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LA TRAPPOLA DELLA SCIA PDF Stampa E-mail
mercoledì 20 giugno 2012

di ALESSANDRO SELMIN

(già segretario della Camera di Commercio di Padova)

 

Il titolo di questo articolo riproduce il titolo del libro “La trappola delle leggi”, scritto recentementeda uno dei più autorevoli amministrativisti che mette a nudo (e l’autore è in buona e numerosa compagnia) i vari aspetti disastrosi della produzione normativa italiana.

Soprattutto si mette in luce – riguardo il tema delle liberalizzazioni/semplificazioni – la distanza siderale tra i proclami e le promesse del Parlamento e i risultati concreti confezionati da norme di attuazione, spesso inadeguate sotto i profili formali e sostanziali, elaborate dagli uffici ministeriali.

Soprattutto a partire dal 2005 la DIA, e ora la SCIA, sono state “vendute” all’opinione pubblica come uno dei ricostituenti per dare impulso allo sviluppo economico.

Come sanno gli addetti ai lavori i risultati pratici sono stati pressoché nulli rispetto all’obiettivodelle “leggi manifesto”.

Dopo oltre vent’anni occorrerebbe chiedersi, al di là delle singole criticità da tempo note, se questo tipo di procedura è veramente funzionale e può avere un futuro.

 

Premessa

Nel biennio 2010-2011 l’articolo 19 della legge 241/90 è stato investito da numerose modifiche con l’obiettivo – a detta dei proponenti -  di rendere la procedura da esso disciplinata uno strumento utile per l’avvio delle attività imprenditoriali.

Peccato che in questa abbondanza di ritocchi non ci si sia ancora accorti, dopo molti anni,dell’errore contenuto nel primo comma dell’articolo 19 ove è scritto “.. comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richiesti per l’esercizio …”.

Le parole “domande per le iscrizioni” dovrebbero essere sostituite da “atti di iscrizione”, perché la DIA prima e ora la SCIA non sostituiscono la domanda (ad esempio per l’iscrizione nel ruolo agenti di commercio o nell’albo artigiani), ma il provvedimento di iscrizione nel ruolo o nell’albo.

Le recenti modifiche all’articolo 19, assieme agli interventi della giurisprudenza, hanno scatenato un vivace dibattito, per lo più con risvolti teorici, ma su temi molto delicati, come quello delle azioni per contrastare le attività iniziate con la SCIA ritenute illegittime dai terzi, prevalgono le incertezze.

Il tempo per chiarire tutte le tematiche della SCIA sta per scadere; non dovrebbe superare il 2012, data entro la quale il Governo, come previsto dall’articolo 12 comma 4 della legge 35/12, dovrà formare cinque elenchi comprensivi di tutti i tipi di attività; quelle sottoposte a: autorizzazione preventiva; SCIA con utilizzo di asseverazioni tecniche, SCIA in cui non sono previste asseverazioni; semplice comunicazione preventiva; e infine quelle del tutto libere.

Viene quindi ribadita la centralità della SCIA nonostante i risultati deludenti, come possono attestare imprese, consulenti, associazioni di categoria, funzionari pubblici.

La DIA è stata introdotta oltre vent’anni fa per rimediare ai ritardi degli enti pubblici nel rilascio delle autorizzazioni, comprese quelle soggette a silenzio-assenso, necessarie per iniziare un’attività imprenditoriale.

L’obiettivo accelerazione è stato raggiunto perché la SCIA, nella sua ultima versione, consente all’imprenditore che la utilizza di iniziare anche lo stesso giorno della presentazione all’ente competente, ma questo purtroppo è l’unico vantaggio.

La SCIA infatti non rende libere le attività che con essa si iniziano, perché rimangono i requisiti e i presupposti fissati dalle norme speciali che regolano l’entrata sul mercato di determinati settori (in particolare quelli del commercio, dell’intermediazione, dei servizi).

