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PER UNA AVVOCATURA CHE CAMBIA* PDF Stampa E-mail
lunedì 09 gennaio 2012

di Enrico Gaz

1 - Il futuro prossimo prospetta per l’avvocatura tempi gravidi di incertezze e di scelte. Le decisioni attese andranno assunte entro una cornice che si delinea tutt’ora magmatica ed ambigua, prova ne sia che ancora ieri il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà preannunciava per gennaio un nuovo intervento governativo in materia di professioni1.
Nel mettere a fuoco questo orizzonte dirompente, che prospetta la dissoluzione stessa – a data certa - degli ordini professionali2, si ha però la sensazione che il mondo forense si stia avvitando su uno scontato appello a serrare le fila, limitandosi a chiamare a raccolta i nostri interessi (a mo’ delle rivendicazioni dei farmacisti, dei tassisti e così via).
Rischiamo di essere quelli che, per fatti eguali, continuano a dichiararsi diversi.
In tempi di profondo cambiamento l’avvocatura deve invece riscoprire le sue ragioni, di fronte ad una opinione pubblica che ha costruito i luoghi comuni dell’immaginario collettivo intorno ai torti (che indubbiamente ci sono) degli avvocati. Molto è cambiato, anche contro di noi, contro le nostre abitudini. Dobbiamo quindi cambiare anche noi, investendo di più nella nostra forza creativa e meno nell’inerzia di apparato.
Non si tratta di rinnegare ma di rinnovare una storia, reinventandola nella post-modernità, per stare dentro il cambiamento con spirito propositivo, senza subirlo passivamente.
Abbandonando l’assillo per i nostri interessi possiamo trovare un varco rassicurante attorno al disinteresse per le nostre convenienze e le nostre opportunità, che rischiano di diventare anche la madre delle nostre grettezze e delle nostre chiusure. Sappiamo che la categoria del disinteresse dovrebbe costituire la cifra della professione forense.
2 - Il Consiglio Nazionale Forense sta pubblicando per i tipi della Giuffrè una interessante collana dedicata ai “Discorsi dell’Avvocatura”. Un volume del 2003, con prefazione di Giuseppe Frigo, è dedicato agli interventi di Giuseppe Zanardelli.
Va detto che Zanardelli – oltre che Guardasigilli, Presidente del Consiglio e padre del codice penale del 1889 – fu tutt’altro che un avvocato pio e devoto. Massone fedele alle dottrine positivistiche si dichiarava apertamente anticlericale: un personaggio, quindi, alieno da moralismi melensi e sdolcinati. Nel 1887 così scriveva del ruolo dell’avvocato: “il sentimento del disinteresse, di cui venni parlando, non solo deve condurre l’avvocato, come dissi, a non far traffico dell’ingegno coll’accogliere e patrocinare cause ingiuste quando il fulgore dell’oro getti sovra di esse le sue abbaglianti seduzioni, non solo deve spingerlo a non far dipendere la
1 Cfr. l’intervista pubblicata in La Repubblica del 16 dicembre 2011 con il titolo “Le lobby non ci fermeranno. A gennaio ripresentiamo tutto” .
2 Si veda l’art. 3, comma 5 bis, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (come novellato dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201).
propria cura e diligenza, il proprio zelo ed ardore, il tempo dedicato all’affare, dalla maggiore o minore rimunerazione che ne tragga o ne speri, ed a prestar anche una gratuita opera con intera annegazione; ma deve ne’ casi stessi in cui la causa è giusta e il compenso sicuro, far sì che sempre ed esclusivamente l’avvocato abbia in mira l’interesse delle parti e non mai l’interesse proprio ... In ogni consiglio, ad ogni passo della causa, in ogni atto, in ogni determinazione, l’avvocato deve pensare esclusivamente a ciò che giova al cliente, avendo più di lui che di sé cura ... L’oblio di noi stessi, ecco la parola in cui si compendia in tutta la sua purezza questo nobile ed alto dovere”3.
In queste righe, per nulla illanguidite dal tempo, ritroviamo qualcosa di magico, di imperituro, di tonificante.
