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Requisiti acustici passivi degli edifici: nessuna tutela in attesa di maggior tutela? PDF Stampa E-mail
venerdì 17 febbraio 2012

Alessandro Pietrogrande.

Scopo del presente contributo è esaminare l’attuale disciplina, rectius mancanza di fatto di disciplina, dei requisiti acustici passivi negli edifici, così come novellata - e il termine non è casuale - dall’articolo 15 della Legge 96/2010, supposta norma di interpretazione autentica, in realtà più prossima alla categoria del mostro giuridico per i motivi che a breve si cercherà d’illustrare.

Relativamente all’ambito dei rapporti privatistici, infatti, si è verificata una comprensibile difficoltà da parte di non pochi Giudici nell’individuare i parametri tecnico-normativi per mezzo dei quali accordare tutela a situazioni che un recente orientamento giurisprudenziale aveva ritenuto - e in parte ritiene tuttora - prive, di fatto, di protezione giurisdizionale. Ci si riferisce in particolare a quelle fattispecie relative a vizi di cattivo isolamento acustico degli edifici, per i quali i proprietari chiedono generalmente, ai fini riparatori e/o risarcitori, di accertare la responsabilità civile in capo a costruttori/appaltatori/progettisti/direttori lavori.

Tale carenza sarebbe stata determinata da un intervento legislativo del giugno 2010, che qui si assume marcatamente incostituzionale, che ha creato un “vuoto applicativo” della vigente normativa di riferimento disponendo la mera disapplicazione retroattiva, “nei rapporti tra privati”, della normativa tecnica della materia che resta comunque in vigore. Ha costituito una delle prime felici eccezioni un’ordinanza emessa dal Tribunale di Vicenza nel febbraio 2011, con la quale si è ammessa Consulenza Tecnica Preventiva ex articolo 696 bis C.p.c. con applicazione dei criteri delle disposizioni normative di cui il Legislatore avrebbe, invece, espressamente sancito la disapplicazione; disposizioni a cui viene, in sostanza, ancora attribuita valenza a titolo di criteri tecnici di opportuno riferimento. La individuazione di questi criteri si pone come necessaria a fini di tutela del diritto alla salute, costituzionalmente garantito e protetto (art. 32 Cost.), di cui l’inquinamento acustico costituisce, per unanime dottrina e giurisprudenza, grave violazione.

* * * *

Pilastro della normativa italiana in materia d’inquinamento acustico è la legge n° 447 del 26 ottobre 1995 (“Legge quadro sull’inquinamento acustico”) che ha stabilito i principi fondamentali in tema di tutela dell’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo dal rumore individuando, al riguardo, le competenze di Stato, Regioni, Province, nonché le funzioni e i compiti dei Comuni. Da essa promana il D.P.C.M. 5/12/1997, entrato in vigore nel febbraio 1998, che pone i requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti.

Nell’ottica di una sempre maggior sensibilità nei confronti della problematica dell’inquinamento acustico, lo stesso Legislatore europeo ha emanato la Direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e gestione del rumore ambientale. Questa Direttiva è stata meramente trasposta nel nostro Ordinamento con il D.lgs. 194/2005 che prevedeva l’emanazione di successiva normativa d’attuazione, a oggi però non ancora intervenuta, mediante la quale conferire effettività agli obiettivi posti dalla disposizione comunitaria.

Penultimo intervento legislativo nazionale in materia è la Legge comunitaria 2008 (L. 7 luglio 2009, n° 88) che, in palese contrasto con gli obiettivi dichiarati di tutela dell’ambiente esterno e abitativo dall’inquinamento acustico, prevede, al quinto comma dell’articolo 11, che “in attesa del riordino della materia, la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”. In sostanza questa norma, nel presupposto di un necessario riordino della materia rispondente a obblighi comunitari e di certo più garantista per il privato acquirente, sottrae a quest’ultimo, per intanto, ogni prossima tutela disponendo, per il futuro, la disapplicazione nei rapporti privatistici dei parametri di riferimento individuati nel DPCM del ’97 che, lo si ricorda ancora, dalla legge-quadro promana.