L’imprenditore è chiamato, con la compilazione della SCIA,  a dichiarare di essere in possesso dei requisiti previsti dalle leggi speciali.

Ma è in grado di farlo? Cosa rischia?

E’ stato detto giustamente che la SCIA è una “procedura per privati coraggiosi”, e ovviamente non è giusto che sia così.

In questo articolo si vuole approfondire il tema della funzionalità della SCIA (esclusa quella edilizia) dal punto di vista delle aspettative dell’imprenditore che la utilizza, ma anche del buon funzionamento della pubblica amministrazione.

 

SCIA: liberalizzazione o semplificazione?

In premessa chi scrive ha già detto la propria opinione: la SCIA è solo una semplificazione del procedimento e questa è la realtà che vive l’operatore economico, ma anche il proprio consulente.

I termini liberalizzazione e semplificazione sono spesso utilizzati in modo approssimativo anche nei testi normativi e nelle circolari ufficiali ma persino da studiosi e giudici.

E’ invece fondamentale dare definizioni condivise. Alla fine il giudizio, se si tratta di liberalizzazione o semplificazione, lo dirà il destinatario: imprenditore, cittadino, ecc.; almeno su questo tema dovrebbe prevalere il principio di effettività e non i formalismi.

Le attività economiche si distinguono in due maxicategorie:

1)
le attività libere: ad esempio le attività agricole e le attività manifatturiere (quasi tutte);
2)
le attività regolamentate: ad esempio il commercio, i pubblici esercizi, gli impiantisti, ecc.

Questa distinzione è fondata sull’esistenza o meno di una norma che obbliga chi vuole avviare un’impresa, destinata ad operare in un determinato ramo o settore, ad ottenere, da una PA, una autorizzazione, licenza, iscrizione in ruolo e simili che vengono rilasciate all’impresa o all’aspirante imprenditore, prima dell’effettivo avvio dell’attività, qualora sia compatibile con lavalutazione del mercato dei vari settori fatta dall’ente pubblico o la persona abbia i requisiti morali e professionali.

Solo se esistono vincoli di questo tipo si tratta di attività regolamentata.

Ovviamente, sia nel caso 1 sia nel caso 2, il concreto esercizio dell’attività e la gestione aziendale possono richiedere il possesso di autorizzazioni o permessi che riguardano la sanità, l’ambiente, la sicurezza, ecc.

Questi adempimenti quasi sempre sussistono anche per le attività che sono libere nel loro avvio,ma vanno distinti dalle licenze e autorizzazioni cosiddette di esercizio.

Le liberalizzazioni e semplificazioni di cui si tratta in questo articolo sono solo quelle che riguardano l’inizio  delle attività che attualmente sono regolamentate da leggi speciali.

Liberalizzazione all’avvio, esiste quando si elimina qualsiasi adempimento preventivo (perché è stato eliminato qualsiasi requisito soggettivo o di tutela del settore) all’inizio di una attività (e quindi non è richiesta alcuna autorizzazione né SCIA o DIA).

Semplificazione dell’avvio si realizza quando un’attività rimane sempre soggetta ad adempimenti preventivi per il suo avvio (compresa la SCIA), ma questi sono stati alleggeriti rispetto alla norma originaria.

Due sono i tipi di semplificazione:

a)
quella procedurale, che riguarda solo gli adempimenti formali ed organizzativi per avviare l’attività (riduzione dei tempi di risposta, soppressione dell’obbligo di rivolgersi a più enti, ecc.); si attua con la DIA, SCIA, silenzio-assenso e il SUAP.
b)
quella sostanziale, che riguarda la riduzione dei requisiti soggettivi e/o oggettivi che devono essere posseduti dall’imprenditore e/o dall’azienda come condizioni per l’avvio.

La DIA e la SCIA sono quindi solo strumenti  per accelerare l’avvio dell’attività; la data di iniziodipende solamente dalla decisione dell’aspirante imprenditore.