Per chi vuole continuare a credere all’onore e al valore dell’avvocatura molti sono i livelli su cui coniare un quadro più persuasivo per la nostra professione.
E molti spunti possiamo trarli maneggiando un testo oramai noto del nostro Presidente onorario, titolato “Testamento d’avvocato”, uscito per le edizioni Cedam a fine 2010.
Il titolo può essere fuorviante o illuminante allo stesso tempo: dipende dall’angolo visuale in cui ci si pone.
Può essere fuorviante se lo derubrichiamo ad una sorta di sentimentalismo della terza età professionale, come puro ricordo del vissuto da bei tempi antichi, prodotto della cultura del piagnisteo oggi tanto di moda: lamentosa sul presente, nostalgica del passato e, quel che è peggio, sterile e improduttiva per il futuro. Diventa illuminante se si coglie il titolo nella sua adeguatezza terminologica di testamento in senso stretto, cioè di disposizione testamentaria, modale, che – per una rinuncia o una accettazione - interpella la libertà dei potenziali eredi, dono di un operatore che promette di continuare la battaglia.
Un lascito in cui si intrecciano vere e proprie proposte di revisione normativa, con tanto di bozza di articolato, e forti suggestioni che lambiscono la storia, la teologia, la filosofia, l’esegesi biblica, la linguistica forense, il tutto condito da una gustosa trama di aneddoti.
3 - Tuttavia, anche nei suoi interventi più recenti, molto pragmaticamente l’avv. Cacciavillani non scorda come l’avvocato sia innanzitutto un lavoratore che, difendendo, si guadagna il pane. Sul tema dei minimi tariffari4 da tempo sostiene i “seri dubbi che il minimo di tariffa sia garanzia della dignità della professione, mentre un compenso irrisorio rispetto all’impegno che l’affare comporta è sicuro indice di leggerezza quando non d’impreparazione tecnica”5.
3 Cfr. G. ZANARDELLI, L’avvocatura, Milano, 2003, p. 200.
4 Partendo dagli stessi dettami del Concilio di Lione del 1274 che comminava la scomunica all’avvocato che superasse i massimi di tariffa: cfr. I. CACCIAVILLANI, Sant’Ivone dei Bretoni, Avvocato per vocazione, Padova, 1988, p.p. 64 ss.
5 Cfr. I. CACCIAVILLANI, Ordini e professioni, i punti deboli della rivoluzione (mancata) in Corriere del Veneto del 22 Novembre 2011, p. 7.
Ma proprio il sistema della tariffazione che tanto scalda gli animi dei colleghi può occasionare una riflessione non banale su quel che ci compete. Dopo il cosiddetto “Decreto Bersani” (D.L. 4 luglio 2006, n. 223) la vulgata imperante celebrava i funerali di stato delle tariffe professionali che, invece, paiono aver superato indenni le forche caudine della giurisprudenza comunitaria. Nel 2002 fu la nota “sentenza Arduino”6 a sancire la compatibilità della disciplina di fissazione delle tariffe minime con il diritto europeo della concorrenza ma pochi mesi fa la Corte di Giustizia ha posto la parola fine alla vexata quaestio della legittimità delle tariffe forensi affermando che “le disposizioni nazionali italiane le quali stabiliscono l’obbligo di rispettare le tariffe massime per le attività giudiziali e stragiudiziali degli avvocati non contrastano con le norme del Trattato”7.
Non per nulla la manovra estiva, di ampia liberalizzazione del settore, continua ad indicare nel tariffario il parametro di riferimento “in caso di mancata determinazione consensuale del compenso quando il committente sia un ente pubblico”8.
Sulle tariffe c’è qualcosa che possiamo fare “per i fini della giustizia e per gli interessi superiori della Nazione”9?
Tempo fa, Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, in un editoriale del Corriere della Sera10 dedicato ai mali della giustizia italiana e alla loro analisi economica, ricordavano che in Germania gli avvocati sono remunerati a forfait, per cui essi sono incentivati a chiudere le vertenze il più rapidamente possibile. Il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, con una difesa piccata11, ha obbiettato che, se così fosse, non si capirebbe perché dopo la liberalizzazione delle tariffe il sistema giustizia continui a non funzionare.
