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La normativa nazionale disciplinante le farmacie al vaglio della Corte di Giustizia della UE. PDF Stampa E-mail
sabato 21 aprile 2012

di Giovanni Attilio De Martin.

 Il T.A.R. per la Lombardia, in data 22 marzo 2012, ha sollevato con Ordinanza una questione pregiudiziale avanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’Art. 267 del TFUE, dopo aver riscontrato la presunta violazione di principi fondanti dell’Unione quali la libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, ai sensi dell’Art. 49 e ss. del TUFE, da parte della normativa italiana relativa alla regolamentazione e contingentamento del numero di esercizi commerciali sul territorio nazionale abilitati alla vendita dei farmaci di fascia C. Tale corpus normativo nazionale originariamente incorporava la ratio per cui le deroghe ai suddetti principi erano giustificate dal perseguimento dell’interesse generale affinché vi fosse una ripartizione, secondo le logiche tradizionali del diritto dell’economia, delle sedi farmaceutiche,  attraverso un dimensionamento coattivo espresso dalle piante organiche. Ciò al fine di rendere equamente distribuito il servizio sul territorio ed evitare che si creasse un eccesso nel numero delle farmacie presenti, magari a ridosso di agglomerati urbani, zone più appetibili economicamente, a detrimento di altre aree geografiche del paese meno “appetibili”, rendendo di fatto difficoltoso l’accesso al servizio sanitario-farmaceutico per il cittadino che abita appunto in quelle zone sguarnite. La condizione descritta, perciò, era ed è attualmente giustificata proprio per sortire l’effetto di canalizzare l’insediamento farmaceutico verso parti del territorio nazionale, nelle quali l’accesso al servizio è lacunoso. La precitata funzione originaria della normativa nazionale ritenuta controversa, e sottoposta ora al vaglio della Corte di Giustizia, mantiene tutt’ora questa sua natura di salvaguardia di interessi pubblici strettamente collegati con il controllo della salute dei cittadini e di ordine economico, come la pianificazione della spesa per il SSN. Solo che le disposizioni in oggetto, atte a garantire l’obiettivo appena descritto, sembrano andare ben oltre al necessario raggiungimento dello stesso, creando, ad avviso del Giudice Amministrativo remittente, una sacca economica protetta dai rischi della libera concorrenza, ed incidente sulla libertà d’iniziativa economica, generando, in tal caso, rendite monopolistiche sui farmaci con profitti sproporzionati. In pratica, discriminazioni ingiustificate dal fine perseguito. Ne risulterebbe una realtà economica sfalsata, idonea a ledere i principi tutelati dall’Unione, e che di fatto, impedisce al farmacista abilitato e regolarmente iscritto all’albo, e pur tuttavia non titolare di un esercizio in pianta organica, di poter vendere al dettaglio i farmaci soggetti a prescrizione medica con “ricette bianche”, ovvero non a carico del SSN, ma completamente gravanti sul cittadino-acquirente. L’effetto sarebbe, dunque, nella ricostruzione ermeneutica operata dal T.A.R. lombardo, quello di creare l’imposizione di un divieto di vendita ristretto a determinate categorie di prodotti farmaceutici  e, corrispondentemente, un contingentamento nel numero di esercizi che possono stabilirsi in una erta area del territorio nazionale, costituendo un ostacolo all’inserimento nel mercato per altri soggetti.

Il presente modesto contributo riporta fedelmente il contenuto dell’Ordinanza del T.A.R. per la Lombardia in commento in attesa che la Corte di Giustizia della UE si pronunci in merito al davvero controverso argomento.

Padova, lì 13.04.2012                                                           

Giovanni Attilio De Martin

 

 

 

 
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