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L’incompetenza territoriale dei TAR e i giudizi instaurati prima dell'entrata in vigore del Codice PDF Stampa E-mail
martedì 16 novembre 2010

di GIOVANNI ATTILIO DE MARTIN.

Merita menzione ed approfondimento la recentissima sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sezione VII^, 3 novembre 2010, n. 22276 la quale affronta, con estrema lucidità e condivisibili (a parere di chi scrive) conclusioni, una problematica processuale piuttosto spinosa. Infatti, ritengo sia ben noto ai lettori del sito che, a differenza di quanto ritenuto dalla L. n. 1034/1971, il Codice del processo Amministrativo (approvato con il D.lgs. n. 104/2010 in attuazione della delega contenuta nell’Articolo 44 della L. n. 69/2009) prevede che la competenza territoriale dei singoli T.A.R. sia inderogabile e rilevabile, anche d’ufficio, in primo grado da parte dell’Organo Giudicante medesimo (vedasi, sul punto, gli Articoli 13, 14, 15 e 16 del Codice suddetto), e ciò anche per quanto concerne la trattazione e cognizione delle misure cautelari. La nuova disciplina appena menzionata è applicabile a tutti i Giudizi pendenti, e, pertanto, altresì a quelli instaurati nel vigore della previgente normativa; tuttavia, l’eccezione di incompetenza territoriale non può essere validamente sollevata, con espresso riferimento ai precitati Giudizi Amministrativi instaurati in conformità alla previgente disciplina normativa, allorquando, sul punto, siasi verificata una preclusione processuale, la quale, secondo il ben noto principio “tempus regit actum” è intangibile. Per vero, prima dell’entrata in vigore del Codice del processo (in data 16 settembre 2010, secondo quanto disposto dall’Articolo 2 del D.lgs. n. 104/2010) la fattispecie de qua era disciplinata dall’Articolo 31 della L. n. 1034/1971 il cui testo prevedeva, al comma I^ e per quanto di maggiore interesse in questa sede: “Il resistente o qualsiasi interveniente nel Giudizio innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale possono eccepire l’incompetenza per territorio del Tribunale adìto indicando quello competente e chiedendo che la relativa questione sia preventivamente decisa dal Consiglio di Stato. L’incompetenza per territorio non è rilevabile d’ufficio”. Seguiva poi, nei commi successivi del medesimo Articolo, l’enunciazione della normativa, di natura prettamente processuale, disciplinante la proposizione dell’istanza di regolamento di competenza territoriale, il termine per la sua ammissione, la facoltà delle altre parti di accordarsi in ordine alla remissione della controversia al Giudice Amministrativo indicato come territorialmente competente (cc.dd. accordo traslativo) e così via. Alla luce della formulazione dell’Articolo 31 succitato, secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, il termine massimo (di decadenza e, quindi, perentorio) per la proposizione dell’istanza di regolamento di competenza territoriale (costituente l’unico strumento processuale attraverso il quale altra parte avrebbe potuto contrastare la scelta territoriale del T.A.R. fatta dal ricorrente) coincideva con il settantesimo giorno a far data dalla notificazione del ricorso; l’omessa proposizione della relativa istanza entro detto termine ha determinato, per quanto concerne tutti i Giudizi pregressi ed attualmente pendenti, stante la derogabilità (in base alla disciplina normativa previgente) della competenza territoriale e l’assenza di poteri officiosi del Giudice in subiecta materia l’effetto di radicare definitivamente il ricorso presso il T.A.R. scelto dal ricorrente. Trattasi di situazione oramai inequivocabilmente “definita” e “cristallizzata” sul fondamento delle regole processuali vigenti al momento del suo sostanziarsi e che, pertanto, non può essere in alcun modo rimessa in discussione dalla sopravvenuta normativa sul processo amministrativo. Peraltro, a ben ragionare, trattasi null’altro che di un portato dell’Articolo 11 delle disposizioni sulle leggi in generale (cc.dd. preleggi) laddove il Legislatore ha statuito il principio di non retroattività secondo il quale: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo” : con riguardo alla Legge processuale ciò comporta, in linea di generale principio, che gli atti sono retti dalla disciplina normativa vigente al momento del loro compimento e