Confesso che non riesco ad avere una visione così semplice della questione. Mi pare che le concause delle lentezze della giustizia siano molteplici e che un sistema forfetario di retribuzione sia l’opposto di un sistema che induce la moltiplicazione e la lunghezza delle cause. C’è da chiedersi se il dogma dell’intangibilità del tariffario ci anestetizzi rispetto ai patemi dei concittadini per l’inaccettabile protrazione dei giudizi. Senza scomodare l’abusata antifona “causa che pende, causa che rende” (rectius, il brocardo “dum pendet, rendet”), va indagato se ci si sia o meno adagiati su una percezione della lunghezza del processo come lunghezza dorata.
6 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in causa C-35/99, sentenza del 19 febbraio 2002.
7 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in causa C-565/08, sentenza del 29 marzo 2011.
8 Art. 3, comma 5, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138.
9 L’espressione riprende la nota formula con cui ogni avvocato presta il suo giuramento: “Giuro di adempiere ai miei doveri professionali con lealtà, onore e diligenza per i fini della giustizia e per gli interessi superiori della Nazione”.
10 F. GIAVAZZI – A. ALESINA, Giustizia lenta, imprese piccole, in Corriere della Sera del 5 giugno 2011.
11 G. ALPA, Su tariffe e facoltà a numero chiuso le riforme che vogliamo noi avvocati, in Corriere della Sera del 7 giugno 2011.
4 - In genere, per chi vuole battere nuove vie non c’è che da essere padroni solo del proprio dovere.
Ci siamo distratti troppo a lungo sui nostri doveri se la primavera scorsa Paolo De Girolami, Presidente dell’Ordine di Treviso, ha richiamato l’attenzione sull’impressionante e preoccupante fenomeno delle udienze “scordate”, con giustificazioni del tipo “me ne sono dimenticato” o “avevo un’altra causa”12.
In “Testamento d’avvocato” è invece chiarissimo che la deontologia sia il proprium dell’avvocatura, proprium secondo l’etimologia specifica del latino medioevale, vale a dire come “essenza”. Se l’essenza dell’avvocatura è la deontologia occorre seppellire l’idea balorda che la degrada ad optional per anime belle o per professionisti particolarmente sensibili dal punto di vista morale. L’idea cioè che si tratti di un orizzonte anche eticamente nobile ma non certo per la pratica di tutti.
Sotto questo profilo possiamo persino parlare di un superamento, quantomeno semantico, della “deontologia”, nel senso che tale e tanta è la sua connaturalità con la professione che sarebbe più corretto parlare di “ontologia” forense13. Non esiste, cioè, un modo diverso di fare l’avvocato rispetto a quello tracciato dal codice deontologico: un avvocato o opera conformemente ad esso o non sta facendo l’avvocato.
Molto si può fare sul terreno delle regole.
Il cliente perplesso che, ignorando i tecnicismi della professione, sospetta che la scelta di transigere o di litigare sia suggerita dall’avvocato più per le sue prospettive di guadagno che per l’interesse dell’assistito, non ha ora grandi alternative. Da un lato egli non è in grado di valutare cognita causa l’utilità dell’una o dell’altra via; dall’altro lato, se si rivolge per un consulto ad un secondo avvocato gli verrà opposto, con il codice deontologico in mano, che senza il consenso del primo legale nulla può avere corso, a meno che la parcella non venga integralmente saldata.
Dobbiamo ripeterci con più convinzione che, de facto, questo tipo di disciplina tutela l’avvocato incompetente e disonesto dalla concorrenza del collega competente e onesto, creando delle gabbie ingannevoli e pregiudizievoli per il cliente che vi si intrappola 14. Dobbiamo, magari con l’intervento di garanzia degli Ordini, studiare delle procedure in cui un avvocato possa rendere un parere su un’altra pratica o sull’operato di un collega che la segue anche quando il rapporto con l’assistito sia ancora in corso, se il rapporto diventa la copertura per vincoli non giustificati.
