di FRANCESCO VOLPE Questa è una storia che, per certi versi, mi tocca da vicino e, quindi, quello che scrivopotrà sembrare non del tutto imparziale (ma, forse, direte che questa non è una novità). Un tempo, per individuare la nozione di servizio pubblico si seguiva un criterio formale. Era
tale l'attività, consistente nell'offerta di beni o servizi sul mercato, che fosse riservata in regime dimonopolio legale all'amministrazione. Era, dunque, la legge a stabilire volta per volta quali attività dovessero essere considerate
servizi pubblici; un po' come era stato stabilito per i beni pubblici. Il testo unico deiservizi comunali del 1925 costituiva il paradigma di questa idea. Riservata alla privativa pubblica una determinata attività, la legge stabiliva poi se e quando
l'amministrazione potesse cedere il suo diritto esclusivo all'imprenditore privato, affinché questi svolgessel'attività in sua vece e dietro il pagamento di un canone. E purché, naturalmente, il privatoravvisasse in ciò un profitto. Da lungo tempo, come si sa, la nozione formale di servizio pubblico è caduta in desuetudine,
alla stessa essendo stata affiancata - vi è chi dice: sostituita - una nozione sostanziale. Èpubblico il servizio che corrisponde ad una attività di interesse pubblico. Non che questa diversa nozione manchi di fondamenta di diritto positivo: i primi sostenitori
della tesi le ravvisarono, per implicito, addirittura nell'art. 43 Cost. Certo gli è, tuttavia,che la nozione sostanziale di servizio pubblico è assai più incerta, perché è incerto che cosasia, in senso sostanziale, l'interesse pubblico. L'assistenza sanitaria e ospedaliera, in particolare, è un servizio pubblico?
Se seguiamo la teoria formale dovremmo dire di no, perché detta attività non è riservata dalla
legge in modo esclusivo alle amministrazioni. Di fatto, tuttavia, l'incidenza del Servizio Sanitario Nazionale su questo settore del mercato
è tale da rendere sostanzialmente monopoliste, nell'offerta al pubblico, le Aziende sanitarie; la giurisprudenza, ineffetti, non esita a parlare, anche in tal caso, di servizio pubblico, con tutte le ovviericadute in termini di riparto della giurisdizione. Ma come si è giunti a queste conclusioni e quali sono le aspettative dei soggetti imprenditori
privati a partecipare all'offerta sul mercato dei servizi sanitari? Il momento che ha determinato il passaggio è stato, come è facile immaginare, la riforma del
1978. Prima di allora l'assistenza ospedaliera, in ispecie, era erogata dagli enti ospedalieri (enti
pubblici) e dalle strutture private, le quali erano titolari di rapporti commerciali con leCasse mutue. Queste stesse, a loro volta, altro non erano che imprese assicuratrici, sebbene sitrattasse, per i lavoratori, di una sorta di assicurazione obbligatoria. La riforma del 1978 ha soppresso l'obbligo di assicurazione sanitaria (id est: l'iscrizione
alla mutua) e le somme che i lavoratori dovevano accantonare a titolo di sostanziale premio peril rapporto assicurativo sono state fatte oggetto di fiscalizzazione, sì da alimentare ilneo-costituito Servizio Sanitario Nazionale. Insomma, quel che è avvenuto nel 1978 è equivalente a quello che potrebbe avvenire se una
ipotetica legge, un domani, stabilisse che è venuto meno, per chi intende circolare inautomobile, l'obbligo di assicurazione, stabilendosi per contrappunto che i possessori deiveicoli sono tenuti a versare un'ulteriore aliquota del loro gettito fiscale a favore di unente pubblico che si occuperà, nel caso, di risarcire i danni derivanti dai sinistri stradali. Nel 1978, dunque, non è stata operata una espropriazione formale dell'attività di assistenza
sanitaria e ospedaliera. Questo sarebbe stato pur possibile (così già era stato operato,nel 1962, per quanto riguardava la produzione dell'energia elettrica), perché proprio l'art. 43Cost. lo permetteva. Ma, in tal caso, l'ente espropriante avrebbe dovuto sopportare ingentioneri indennitari (che infatti vennero sostenuti in occasione del dies natalis dell'ENEL). L'espropriazione nel settore sanitario fu, invece, di carattere economico e
