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La liquidazione delle parcelle degli avvocati dopo il Decreto Monti: normativa incostituzionale? PDF Stampa E-mail
venerdì 24 febbraio 2012

di Giovanni Attilio De Martin.

Con Ordinanza del 1 febbraio 2012, il Tribunale Ordinario di Cosenza ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’Art. 9, comma 1° e 2°, del D.l. 24 gennaio 2012, n.1, recante “disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” in relazione agli Artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. La disposizione censurata prevede, al primo comma, l’abrogazione delle “tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico”, nel mentre al secondo comma la determinazione del compenso del professionista, con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministero vigilante in materia, nel caso di liquidazione da parte di un Organo giurisdizionale. La rilevanza della questione, così sollevata, attiene a profili che si intendono nel prosieguo succintamente enucleare secondo un preciso ordine logico. In primis, va evidenziato che le disposizioni in esame trovano applicazione anche ai giudizi in corso, in ossequio al principio di ordine generale del “tempus regit actum”, attesa la natura prettamente processualistica delle norme de quibus, in quanto vincolanti gli stessi Organi giurisdizionali nell’attività conclusiva di liquidazione degli onorari professionali. Sul punto, si sottolinea che la ratio del corpus normativo del cc.dd. Decreto Monti sulle liberalizzazioni, rinviene il proprio fulcro nell’obiettivo di dare abbrivio allo sviluppo economico del Paese nonché al corretto funzionamento dei mercati, seguendo l’orientamento che vede nell’attuale lentezza dei procedimenti giurisdizionali un oggettivo ostacolo allo sviluppo. Una delle prime problematiche che si riscontrano in riferimento alla scelta normativa posta in essere, è quella afferente la totale mancanza di qualsivoglia disciplina transitoria che regoli il passaggio dal precedente sistema al nuovo, attesa, per un verso, l’abrogazione espressa delle tariffe previgenti nonché l’assenza di necessari parametri all’uopo stabiliti dal Ministro vigilante. Tra l’altro, al fine di colmare il vuoto normativo così evidenziato, non si dimostra neppure invocabile il criterio dell’analogia, né tanto meno appare possibile il ricorso all’equità del Giudice, intesa come giustizia del fatto concreto. Tale assunto si fonda sulla circostanza che, da un lato, non è ravvisabile una vera a propria lacuna dell’Ordinamento Giuridico, che consenta l’impiego dello strumento analogico, in quanto la novità legislativa delineata è frutto di una precisa voluntas legis abrogatrice, non legittimandosi, pertanto, un eventuale ricorso da parte del Giudicante a parametri diversi rispetto a quelli espressamente previsti dal Legislatore e ciò per non correre il rischio di vanificare la volontà di quest’ultimo. Ma non solo. A tal riguardo, si fa presente che non è possibile nemmeno ricorrere ad un giudizio di tipo equitativo del Giudice investito della causa, considerata l’inidoneità dello strumento ad identificare autonomamente criteri d’individuazione generali ed astratti. Fermo quanto sopra, e rilevata l’impossibilità di porre rimedio all’attuale “vuoto” legislativo attraverso un’interpretazione conforme a Costituzione, si significa come la disciplina dettata dall’Art. 9 comma 1 e 2 del D. l. n.1/2012, parrebbe porsi in contrasto, per un verso con il disposto dell’Art. 24 della Carta Fondamentale, in quanto suscettibile di ledere il diritto di difesa a causa dell’incertezza, così creatosi, in merito alle spese da sostenere in relazione al procedimento, nonché, per altro, con l’Art. 3 della Costituzione, nell’attribuire un potere molto ampio, discrezionale ed assoluto al Giudice nel determinare la liquidazione degli onorari di difesa. Qualora, poi, si facoltizzasse l’Organo giudicante a sospendere il giudizio sino alla data di emanazione del provvedimento ministeriale, si creerebbe un effetto contrario alla esposta ratio del Decreto in esame, in aperta e stridente violazione anche col principio della ragionevole durata del processo di cui all’Art. 111 della Costituzione. In sintesi, il disposto normativo de quo presta il fianco a due fondamentali aspetti critici: a) l’insorgere di una situazione di grave incertezza nell’Ordinamento giuridico, nonché nel rapporto tra Professionisti ed Assistiti; b) l’emersione di un preoccupante vuoto normativo nell’attesa della non ancora predisposta regolamentazione ministeriale. La parola ora passa alla Corte Costituzionale, a meno che, in sede di conversione del Decreto Legge, il Legislatore non apporti significative e sostanziali modifiche alla disciplina normativa censurata.

Si sottolinea che il presente modesto contributo, oltre a riflettere fedelmente quanto esposto nell’Ordinanza di remissione, esprime sia pure in estrema sintesi, come sempre, le opinioni, meditate ma del tutto personali, di colui che lo ha redatto.

Padova, lì 21.02.2012

Giovanni Attilio De Martin

Ultimo aggiornamento ( sabato 10 marzo 2012 )
 
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