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Il ricorso Straordinario al Capo dello Stato ed il Giudizio di ottemperanza. PDF Stampa E-mail
lunedì 28 febbraio 2011

di Giovanni Attilio De Martin

Merita molta attenzione la recentissima decisione della Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, 28 gennaio 2011, n. 2065 la quale, risolvendo una vexata quaestio durata quasi per sessanta anni, ammette l’applicabilità della disciplina processuale e, quindi, dell’istituto dell’ottemperanza al giudicato formatosi sulle sentenze pronunciate dal Giudice Amministrativo anche alle decisioni rese su Ricorso Straordinario al Capo dello Stato (ovvero al Presidente della Giunta Regionale Siciliana, stante l’eadem ratio dell’istituto). Trattasi di un’acquisizione giuridica di non poco conto la quale costituisce l’ultimazione e lo sfociare di un percorso dottrinario e giurisprudenziale di lungo periodo, peraltro evocato con precisione e dettagliatamente all’interno della medesima decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte. Quale la ragione per cui dottrina prevalente e giurisprudenza previgente ritenevano il giudizio di ottemperanza non compatibile con la natura della decisione del Ricorso Straordinario al Capo dello Stato? Si legge nella sentenza in commento che sempre, tradizionalmente, è stato attribuito, in relazione al provvedimento che conclude il procedimento di Ricorso Straordinario, un connotato di antinomia ed atipicità fra forma (di atto amministrativo) e sostanza (di provvedimento decisorio). La cc.dd. ambivalenza del Ricorso Straordinario affonda, per vero, le sue proprie radici nella matrice storica dell’istituto e nella funzione che esso ha, via via, assolto, ossia quella originaria di strumento di “tutela ritenuta” o, meglio ancora, di “tutela ottriata” ossia di tutela “graziosa” e, comunque, amministrativa e, viceversa, quella di rimedio giustiziale tendente alla giurisdizionalità, alternativo alla tutela giurisdizionale e, pertanto, con essa concorrente (Articolo 8 del D.p.r. n. 1199/1971 ed il previgente Articolo 20, comma III^, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034), soprattutto a seguito della creazione e del consolidamento di un sistema di tutela giurisdizionale amministrativa. Ma se così è la funzione non amministrativa ma propriamente decisoria del decreto definitorio del Ricorso Straordinario è venuta in considerazione, essenzialmente, a fronte della possibilità che la P.A. soccombente non intenda adempiere e, quindi, eseguire quanto statuito nel decreto medesimo. Come a Noi tutti assai noto, il Giudizio di ottemperanza, tradizionalmente disciplinato dall’Articolo 27, n. 4) del R.D. n. 1054/1924, integrava lo strumento processuale idoneo ad assicurare l’effettività e la satisfattività della giustizia amministrativa, essendo esso, come rilevato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 419/1995 e n. 435/1995, un connotato intrinseco ed essenziale della medesima funzione giurisdizionale, come tale costituzionalmente necessario per conferire completa attuazione ed integrale dispiegamento al diritto di difesa. Pertanto, essendo stata collegata, in via pressoché esclusiva, alla giurisdizione, l’esperibilità del Giudizio di ottemperanza veniva costantemente esclusa dalla giurisprudenza della Suprema Corte con riferimento al decreto su Ricorso Straordinario, del quale veniva sottolineata la natura (formale) di atto amministrativo (e non, per contro, la funzione di provvedimento decisorio), con la conseguenza che l’eventuale comportamento inerte della P.A. consentiva unicamente di poter adìre il G.A. al fine di stigmatizzarne il silenzio – inadempimento, con tutte le conseguenze del caso in termini di eventuale tutela risarcitoria e di esperibilità del giudizio di ottemperanza (ovviamente nei confronti della sentenza che avesse acclarato il comportamento omissivo della P.A., soccombente in sede di Ricorso Straordinario). Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione già con la sentenza n. 3141/1953 (quindi quasi sessanta anni or sono) cassarono per difetto di giurisdizione la decisione del Consiglio di Stato che aveva affermato l’ammissibilità del Giudizio di ottemperanza in relazione ai decreti di accoglimento dei Ricorsi Straordinari al Capo dello Stato, rimasti inadempiuti. Un siffatto orientamento ermeneutico poggiava sulla natura formalmente amministrativa del decreto de quo, di tal che se pur la P.A. è obbligata ad uniformarsi ad esso, un siffatto obbligo non è assoluto e vincolante (come avviene nella fattispecie del giudicato), discendendo esso, piuttosto, dalla posizione di preminenza o di supremazia ordinamentale che spetta al Capo dello Stato – Presidente della Repubblica. Trattasi, come ben spiegano la Sezioni Unite nella sentenza in commento, di un’ “efficacia circoscritta nell’ambito della stessa sfera dell’Amministrazione, senza avere rilevanza esterna e senza dar luogo a quella forma tipica di coercizione in via eteronoma che è costituita dall’esecuzione in via giurisdizionale”. La questione si era nuovamente riproposta, in tempi a Noi più vicini, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 16 ottobre 1997, in cause riunite C-69/96 e 79/96, la quale ha dato ingresso alla questione di interpretazione di norme comunitarie, sollevata dal Consiglio di Stato in sede di parere su Ricorso Straordinario al Capo dello Stato, riconoscendo natura di Giudice Nazionale a tale Organo altresì in detta sede. Tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, anche in tal caso, ribadito il proprio tradizionale orientamento ermeneutico con sentenza n. 15978/2001 ha escluso espressamente che i decreti di decisione dei Ricorsi Straordinari possano essere assimilati alle sentenze passate in giudicato, abbiano natura giurisdizionale e, quindi, possano essere portati ad esecuzione per il tramite del Giudizio di ottemperanza. La precitata conclusione veniva motivata sul fondamento di plurime considerazioni che possono, in questa sede, in sintesi in tal modo ricordarsi: a) il Ricorso Straordinario al Capo dello Stato viene deciso da un’Autorità Amministrativa priva dei connotati di terzietà ed imparzialità consustanziali all’esercizio della funzione giurisdizionale, i cui Organi sono soggetti unicamente alla legge (Articoli 101, comma II^ e 111, comma II^ della Costituzione); b) il meccanismo della cc.dd. alternatività fra Ricorso Straordinario e ricorso giurisdizionale sarebbe notevolmente attenuata dalla preferenza accordata dal Legislatore al rimedio propriamente processuale tanto che sia l’Autorità emanante che i controinteressati si possono opporre alla trattazione del ricorso in via amministrativa con richiesta di sua trasposizione in sede giurisdizionale (Articolo 10, comma I^, del D.p.r. n. 1119/1971); c) nemmeno significativa, in questo contesto ermeneutico – ricostruttivo, sarebbe la previsione della revocabilità del decreto di decisione del Ricorso Straordinario (Articolo 15 del medesimo D.p.r. innanzi citato) poiché la revocazione risulta un rimedio comunemente ammesso anche per i ricorsi amministrativi ordinari, nel mentre, in particolare, la revocazione di cui all’Articolo 395, n. 5) C.p.c. devesi intendere riferita al contrasto con una precedente decisione di Ricorso Straordinario, posto che la sentenza passata in giudicato prevale, comunque, sulla difforme decisione del Ricorso Straordinario. Quanto, infine, alla cennata sentenza della Corte di Giustizia UE le Sezioni Unite osservavano che “la nozione di giurisdizione nazionale, in quanto già prevista dall’allora Articolo 234 del Trattato CE e modellata in via interpretativa ai soli fini della ricevibilità dei rinvii pregiudiziali, interpretativi e di validità, non rileva quando si tratta di interpretare disposizioni di diritto processuale nazionale al differente fine di ammettere, o meno, il giudizio di ottemperanza nei confronti di decisioni su Ricorsi straordinari rimaste inseguite da parte della P.A.; questa non necessaria coincidenza fra le due nozioni di giurisdizione è un aspetto erroneamente non considerato nelle Ordinanze di sezioni consultive del Consiglio di Stato che hanno ritenuto di poter fondare sulla richiamata sentenza della Corte di Giustizia la legittimazione del Consiglio di Stato, in sede di parere su ricorso Straordinario al Capo dello Stato, a sollevare questioni di legittimità costituzionale”. Peraltro, tale ultima considerazione è stata confermata dalla Corte Costituzionale la quale, con sentenza n. 254/2004, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’Articolo 3 della L. n. 87/1994, sollevata dal Consiglio di Stato in sede di parere su Ricorso Straordinario: ciò sul presupposto che la questione era stata prospettata da un Organo non giurisdizionale (cfr. in merito quanto dispone l’Articolo 14 del D.p.r. n. 1199/1971). Successivamente alla sentenza delle Sezioni Unite del 2001 e all’Ordinanza della Corte Costituzionale del 2004, la materia de qua è stata fatta oggetto di svariati interventi da parte del Legislatore, i quali incidono profondamente sulle principali considerazioni poste a fondamento delle