privatistico. Fiscalizzati gli oneri dei cittadini per la spesa sanitaria, vennero di fattoprivate del loro mercato sia le Casse mutue, sia le strutture ospedaliere private. Ben pochi,tra coloro che necessitano di cure mediche, accettano oggi di approvvigionarsi, a proprieulteriori spese, delle prestazioni sanitarie offerte sul libero mercato, quando, di fatto, già esse vengono
"pagate" sotto forma di imposte. Le strutture ospedaliere private, se vollero continuare ad operare, dovettero dunque risolversi
a vendere i loro servizi all'unico soggetto che rimaneva e che, a quel punto, era in grado diacquistarle: vale a dire allo stesso Servizio Nazionale Sanitario, il quale si trovò così adoperare, nei riguardi delle strutture ospedaliere private, come sostanziale monopsonista. Ilmonopsonio è la figura speculare al monopolio: se nel secondo caso vi è un unico venditore, nelprimo vi è un unico compratore. L'imprenditore che ha un unico cliente, tuttavia, soggiace alle decisioni di quest'ultimo,
esattamente come, nel caso di monopolio, avviene per il pubblico degli acquirenti quando undeterminato bene sia offerto da un unico venditore. Perciò, i rapporti degli imprenditori sanitari privati con il Servizio Sanitario (un tempo
regolate da convenzioni: giustamente non da concessioni, non essendovi privativa legalenell'amministrazione; oggi da atti di accreditamento, vale a dire forme elaborate diprovvedimenti di ammissione) ebbero fin dall'inizio natura sbilanciata. Il Servizio Sanitarioera disposto ad acquistare dal privato solo ciò che a lui era gradito. Di contro,l'imprenditore privato, non potendo fornire i propri servizi ad altri che non fosse il ServizioSanitario, era costretto ad accettare quello che, con determinazione di fatto unilaterale, ilServizio Sanitario era disposto ad acquistare. In tesi, anche zero. Trascurerò di soffermarmi su altri aspetti, infine di dettaglio. È tuttavia evidente che una
tale situazione di mercato era in grado di generare, oltre che squilibri, anche conseguenze nonsempre felici. La concentrazione delle decisioni di mercato su un unico soggetto pubblico, daun lato, esponeva al rischio di fatali personalizzazioni delle medesime decisioni, in cui ilconfine tra il lecito e l'illecito poteva essere facilmente superato. Inoltre, ilsoggetto pubblico (che è anche monopolista nell'offerta al pubblico del servizio e tale da ricavare i propri profittinon dal corrispettivo per la propria attività, ma dal gettito fiscale) poteva essere spinto anon controllare l'effettiva adeguatezza dei propri costi di gestione. Questi deprecabili fenomeni, verosimilmente, siattenueranno nel futuro, via via che aumenteranno le contribuzioni ultrafiscali (c.d. tickets) che vengonochieste a chi si rivolge al Servizio Sanitario Nazionale. Quando - e vi si è assai vicini,almeno per le prestazioni ambulatoriali - i tickets saranno più elevati del prezzo che l'imprenditore sanitario privato chiede per prestareal singolo la propria attività, il mercato tornerà a riequilibrarsi e si incrinerà il monopolio(nell'offerta al pubblico del servizio sanitario) e il monopsonio (nell'acquistodall'imprenditore sanitario privato) attualmente sussistente in capo alle Regioni e alle U.L.S. Fatto gli è, in ogni caso, che le imprese ospedaliere private, anche attualmente, dipendono
dalle decisioni degli enti pubblici, i quali fissano i tetti di spesa e stabiliscono se e qualiservizi sanitari acquistare all'esterno. Lo squilibrio nella contrattazione economica risulta tanto più accentuato se consideriamo gli
sviluppi della giurisprudenza. Queste brevi note traggono spunto, infatti, dalla decisione dell'Adunanza plenaria 12 aprile
2012, n. 3. Sebbene la legge (art. 39, d. lgs. n. 446/1997) stabilisca che i tetti di spesa
(vale a dire ciò che le Regioni e le U.L.S. decidono di acquistare dall'imprenditore sanitarioprivato) vadano fissati "preventivamente", il Consiglio di Stato ritiene che essi possano esseredeterminati anche con effetto retroattivo, sì da non riconoscere il pagamento delle prestazionigià svolte dall'imprenditore privato accreditato nel passato. A una tale conclusione porterebbe, secondo il giudice amministrativo, una lettura dell'intero
