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I limiti alla cessione di cubatura relativa ad aree destinate a standard PDF Stampa E-mail
mercoledì 21 settembre 2011

di Federico Pagetta

È principio giurisprudenziale consolidato quello per cui le scelte effettuate dall’amministrazione nell’adozione dello strumento urbanistico costituiscono apprezzamento di merito connotato da ampia discrezionalità e, quindi, sottratto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che esse non siano inficiate da errori di fatto, illogicità, irragionevolezza, incoerenza con l’impostazione di fondo dell’intervento pianificatorio o incompatibilità con le caratteristiche oggettive del territorio (ex multis: Cons. di Stato, Sez. IV, 5 marzo 2010, n. 1275).

In ossequio a tale principio, con sentenza 8 settembre 2011 n. 1369 che qui si segnala, il T.A.R. Veneto ha ritenuto non esente dal proprio (seppur “debole”) sindacato uno strumento di pianificazione urbanistica di carattere esecutivo – nella fattispecie un Piano di Recupero – che consente al soggetto attuatore lo sfruttamento della volumetria massima assentibile prevista per l’ambito territoriale di riferimento attraverso la cessione da parte dell’ente locale non solo della cubatura riferita all’area in proprietà destinata a standards ma anche di un terreno di proprietà comunale e della corrispondente cubatura. “Tale cessione – sottolinea il Giudice amministrativo veneto nella pronuncia in esame – se ha consentito alla controinteressata (ndr. società attuatrice del P.d.R.) di sfruttare tutta la volumetria assentibile ha, per altro verso, determinato la radicale impossibilità di reperimento di aree da destinare a standard, in quanto, sebbene quelle di proprietà pubblica oggetto della cessione della cubatura continuano a mantenere l’originaria destinazione (piazza, parcheggi, marciapiede, ecc.), risulta di palmare evidenza che l’incremento del carico urbanistico avrebbe richiesto un adeguato incremento anche degli standard”. Il ricorso alla cessione di cubatura, segnatamente la cessione di aree di proprietà comunale destinate a standards è pur possibile, ma deve corrispondere “ad un’esigenza di migliore razionalizzazione dello sfruttamento edilizio e non può essere utilizzata quale strumento esclusivamente funzionale all’incremento della possibilità di realizzazione di volumi edilizi”. Non solo: diversamente da quanto avvenuto, nel caso di specie il ricorso alla monetizzazione delle aree a standards sarebbe risultato ammissibile solo ove tali aree fossero mancate ab origine così come ragionevolmente previsto anche dalle norme tecniche di attuazione; parimenti illogico e irrazionale è stato giudicato l’impegno assunto dal soggetto attuatore del Piano alla realizzazione di un edificio a destinazione ricreativa a parziale scomputo della cessione di cubatura summenzionata in località del tutto avulsa rispetto a quella interessata dall’intervento edificatorio de quo.

Donde l’irragionevolezza della scelta urbanistica operata dall’amministrazione comunale e la sua contrarietà ai principi generali cui deve conformarsi l’attività di pianificazione ed edilizia, tra i quali va annoverato il principio per cui l’edificazione non può essere disgiunta dalle necessarie opere di urbanizzazione, specialmente laddove l’intervento edificatorio insista sul centro storico di un comune a rilevante vocazione turistica.

 

 
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