Però, per avviarla in modo legittimo, questi deve possedere i requisiti specifici previsti dalla normativa di settore.

Quindi è semplificata la procedura, ma l’attività rimane regolamentata; i requisiti cioè sono ancora quelli che dovevano essere dimostrati – prima dell’introduzione della DIA o SCIA – nelladomanda di autorizzazione, licenza, ecc.

 

Ambito di applicazione della SCIA

La prima condizione perché la SCIA, come del resto tutti i procedimenti, funzioni è l’individuazione delle attività economiche o delle operazioni alle quali si applica.

Nonostante, in teoria, il campo di applicazione fissato dal comma 1 dell’articolo 19 sia ampio, di fatto non c’è alcuna certezza.

Termini giuridici come vincoli ambientali, culturali o atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla pubblica sicurezza non consentono all’aspirante imprenditore di individuare quali attività economiche, che rientrano nella tematica dell’ambiente, della sicurezza, ecc., possono essere iniziate tramite la SCIA.

Per complicare le cose si è voluto includere nel modello generale dell’articolo 19, prima con la legge 122/2010 poi con la legge 106/2011, anche la SCIA tra i vari titoli edilizi. Un’operazione che ha creato solo confusione perché la SCIA edilizia doveva essere inclusa nel TU sull’edilizia (DPR 380/2001).

Esaminando l’evoluzione dell’articolo 19 l’opinione generale è che è stato immaginato nel 1990 per scardinare lo strumento dell’autorizzazione e della licenza per l’avvio di attività economiche.

L’articolo 19 quindi non risponde neppure alla prima domanda che si fa un operatore: la DIA e SCIA si applicano per iniziare l’ attività cui sono interessato?

La risposta si trova solo nelle singole norme di settore, sia di fonte statale, ma soprattutto di fonte regionale e comunale.

E’ merito delle Regioni anzitutto se si è progressivamente diffusa l’applicazione dei  moduli DIA e SCIA.

L’idea che una regolamentazione generale del procedimento semplificato per l’inizio dell’attività – come è di fatto l’art. 19 - potesse aprire alla semplificazione si è rivelata perdente.

L’articolo 19 dovrebbe contenere solo norme che definiscono le fasi della procedura. E’ utopistico assegnare anche il compito di individuare le specifiche attività cui la SCIA si applica.

 

L’ambiguità delle norme di settore

Tramite la SCIA il privato “autocertifica” il possesso dei requisiti personali e dei requisiti che riguardano l’azienda (oggettivi).

Ma come può farlo, in tutta tranquillità, quando quasi tutte le leggi speciali stabiliscono vincoli generici, ambigui, a volte incomprensibili, tanto da imbarazzare gli stessi funzionari pubblici nella fase applicativa.

Come può assumersi quindi il rischio di dichiarare di trovarsi nelle condizioni di legge per aprire, ad esempio, un bar, un’impresa di installazione impianti, ecc.?

Come fa ad essere certo di interpretare correttamente le leggi sull’ambiente, sulla sicurezza, ecc., materie su cui impera l’incertezza e quindi soggette a valutazione discrezionale?

Per ridurre il rischio l’imprenditore dovrà sostenere i costi per consulenze perché di fatto il legislatore ha scaricato sul privato l’onere di istruire la pratica; ovviamente tutto questo pesa soprattutto sulle micro e piccole imprese.

Su questo punto concordano non solo gli esperti e gli addetti ai lavori, ma anche l’Antitrust nel documento consegnato al Governo nel gennaio 2012, che sottolinea la responsabilità sproporzionata che ricade sull’imprenditore.

Se le norme sono incerte la verifica ex-post può avere conseguenze pesantissime sull’imprenditore che ha autocertificato, pur usando tutte le cautele, il possesso dei requisiti.

L’ente, se ritiene che questi requisiti non ci siano, deve imporre all’imprenditore:

-
di regolarizzare la situazione, se questo è possibile;
-
il divieto di avviare o proseguire l’attività.