12 Cfr. l’articolo “Gli avvocati scordano le udienze”, in Corriere del Veneto del 7 maggio 2011.
13 Per alcune lucide riflessioni in questa direzione può essere utile la lettura del testo di M. MANZIN e P. MORO, Retorica e deontologia forense, Milano, 2010.
14 Sul tema della tutela del cliente rispetto al “conflitto di interessi” che il legale incontra quando può scegliere tra diverse opzioni va segnalato l’intervento di P. ICHINO, Chi difende i clienti dai difensori, in Corriere della Sera del 3 maggio 2010.
5 - La stessa struttura del procedimento disciplinare chiama a plurime modifiche migliorative, anche per evitare l’onta di esempi che hanno suscitato molto scandalo nell’opinione pubblica15.
La separazione della fase istruttoria dalla fase decisoria, la conduzione della prima da parte di un relatore che non partecipa alla seconda, la pubblicità dell’udienza dibattimentale anche di primo grado, la possibilità di impugnare la decisione di archiviazione da parte dell’esponente sono terreni su cui si deve lavorare alacremente e rispetto ai quali la riforma che giace nelle sedi parlamentari appare eccessivamente timida16.
L’avv. Cacciavillani aggiunge comunque molto altro, come la proposta di introdurre il patteggiamento disciplinare.
Qui viene in rilievo il ruolo stesso degli Ordini. In un saggio pubblicato sul numero 2 del 2006 di Etica delle professioni, rivista della Fondazione Lanza, Cacciavillani sostiene che “gli Ordini devono, costretti dal nuovo corso, tornare ad esercitare la principale dello loro funzioni, di garanti della legalità a favore della clientela, istituzionalmente se non contro i propri iscritti, almeno in posizione di terzietà tra iscritto e clientela”17.
Anche su questo possiamo attingere all’esperienza del passato. Francesco Carrara, trattando il tema non aveva dubbi nel distinguere l’avvocatura dalle altre aggregazioni d’attività. “Si è detto che uno dei progressi più comunemente riconosciuti dalla moderna civiltà liberale fu l’abolizione delle corporazioni di arti e mestieri, triste avanzo del Medio Evo, e che tanto nocquero alla diffusione delle industrie e alla prosperità delle nazioni. Verità inconcussa è cotesta, né io ammetterei neppure il sospetto di esserne dubitoso. Ma quando da siffatta premessa se ne deduce il parallelo degli ordini degli artigiani all’Ordine degli Avvocati, si cade nell’anzidetto errore di convertire in assioma una regola, e di applicare un principio liberale anche là dove praticamente riesce distruttivo della libertà. Le corporazioni degli artigiani non ebbero alcuna missione sociale. La missione loro era ridotta a mantenere privilegi oppressivi degli individui facilmente convertiti in monopolio; e perciò caddero senza compianto. Ma l’Ordine degli Avvocati ha dalla sua propria natura, e sotto qualunque forma di governo, una missione antica quanto il primo patrono che sorse ad
15 Emblematico – soprattutto per la notorietà del collega coinvolto- è stato il caso, da poco risoltosi, dell’avv. Cesare Previti che, condannato per corruzione in atti giudiziari, continuava ad esercitare la professione in virtù della norma che attribuisce automatico effetto sospensivo della sanzione alla mera presentazione del ricorso al Consiglio Nazionale Forense: di questa vicenda e dei suoi riflessi più generali ha trattato A. MARIANI MARINI, nello scritto Più società, meno corporazione, in La Previdenza Forense, n. 2/2008, p. 125.
16 Ci si riferisce al progetto di legge “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense – A.C. 3900”, approvato in prima lettura dal Senato il 23 novembre 2010.