Ma v’è di più e di peggio. Alla disparità e ingiustizia manifeste conseguenti alla suddetta eliminazione di fatto di tutela futura dei soggetti lesi in un diritto fondamentale come quello - lo si è già anticipato e lo si vedrà meglio in seguito - alla salute (art. 32 Cost.), si aggiunge un vero e proprio “monstrum” giuridico; un “monstrum” già insito, oltre tutto, nella limitazione della disapplicazione alle sole fattispecie privatistiche (con la conseguenza che le Amministrazioni dovranno comunque pretendere il rispetto della normativa dei requisiti passivi degli edifici sia in sede di progettazione e autorizzazione che in sede di controllo e rilascio dei permessi e delle verifiche di agibilità senza che il cittadino, invece, ne possa lamentare la violazione nei confronti dei soggetti privati responsabili ai sensi, in particolare, dell’articolo 1669 C.c.: gravi difetti degli edifici).

E invero, con la successiva Legge comunitaria del 2009 (L. 12 maggio 2010, n° 96), in effettivo spregio a quanto voluto dal Legislatore UE con la citata direttiva del 2002 e alla corretta e reale volontà espressa nelle richiamate norme nazionali, la tutela accordata dalla legge-quadro del ’95 viene ulteriormente - e inaccettabilmente - stravolta dall’articolo 15, lettera c) (“Modifiche all’articolo 11 della legge 7 luglio 2009, n° 88 in materia di inquinamento acustico”), il quale infatti dispone: “In attesa dell’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, l’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, SI INTERPRETA nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, fermi restando gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d’arte asseverata da un tecnico abilitato“.

Appare evidente come, con l’abnorme dichiarazione del carattere interpretativo di tale norma, in realtà vera e propria “novella” dell’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge-quadro del 1995, si sia ottenuto l’altrettanto abnorme effetto di attribuire efficacia retroattiva alla originaria disposizione disapplicativa contenuta nell’articolo 11 della Legge comunitaria del 2008; norma che originariamente disponeva solo per i rapporti futuri. E, infatti, il nuovo comma quinto dell’articolo 11 della L. 88/2009, dichiarandosi interpretativo dell’articolo 3 della legge-quadro del ’95 - che attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri la competenza a determinare con decreti i requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti -, ne restringe notevolmente (con effetto retroattivo e quindi ab origine) l’ambito oggettivo di applicazione escludendone e travolgendo la sua l’applicabilità nei rapporti tra privati; e, quindi, l’applicabilità del D.P.C.M. del ’97 che proprio da quella attribuzione di potere promana la propria legittimazione precettiva come fonte di diritto.

* * * *

L’incostituzionalità dell’intervento legislativo da ultimo riportato appare, quindi, evidente sia sotto un profilo “sostanziale”che sotto un profilo “formale”.

Da un punto di vista sostanziale e logico-sistematico, non è dato comprendere, infatti, come possa ritenersi conforme ai dettami delle nostra Carta una norma che, con la mera dichiarazione di essere “norma interpretativa”, si sostanzia in realtà in una novella con effetti retroattivi che viola ogni più elementare principio di civiltà, privando retroattivamente il cittadino leso di diritti risarcitori conseguenti dalla violazione di diritti, si badi bene, costituzionalmente protetti, primo fra tutti il diritto alla salute. E questo, peraltro, in nome della necessità di un riordino della materia (Legge 447/1995 e, per l’appunto, il D.P.C.M. 5.12.1997) imposto da obblighi comunitari (Dir. 2002/49/CE, con delega di sei mesi al Governo previsto dalla Legge 88/2009 e proroga successiva di ulteriori sei mesi disposta dalla Legge 96/2010, comunque non rispettata) che vedrà una rideterminazione dei limiti acustici senz’altro più garantista per il cittadino-acquirente, nonché la classificazione degli edifici di nuova costruzione in distinte “classi di merito”, da certificare in sede di compravendita (v. norma UNI 11367 pubblicata il 22 luglio 2010).