venire in essere tanto che la normativa sopravvenuta non incide affatto sulla loro stabilità (cfr., in terminis, Corte di Cassazione, Sezione III^, 12 maggio 2000, n. 6099). Si tratta, è ben vero, di regola non assoluta che, essendo posta con Legge ordinaria e non essendo costituzionalizzata (ancorchè in sede di Assemblea Costituente non pochi né non autorevoli furono i tentativi in tal senso), ben potrebbe essere derogata da disposizioni successive e di pari rango (solo in materia penale – e sanzionatoria in genere - ciò non è possibile poiché l’irretroattività della normativa sanzionatoria è sancita in via assoluta dall’Articolo 25 della Costituzione); tuttavia, la volontà derogatoria dovrebbe risultare in modo espresso o, comunque, chiaro ed indiscutibile dal suo testo (il che assolutamente non è per la fattispecie che ci occupa), rimanendo diversamente l’interprete obbligato ad utilizzare il principio di non retroattività quale canone interpretativo ed applicativo. Sul punto è pienamente concorde anche la Corte Costituzionale la quale con sentenza 14 aprile 1988, n. 111 ha affermato che la sopra esposta modalità interpretativa si configura pienamente conforme rispetto ai connessi e conseguenti principi in tema di tutela dei diritti quesiti, delle posizioni esaurite, della tutela dell’affidamento nonché degli effetti già prodotti delle attività processuali. Ad ulteriore riprova della rilevanza del sostanziarsi di preclusioni in ambito processuale, possono essere richiamate talune pronunce giurisprudenziali intervenute in un’ipotesi di successioni nel tempo di leggi sulla competenza (cfr. Corte di Cassazione, Civile 15 dicembre 2004, n. 23366) nonché in altra ipotesi in cui, pur non venendo in diretta applicazione il principio “tempus regit actum”, comunque la declaratoria di incostituzionalità di una norma disciplinante la competenza non è stata ritenuta esplicativa di effetti su situazioni processuali antecedenti alla sentenza della Corte, quando caratterizzate da preclusioni processuali già verificatesi (cfr. Cass. Civile 18 dicembre 2006, n. 27040). Nel preciso significato qui propugnato depone anche la ratio ispiratrice dell’Articolo 5 C.p.c. in tema di perpetuatio della giurisdizione e della competenza, pur non sussistendo gli estremi per una diretta applicabilità del relativo disposto nella subiecta materia: è assolutamente palese l’intento del Legislatore del Codice di tendere ad evitare che si determinino cc.dd. migrazioni di Giudizi dal Giudice innanzi al quale risultano definitivamente incardinati ad altro Giudice, in conseguenza di mutamenti normativi intervenuti nelle more della loro definizione. In definitiva, dalle argomentazioni sopra esposte possono essere tratte le seguenti conclusioni: a) l’esercizio del nuovo potere del Giudice di rilevare in via officiosa la propria incompetenza territoriale (trattandosi di uno strumento cc.dd. di reazione previsto dagli Articoli 15 e 16 del nuovo Codice del processo amministrativo) rimane precluso allorquando, alla data di entrata in vigore del Codice (16 settembre 2010) già risultava spirato il termine di cui all’Articolo 31 della L. n. 1034/1971 per la proposizione dell’istanza di regolamento di competenza territoriale; b) la conclusione di cui al precedente punto a) non rinviene fondamento nell’Articolo 5 C.p.c., che disciplina una diversa fattispecie, ma è conforme alla ratio della precitata norma processuale ed origina dal principio “tempus regit actum” in connessione con il verificarsi di una preclusione processuale che risulta, allo stato, intangibile, stante, altresì, il generale divieto di retroattività della legge; c) qualora il termine, di cui all’Articolo 31 dell’abrogata L. n. 1034/1971, fosse stato ancora in corso alla data del 16 settembre 2010 il Giudice Amministrativo chiamato a decidere la controversia ben potrebbe rilevare d’ufficio la propria incompetenza per territorio, tanto più che l’Articolo 2 delle norme transitorie (Allegato 3 del Codice) espressamente dispone che per tali termini “continuano a trovare applicazione le norme previgenti”.

Il presente modesto contributo, oltreché fedelmente riportare il contenuto della sentenza del T.A.R. per la Campania in commento, riflette, altresì, le opinioni ed i convincimenti di colui che lo ha redatto.

 

 

 

 

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