amministrativo, ciò che alla fine ci qualifica è la conoscenza e la pratica applicata del problema.

Il che, se ben pensiamo, è un po' quello che avviene anche per il medico specialista, vale a dire l'unico professionista che, attualmente, può essere formalmente qualificato in tal senso.

Lo specialista in cardiologia non si forma (solo) sui libri di testo e sui banchi delle scuole di specialità; ma prima di tutto egli si forma in reparto, seguendo il Direttore della clinica in  corpore vili (come si suol dire), e frequentando la corsia.

Lo specialista medico al quale ci si rivolge per un consulto è, innanzi tutto, quel professionista che ha visto molti casi simili a quello di cui si discute e che ha visto più spesso degli altri come quella determinata patologia possa evolvere, risolversi, trasformarsi o complicarsi.

Ma se è questo ciò che qualifica la specializzazione professionale, vale a dire la reiterata applicazione pratica ad un determinato ramo della generale disciplina praticata; se questo dunque è l'amministrativista (e, ritengo, anche il penalista o il tributarista o lo specialista di diritto di famiglia), perché allora non riconoscere, almeno come criterio alternativo, che la qualifica di avvocato specialista debba essere riconosciuta a chi ha comprovatamente e oggettivamente trattato almeno un determinato numero di questioni in quel settore del diritto?

Sì da riconoscere, ad esempio, detta qualifica a chi ha sostenuto almeno cinquanta difese davanti ai Tribunali amministrativi regionali?

Per pensare alle conseguenze concrete, illustri nostri Colleghi - penso anche al nostro Presidente Onorario - avranno certo diritto, in virtù della norma transitoria contenuta nel regolamento del CNF, di acquisire la qualifica di specialista; forse però non avranno la voglia, l'occasione, la possibilità o il tempo di fare ciò che è necessario per  mantenerla in seguito, se ciò implicasse la frequentazione di quaranta ore di formazione all'anno e a Roma.

Ma, quando ciò accadesse, davvero avremmo il coraggio di affermare che Ivone Cacciavillani non avrebbe più le caratteristiche sostanziali per essere qualificato come avvocato specialista in diritto amministrativo?  

I diversi e alternativi presupposti per l'accesso alla specializzazione da me suggeriti, invece,  non farebbero perdere la qualifica di specialista al nostro amato Presidente onorario, e non la farebbero perdere a chiunque altro - anche molto giovane, ma comunque dotato della sufficiente esperienza - pratichi effettivamente il diritto amministrativo. Infatti, la qualifica in tal modo riconosciuta deriverebbe non dal valutare quanto lo specialista abbia "studiato" o continui a "studiare", ma quello che concretamente lo specialista sa fare e valutare perché lo ha già fatto e lo ha già valutato.

D'altra parte e sempre guardando al profilo sostanziale delle cose, dubito che frequentare un corso teorico di duecento ore  formi di per sé uno specialista in diritto amministrativo e dubito che chi frequentasse quel corso di duecento ore a Roma sarebbe più versato nella materia del diritto amministrativo di quanto non lo sia il  nostro Presidente onorario che, invece, pratica effettivamente la disciplina da quarant'anni.

I presupposti per il riconoscimento della specializzazione da me indicati mi sembrano, dunque, assai più aderenti alla realtà sostanziale delle cose di quanto non siano quelli attualmente indicati dal regolamento del CNF.

 Essi, inoltre, avrebbero il pregio di non individuare (e,quindi, concentrare) le figure degli specialisti sulla base di meri criteri anagrafici  o di collocazione territoriale del professionista (perché più vicini al luogo in cui si svolgono i corsi di formazione), ma sulla base di una effettiva e dimostrata preparazione sostanziale.

Forse, perciò, potrebbe essere proprio questa la proposta da avanzare, seduti a quel futuro tavolo delle trattative.

Vale a dire che, per ottenere il titolo di specialista, si possa utilizzare, almeno come criterio alternativo alla frequentazione di un corso di formazione, l'effettivo e oggettivo svolgimento dell'attività defensionale in una data materia.

 

Sarei davvero interessato, a questo punto, a conoscere l'opinone dei Colleghi.

 

Chi avesse egli stesso l'interesse di esprimerla è dunque invitato a rispondere in allegato a questo intervento o suggerendo propri, autonomi, interventi.

Ultimo aggiornamento ( lunedì 10 gennaio 2011 )
 
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