17 Cfr. I. CACCIAVILLANI, Al centro il cittadino-utente, in Etica delle professioni, n. 2/2006, p. 108; l’attenzione al cittadino-utente, spesso simpaticamente battezzato dall’Autore con l’espressione (che in italiano tradurremmo) “Antonio, lo sciocco”, è il motore inesausto di larga parte delle sue riflessioni e intuizioni.
impedire che col pretesto del diritto si violasse il diritto. Missione sociale che consiste nel frenare gli abusi del potere esecutivo e servire di appoggio al potere giudiciario nella eterna lotta che si è agitata fra queste due forze vivificatrici della società civile”18.
Sono pensieri che fanno da sponda all’affermazione - tanto cara all’avv. Cacciavillani -19 del valore costituzionale del ruolo dell’avvocatura in quanto coessenziale alla tutela del diritto di difesa. In assenza di un avvocato, manca in definitiva l’attuazione dell’ordinamento, non si realizza né attuazione spontanea, né attuazione coattiva.
“Il popolo intelligente sa che gli Avvocati sono una milizia; sono i tribuni degli oppressi contro gli oppressori; sono l’avanguardia del potere giudiciario: quindi il bisogno che essi abbiano potenza valevole a resistere alla perpetua tendenza invasiva del potere esecutivo. Quindi necessità che siano costituiti in corpo; necessità che questo corpo sia indipendente dagli organi del Governo. Un Avvocato che voglia pigliare a petto la opposizione ad un sopruso di un organo del potere ha bisogno di alleati che sieno solidali con lui”20. Senza assecondare una retorica che va contestualizzata nella temperie ottocentesca, sarebbe però uno spreco dichiarare l’inattualità di queste parole per il semplice fatto che esse non possono diventare la chiave per aprire tutte le porte del presente.
6 - L’indipendenza dell’avvocato rimane la placenta in cui si forma ogni altro valore.
Siamo a Padova al cui Foro appartengono noti colleghi parlamentari ma in Parlamento siedono 134 avvocati. Il compianto Vittorio Grevi ricordava che Enrico De Nicola e Giuliano Vassalli, divenuti deputati, chiusero il loro studio professionale21.
Ad inizio anno l’Ordine di Torino ha posto ufficialmente il problema all’attenzione degli iscritti, interrogandosi se l’impegno parlamentare sia in linea con la dignità dell’avvocato che è – e deve essere – al di sopra di ogni sospetto, apparendo autonomo e indipendente e non a rischio di conflitto di interessi. Un autorevole esponente di quell’Ordine, Franzo Grande Stevens, sostiene la necessità di una norma che disponga l’incompatibilità
18 Cfr. F. CARRARA, Il passato, il presente, e l’avvenire degli avvocati in Italia, Milano, 1998, p. 29 e ss.
19 In particolare, si veda I. CACCIAVILLANI, La giustizia disciplinare forense, Roma, 2000.
20Cfr. F. CARRARA, op. ult. cit.
21 Cfr. l’intervento “Se l’avvocato è anche parlamentare” pubblicato sul Corriere della Sera del 26 maggio 2010. Ma l’implacabile accusatore delle “caste italiane”, Sergio Rizzo, rammentava anche il caso di Vittorio Emanuele Orlando che, ritornando a fare l’avvocato dopo essere stato Guardasigilli, avvertì per lettera tutti i clienti che non avrebbe mai più patrocinato cause in contrasto con gli interessi dello Stato: cfr. l’articolo “Il parlamento degli avvocati in conflitto di interesse” pubblicato sul Corriere della Sera del 14 maggio 2011.
temporanea con il mandato parlamentare, giovando “all’indipendenza e alla dignità dell’Avvocatura e, quindi, alla Giustizia”22.
Mentre, infatti, l’attività del magistrato è sospesa per legge non c’è simile disposizione per gli avvocati. Ma negli altri paesi il quadro è ben diverso.
In Francia l’avvocato parlamentare non può difendere in controversie penali o civili nelle quali sia interessato lo Stato. In Spagna la legge forense prevede l’incompatibilità tra l’esercizio della professione e qualsiasi funzione o incarico pubblico. Negli Stati Uniti, gli avvocati che siedono in Parlamento non possono assistere clienti in vertenze di qualsiasi natura in cui sia parte lo Stato.