predette decisioni. Già nel settore particolare delle procedure di affidamento dei contratti pubblici ed atti dell’Autorità di vigilanza sugli stessi, l’Articolo 245, comma II^, del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ha previsto l’applicazione degli strumenti di esecuzione, di cui agli allora vigenti Articoli 33 e 37 della L. n. 1034/1971,  per quanto concerne i relativi decreti di accoglimento dei Ricorsi Straordinari; più in generale, l’Articolo 69 della L. 18 giugno 2009, n. 69 ha introdotto, al primo comma, una aggiunzione all’Articolo 13, primo comma, alinea, del D.p.r. n. 1199/1971 secondo la quale il Consiglio di Stato, chiamato ad esprimere il parere sul Ricorso Straordinario, ne sospende l’espressione e solleva l’incidente di costituzionalità “ai sensi e per gli effetti di cui agli Articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87” qualora ritenga che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata; il secondo comma dell’Articolo 69 succitato dispone l’aggiunta al primo periodo del primo comma dell’Articolo 14 del medesimo D.p.r. delle parole “conforme al parere del Consiglio di Stato” e la soppressione del secondo periodo del primo comma, disponendo ulteriori abrogazioni. Esaminando le sopravvenute disposizioni normative de quibus, le Sezioni Unite, nella sentenza in commento n. 2065/2011, hanno rilevato come, in particolare lo jus novum di cui all’Articolo 69 della L. n. 69/2009 è tale da eliminare alcune determinanti differenze del procedimento di Ricorso Straordinario rispetto a quello giurisdizionale. Segnatamente, il riferimento all’Articolo 23 della L. n. 87/1953, il quale disciplina il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, fa sì che il Consiglio di Stato in sede di espressione del parere sia, in tutto e per tutto equiparato, ad un’Autorità Giurisdizionale; ed ancora, la eliminazione del potere della P.A. di discostarsi dal parere reso dal Consiglio di Stato conferma che il provvedimento decisorio finale è “meramente dichiarativo di un giudizio”. Allo stato, quindi, benché il decreto non possa definirsi un atto giurisdizionale propriamente inteso (in ragione della natura dell’Organo emanante e della forma del provvedimento), la vincolatività del parere del Consiglio di Stato lo assimila pienamente ai provvedimenti giurisdizionali nella funzione e nei contenuti. Da ciò discende, ovviamente, che i mezzi di tutela avverso l’inottemperanza della P.A. non potranno che essere i medesimi. A ciò devesi aggiungere che la disciplina contenuta nel “Codice del processo amministrativo”, di cui al D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, prevede all’Articolo 112, comma 2, che l’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione delle sentenze del Giudice Amministrativo passate in giudicato (lett. a) ed, altresì, delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del Giudice Amministrativo (lett. b), oltre che delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del Giudice Ordinario (lett. c), nonché delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza (lett. d) e dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili (lett. e). In maniera del tutto corrispondente, il successivo Articolo 113 del Codice, nell’individuare il Giudice dell’ottemperanza, dispone che il ricorso si propone, nel caso di cui all’Articolo 112, comma 2, lettere a) e b), al Giudice che ha pronunciato il “provvedimento” della cui ottemperanza si tratta (essendo competente il Tribunale Amministrativo Regionale anche per i propri provvedimenti confermati in appello, con motivazione del tutto conforme) (comma 1), mentre nelle fattispecie di cui all’Articolo 112, comma 2, lettere c), d) ed e) il ricorso si propone al T.A.R. nella cui circoscrizione ha sede il Giudice che ha pronunciato la sentenza della cui ottemperanza si tratta (comma 2), secondo un sistema fondato sulla netta distinzione fra l’ottemperanza di sentenze e di altri provvedimenti del Giudice Amministrativo (Articolo 112, comma 2, lett. a) e 6), per i quali è prevista la competenza del G.A. che ha pronunciato la sentenza od il provvedimento, e quella di sentenze passate in giudicato, od altri provvedimenti ad esse equiparati, dell’A.G.O. o di altri Giudici, nonché di lodi arbitrali divenuti inoppugnabili (Articolo 112, comma 2, lett. c), d) ed e), per i quali è competente il T.A.R. secondo il criterio di collegamento previsto dall’Articolo 113, comma 2, del Codice. Quindi, nel sistema processuale testè delineato la decisione su Ricorso Straordinario al Capo dello Stato, resa