Sotto un profilo formale della tecnica giuridica applicata (cd. norma interpretativa), la norma di cui all’articolo 15 della legge 96/2010 sconta perplessità non minori. Le norme interpretative sono norme giuridiche dotate di una particolare peculiarità in quanto hanno la funzione di attribuire un determinato significato alle disposizioni di una legge precedente. Il presupposto fondamentale di una norma interpretativa è rappresentato dall’esistenza di una disposizione suscettibile di più interpretazioni. In questo caso, la norma “interpretativa” interviene autoqualificandosi come norma di interpretazione autentica e precisando, quindi, quale debba essere la giusta interpretazione da seguire nell’applicazione della disposizione. Nel caso in esame, però, non è dato comprendere quale altro significato o, in ogni caso, dubbio interpretativo potesse essere ravvisabile nella norma di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e) della legge-quadro del 1995, sulla cui applicabilità anche ai rapporti privatistici non può davvero dirsi esistente, né mai esistita, alcuna incertezza esegetica, come peraltro indirettamente confermato dallo stesso articolo 11 L.88/2009, che di quella stessa indubbia efficacia privatistica ne aveva disposto, per l’appunto, l’espressa sospensione. Per questo di novella sarebbe più corretto parlare più che di norma interpretativa, con la conseguenza che essa potrebbe disporre solo per il futuro; lettura peraltro suggerita anche dai principi contenuti in diverse pronunce del Consiglio di Stato (Sez. IV, 21.12.2009, n° 8513; Sez. V, 02.07.2002, n° 3612) e della Consulta (Corte Cost. 4 aprile 1990 n° 155 e 26 giugno 2007 n° 234), che ben definiscono i limiti costituzionali di una norma interpretativa a efficacia retroattiva, primo fra tutti il principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico. A non tacer del fatto poi, che una simile norma violerebbe l’articolo 3 della Costituzione, comportando un’ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che già hanno conseguito una forma di risarcimento a fronte dell’acquisto di un immobile acusticamente viziato e coloro che, pur nella stessa situazione (magari in altra unità dello stesso edificio), si trovano a oggi sprovvisti di alcuna tutela.

Altro aspetto degno di nota è la temporaneità della disapplicazione del D.P.C.M. che, lo si ricorda, doveva nel dettato normativo perdurare fino all’entrata in vigore dei decreti legislativi che il Governo, su delega del Parlamento, avrebbe in seguito emanato. Tale delega è tuttavia scaduta il 29.07.2010 ed è successivamente scaduta, come già riportato sopra, anche l’ulteriore proroga disposta medio tempore (L. 96/2010). Pertanto, eventuali futuri decreti legislativi, quand’anche venissero emanati, risulterebbero inevitabilmente viziati da eccesso di delega rispetto al limite temporale (art. 76 Cost.) e, di conseguenza, inefficaci. Essendo però irragionevole che una norma prevista per un arco temporale determinato comporti una sospensione sine die, se ne dovrebbe desumere la sopravvenuta inefficacia dei comma primo e quinto (come oggi modificato) della L. 88/2009; e, quindi, la rinnovata applicabilità della “disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447 (cfr. art. 11 L. 88/09) anche nei rapporti tra privati.