sistema. Poiché il budget finanziario delle Regioni è fissato dallo Stato e poiché lo Statopuò determinare questo budget in ritardo rispetto al momento in cui l'attività è stata svolta,ne segue che, a catena, anche le Regioni (e quindi le U.L.S.) possano rifarsi retroattivamentesul fornitore privato. Solo, nel fissare retroattivamente i tetti di spesa, debbono seguirsiparticolari cautele. Pertanto, la retroattività tanto più sarà vietata, quanto più ilprovvedimento pretenda di incidere indietro nel tempo. Inoltre, il Consiglio di Stato chiedeche siano svolte puntuali e concrete forme di partecipazione degli interessati. La decisioneultima, però, resta all'ente pubblico, il quale potrà "ragionevolmente" abbattere ex tunc i tettisemplicemente dichiarando che non ha più disponibilità finanziarie. Un tal modo di procedere, se applicato ad un sistema interamente privatizzato, equivale a
sostenere che il compratore può rifiutarsi di pagare il prezzo pieno della merce, di cui ha giàgoduto, solo perché non ha abbastanza quattrini in tasca. L'abbattimento retroattivo dei tettidi spesa equivale, sostanzialmente e sotto il profilo delle conseguenze economiche, ad una sorta diconcordato preventivo, senza però che il comitato dei creditori abbia diritto di rifiutare il proprio benestare. Perché la Regione, a differenza del debitore privato, agisce con autoritatività. Ex facto oritur ius, dice un antico brocardo pur di frequente applicazione anche oggidì. Non si
intende qui negarlo. Tuttavia, è lecito chiedersi se davvero la programmazione imprenditoriale privata possa essere
a tal punto compromessa. L'imprenditore accetta, per definizione, il rischio di impresa. Ma ilconcetto di rischio, nell'impresa, va circoscritto alle reazioni del mercato e alla propriacapacità di sostenere i costi di produzione. Non mi pare, invece, che contempli anche irisultati delle autoritative e retroattive determinazioni delle autorità pubbliche. Unostacolo, a tal riguardo, va ravvisato, a mio modo di vedere, nel primo comma dell'art. 41Cost., nonché nel principio di buona fede affermato nella legge generale sul procedimento. In ogni caso, alla luce anche di questa pronuncia del Consiglio di Stato, sembra davvero potersi concludere che il
settore economico dell'assistenza sanitaria e ospedaliera veda gli imprenditori privati in unasituazione di grave debolezza. Nel 1978, di fatto, essi sono stati espropriati della loro attivitàsenza ricevere alcun indennizzo (semplicemente perché si è proceduto attraverso un sistema diespropriazione sostanziale, anziché ricorrere ad una espropriazione formale e imperativa); sisono quindi trovati ad operare in regime di monopsonio sì da accettare le condizioni diacquisto dell'unico compratore; infine viene oggi permesso a quell'unico compratore di nonpagare la "merce" pur dopo averne goduto i frutti. Un celebre Autore, nel passato, affermò che non vi è Stato che non intervenga
nell'economia. Anche l'ideale Stato liberale, che si occupi solo della difesa dei confini e delmantenimento dell'ordine pubblico interno, interverrebbe ugualmente nell'economia propriodecidendo... di non intervenirvi (sì da favorire il libero mercato nella sua forma massima). Nella situazione descritta a riguardo del mercato dell'assistenza sanitaria e ospedaliera,
tuttavia, l'intervento pubblico dell'economia è senza dubbio assai incisivo ed è attuato oracon strumenti pubblicistici (la fiscalizzazione degli oneri sanitari), ora privatistici (laconseguente collocazione fuori mercato degli imprenditori privati), ora di nuovo pubblicistici(la determinazione autoritativa dei tetti di spesa), secondo che si voglia avvalersi deivantaggi che gli uni e gli altri strumenti offrono. In epoca di affermate liberalizzazioni vi è da chiedersi quanto tutto ciò sia davvero coerente.
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