in base al parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, si colloca nella ipotesi prevista dalla lettera b) dell’Articolo 112, comma 2, e il ricorso per l’ottemperanza si propone, ai sensi dell’Articolo 113, comma 1, dinanzi al Consiglio di Stato, nel quale si identifica “il Giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta”. Peraltro, alla estensione del Giudizio di ottemperanza a provvedimenti che non siano sentenze, o, in ogni caso, provvedimenti non formalmente giurisdizionali, non si frappongono ostacoli di natura costituzionale, tanto che è certamente configurabile la previsione normativa di un tale Giudizio per le decisioni, rimaste non eseguite, del Capo dello Stato trattandosi di una scelta del Legislatore la quale risulta preordinata a rendere effettiva la tutela dei diritti. In merito, va rilevato che il Ricorso Straordinario al Capo dello Stato non è espressamente previsto dalla Costituzione; tuttavia, la Corte Costituzionale, per il tramite di diversi propri interventi, ha pienamente confermato la compatibilità del precitato rimedio con il dettato costituzionale e, in particolare, con l’Articolo 113 Costituzione (cfr. Corte Costituzionale n. 1/1964; n. 78/1966; n. 56/2001 e n. 301/2001). Segnatamente, il Giudice delle leggi ha sottolineato come la disciplina posta dal D.p.r. n. 1199/1971 non solo aveva ribadito la natura del tutto atipica che il Ricorso Straordinario aveva assunto sin dall’epoca della Monarchia costituzionale, adeguando la disciplina della alternatività al principio della “trasferibilità” in sede giurisdizionale, ma, in attuazione del criterio di economicità posto dalla Legge di delegazione, ne aveva confermato il carattere di rimedio straordinario contro eventuali illegittimità di atti unicamente definitivi, che i singoli interessati possono utilizzare con modeste spese, senza bisogno di assistenza tecnico – legale e usufruendo di termini decadenziali particolarmente ampi (cfr. le già citate sentenze Corte Costituzionale n. 56/2001 e n. 301/2001). Più recentemente, la Corte Costituzionale, partendo la presupposto che le concrete modalità di coordinamento con il rimedio giurisdizionale potrebbero essere plurime e rispondere a finalità divergenti, ha rilevato come il Legislatore, nell’esercizio della sua propria discrezionalità, potrebbe dettare una disciplina normativa tale da costituire una completa rivisitazione del Ricorso Straordinario e dei suoi rapporti con il rimedio giurisdizionale (cfr. Corte Costituzionale n. 432/2006). Su questi presupposti, la decisione delle Sezioni Unite 28 gennaio 2011, n. 2065 evidenzia come “la nuova regolamentazione normativa intesa alla “assimilazione” del rimedio straordinario a quello giurisdizionale, pur nella diversità formale del procedimento e dell’atto conclusivo, non può non assicurare una tutela effettiva del tutto simile, poiché come queste Sezioni Unite hanno precisato in tema di “autodichia”, una volta che si riconoscano poteri decisori, su determinate controversie, formalmente diversi, ma analoghi, rispetto a quelli della giurisdizione, infrangerebbe la coerenza del sistema una regolamentazione affatto inidonea alla tutela effettiva dei diritti e tale da condurre, in spregio all’Articolo 2, comma 1, e Articolo 3 Cost., a creare una tutela debole (cfr. Cass., Sez. Unite, n. 6529 del 2010”. E la verifica di una siffatta coerenza deve essere condotta rammentando, altresì, che i criteri costituzionali sono integrati dalla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (Articoli 6 e 13), come interpretate dalla Corte di Strasburgo, secondo il procedimento di ingresso nell’Ordinamento Nazionale previsto dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 348/2007. Ebbene, secondo la giurisprudenza della CEDU sono intangibili le decisioni finali di giustizia rese da un’Autorità che non fa parte dell’Ordine Giudiziario, ma che siano equiparate ad una decisione del Giudice; peraltro, in ogni Ordinamento nazionale devesi ammettere l’azione di esecuzione in relazione ad una decisione di giustizia, quale indefettibile seconda fase della lite definita (cfr. CEDU 16 dicembre 2006; 15 febbraio 2004).

Il presente modesto contributo, oltreché fedelmente riportare il contenuto della decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte in commento, riflette, altresì, le opinioni ed i convincimenti di colui che lo ha redatto.

Padova, lì 22.02.2011                                                                         Giovanni Attilio De Martin

 
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