In ogni caso, quand’anche non più applicabile il disposto del D.P.C.M del 1997 quale norma precettiva la cui violazione comportava illecito e quindi “automatico” diritto di risarcimento, il diritto alla tutela dell’individuo dall’inquinamento acustico è, come sopra già sottolineato, agevolmente riconducibile (e ricondotto dalla unanime dottrina e giurisprudenza, anche comunitaria) al più generale diritto alla salute - alla casa e alla riservatezza - espressamente protetto dalla nostra Costituzione quale valore irrinunciabile di ogni persona e della collettività stessa (art. 32 Cost.). E’ d’altronde pacifico che la vita all’interno di un appartamento non isolato acusticamente in modo adeguato o comunque secondo le regole della buona tecnica costruttiva sia, in molti casi, alquanto penosa; questi edifici, quindi, ben possono essere ritenuti difettosi e, persino, gravemente difettosi. La necessità di parametri oggettivi di riferimento per mezzo dei quali valutare tali vizi ben è soddisfatta, oltre che dalle norme UNI e ISO più prettamente tecniche, proprio dal D.P.C.M. del ’97, che detta limiti e requisiti ai quali deve essere riconosciuta la funzione di valori di riferimento per la valutazione delle situazioni di intollerabile disagio acustico, ricognitivi in un certo senso dell’acquisito “stato dell’arte tecnico medio”, cui parametrarsi a prescindere dall’eventuale immediata efficacia precettiva del D.P.C.M. stesso. Quanto appena affermato è ancor più evidente laddove si consideri che il D.P.C.M. del 1997, come già rilevato, rimane ancora oggi pienamente efficace nei rapporti pubblicistici e, pertanto, per i Comuni che a esso devono - o comunque dovrebbero - fare riferimento nei loro strumenti urbanistici, tra cui il certificato di agibilità, e che pertanto devono riconoscere ai parametri da esso individuati valori minimi di salubrità e vivibilità degli edifici (vale la pena a tal riguardo ricordare che i valori medi europei di comfort acustico sono comunque ben superiori a quelli già recepiti dal D.P.C.M. del 1997). Il giudice è perfettamente libero di assumere i dati tecnici di quei due D.P.C.M., estrapolandoli dalle fonti regolamentari in cui sono contenuti. Con l’effetto per cui i due D.P.C.M. citati, non come tali ma quanto al loro contenuto, saranno comunque applicati quali termini di riferimento per ordine del giudice, in quanto integrano il principio di diligenza nell’adempimento prescritto dall’art. 1176 co. 2 c.c. Infatti, poiché quei D.P.C.M. debbono essere applicati comunque, sul solo versante pubblico, consegue che il loro rispetto integra la diligenza nell’adempimento propria del professionista” ( A. CONVERSO, Le innovazioni subite dall’art. 844 c.c. Molto rumore per nulla, in Atti Lombardia 2010 Convegno Emissioni sonore da impianti di produzione, energia, interazioni con il territorio). Il mancato rispetto di questi parametri, pertanto, potrà sempre costituire criterio di giudizio per l’accertamento della colpa di Costruttore/Appaltatore e, altresì, del Progettista e del Direttore ai lavori in relazione all’obbligazione assunta nei confronti del Committente/Appaltatore da valutarsi in ragione dei rispettivi doveri di diligenza professionale.

Peraltro, dalla persistente applicabilità del D.P.C.M. del 1997 ai rapporti pubblicistici a cui si già più volte accennato ne deriverebbe la possibilità di agire con azione di responsabilità per danno nei confronti delle amministrazioni comunali per non avere verificato, sia in sede di progettazione (rilascio del permesso di costruire) che in sede di verifica dell’eseguito (rilascio dell’autorizzazione di agibilità), il rispetto del D.P.C.M. del 1997. Questa azione, però, potrebbe rivelarsi a doppio taglio in quanto ritengo che ben potrebbe la P.A., anche per evitare l’ulteriore protrarsi della propria responsabilità, procedere alla revoca dell’agibilità per non sussisterne i requisiti igienico-sanitari, atteso che, come ampiamente argomentato sopra, l’inquinamento acustico si pone in violazione del diritto alla salute, il cui compito di garanzia negli edifici spetta, per l’appunto, all’amministrazione comunale. Tutto ciò, in teoria, non dovrebbe avvenire se si considerassero le norme del D.P.C.M. meramente delle regole della “buona arte” (ma si è visto che così non è) e, non ultimo, considerando maggiore il danno di privare il cittadino dell’agibilità della proprie abitazione.

* * * *

A partire dai primi mesi del 2011, la giurisprudenza di merito si sta sempre più concordemente orientando verso il riconoscimento di una sostanziale applicabilità del D.P.C.M 5.12.1997 anche nei rapporti tra privati richiamandosi proprio alle argomentazioni sopra esposte; e, quindi, alla irrinunciabilità di tutela del diritto alla salute con riferimento a parametri tecnici minimi individuati nel contenuto del D.P.C.M. 5.12.1997 quali “stato dell’arte tecnico medio” (tra le più significative, v. Trib. Novara, 19.01.2011; Trib. Imola, 15.04.2011).

E’ evidente, pertanto, come l’intervento dei giudici si stia rivelando fondamentale nel riempire i preoccupanti vuoti e contraddizioni creati dal legislatore. A loro, come sempre, il compito di recuperare un po’ di “senso del diritto”, intesa quale capacità di individuare, nel concreto della quotidianità delle occupazioni umane, soluzioni giuridiche rispettose dei valori fondamentali della nostra Carta, troppo spesso relegati al ruolo di mere clausole di stile. Senso del diritto che dovrebbe essere l’indispensabile bussola, in primis, di ogni produzione normativa e decisione “di legge”: troppo spesso perduto ma, almeno in questa vicenda, in fase di ritrovamento.

Ultimo aggiornamento ( sabato 10 marzo 2012 )
 
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