D’altro canto, è a dir poco evidente che agli occhi della gente un avvocato può non apparire autonomo se concorre a formare –o, persino, promuove- testi legislativi che favoriscono un suo cliente, specie se in un processo che segue come legale.
7 – L’avvocato oggi sembra percepito tendenzialmente come una persona furba “capace di arrampicarsi sugli specchi (a prescindere dal fatto che quella scalata porti ad un risultato), di approfittare dei limiti dell’Ordinamento e degli interlocutori del sistema giustizia; avvocato come entità cui rivolgersi – quale “tassa” necessaria – per il perseguimento di un interesse”23.
Il Codice deontologico degli avvocati europei già nel 1988 aveva invece affermato la responsabilità della professione forense verso la società quale mezzo essenziale per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo “nei confronti dello Stato e degli altri poteri”.
Certo è che il quadro di riferimento in cui si opera sta profondamente riformandosi in peius.
Se, come ci ricorda spesso l’avv. Cacciavillani, ogni grande mutamento o innovazione giurisprudenziale ha sempre alle spalle un grande avvocato, va pur detto – perlomeno in relazione al processo amministrativo- che l’aria è cambiata. Non può essere irrilevante che l’art. 26 c.p.a. colleghi la condanna alle spese alle iniziative di contrasto di orientamenti consolidati e che l’art. 246 bis del codice dei contratti connetta a tale eventualità un effetto moltiplicativo del folle ammontare del contributo unificato. Tanto più che questo si situa in una evoluzione gerarchico-verticistica della giurisprudenza amministrativa, ora che l’art. 99, terzo comma, del c.p.a. assegna all’Adunanza Plenaria una funzione di piena vincolatività nomofilattica obbligando la Sezione che voglia discostarsi dall’orientamento dell’Adunanza a risollevare la questione innanzi alla stessa.
La responsabilità sociale dell’avvocato può indicare la via d’uscita dal forte disagio che il mondo forense sta vivendo nella società. Va sradicata una visione privatistica e atomizzata della professione, alimento primo delle
22 F. GRANDO STEVENS, Quando gli avvocati fanno i parlamentari, in La Stampa del 13 maggio 2011.
23 Cfr. D. CERRI, Intervista a Umberto Ambrosoli, in Diritto e formazione, n. 6/2010, p. 985.
proteste a tutela degli interessi di categoria, spesso estranei agli interessi della collettività.
Si avvicina un inesorabile declino se ci poniamo solo come prestatori di servizio a pagamento, per quanto tecnicamente qualificati, come una sorta di meri mercificatori di servizi professionali.
Occorre recuperare una prospettiva fiduciaria, in cui la fiducia la si intenda come fedeltà, “fedeltà, da parte in primis del professionista forense al suo ruolo; successivamente nei confronti delle esigenze della collettività a cui appartiene”24.
Per questo, arrischiando una conclusione, sovvengono in aiuto le considerazioni con cui Remo Danovi ha chiuso la sua recensione di “Testamento d’Avvocato” sul primo numero di quest’anno de La Previdenza Forense: “questa opera di Ivone, certamente non l’ultima, è un gesto di amicizia per ogni avvocato e per l’intera Avvocatura ed è al contempo la riaffermazione della fede nel primato del diritto e della giustizia. Dovremmo contraccambiare questo dono ricevuto con un impegno etico più intenso e con piccoli gesti quotidiani, per migliorare la condizione della professione e al contempo la situazione del nostro Paese.”25.
Enrico Gaz
* Lo scritto costituisce la traccia dell’intervento svolto il 17 dicembre 2011 in Padova nel seminario deontologico di chiusura dell’anno formativo dell’Associazione
24 Cfr. M. PALLESCHI TERZOLI, Cultura moderna e professione forense, in Diritto e formazione, n. 1/2010, p. 162.
25 Cfr. R. DANOVI, Testamento d’avvocato di Ivone Cacciavillani, in La Previdenza Forense, n. 1/2011, p. 23.

Ultimo aggiornamento ( sabato 10 marzo 2012 )
 
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