Ma soprattutto, se l’autocertificazione è ritenuta non veritiera, l’imprenditore è punito con la reclusione da uno a tre anni, e questo potrebbe succedere anche dopo anni dall’inizio dell’attività.

Questa incertezza sui requisiti richiesti e il trasferimento di ogni responsabilità interpretativa sull’imprenditore è – dopo l’ambiguità sui settori cui si applica – il secondo motivo dell’insuccesso della DIA e ora della SCIA.

 

La tutela del segnalante

Per il privato che presenta la SCIA il vantaggio evidente è la possibilità di iniziare subito l’attività, ma ci sono rischi e costi perché:

-
deve assumersi la responsabilità di decidere se ha i requisiti e/o le condizioni previste dalle norme speciali per utilizzare la SCIA;
-
si accorgerà che è molto difficile venire a conoscenza certa sui requisiti e le condizioni e perciò dovrà recarsi presso l’ente o gli enti competenti o dovrà incaricare dei consulenti;
-
l’ente competente a fare la verifica dopo la ricezione della SCIA non ha di fatto una scadenza per comunicare se la SCIA o l’attività iniziata è legittima.

Se la SCIA è carente in tutto o in parte dei presupposti per l’inizio dell’attività, l’ente entro 60 giorni (termine perentorio) deve assumere uno o più dei seguenti provvedimenti inibitori:

1.
divieto di inizio di attività (se dopo la SCIA il privato non ha ancora iniziato);
2.
divieto di prosecuzione dell’attività eventualmente iniziata;
3.
rimozione degli effetti dannosi (se ci sono) provocati dall’attività;
4.
quando è possibile rimediare alle carenze rilevate – in alternativa ai precedenti provvedimenti - può ordinare la sospensione dell’attività assegnando al privato almeno 30 giorni per la regolarizzazione.

Ma questi poteri inibitori possono essere attivati dall’ente competente anche dopo i 60 giorni, senza limiti di tempo, in due casi: quando l’attività è iniziata sulla base di un’autocertificazione falsa; quando l’attività potrebbe provocare danni all’ambiente, alla salute, al patrimonio artistico, alla sicurezza pubblica.

Ma non è finita qui.

L’ente conserva il potere di assumere determinazioni in via di autotutela (di inibizione dell’attività) per esigenze di pubblico interesse.

Dunque una totale incertezza sul momento in cui il segnalante può sentirsi certo della legittimità della sua attività di impresa.

 

La tutela del terzo

L’attività (apertura di un bar, di una autofficina, ecc.) promossa o avviata con la SCIA potrebbe danneggiare un terzo (persona fisica, società, impresa del settore, ecc.), che quindi ha un interesse a bloccare la nuova impresa.

Da almeno un decennio il dibattito sulle tecniche per tutelare il terzo (contro interessato) ha visto posizioni contrapposte sia in dottrina che in giurisprudenza. Non vi erano però dubbi sull’obbligo dell’ente competente ad effettuare un controllo ex post sulla SCIA, e non solo a campione, masu tutte le SCIA.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con decisione n. 15/2011 ha affermato che il terzo ha a disposizione più tipi di azioni davanti al TAR, ma il legislatore con la legge 148/2011, introducendo nell’art. 19 il comma 6 ter, ha riconosciuto che il terzo che ritiene illegittima la SCIAha un solo rimedio: deve “sollecitare” l’ente perché faccia la verifica e, qualora la richiesta sia disattesa, può ricorrere al TAR.

Pertanto se un terzo contesta la SCIA, l’imprenditore non ha alcune certezza sul momento in cui la sua attività può essere riconosciuta legittima.

Anche queste incertezze minano il bisogno di stabilità, che è elemento essenziale per lo sviluppo di un’impresa.

 

Per una SCIA utile alle imprese

Perché la SCIA favorisca l’ingresso sul mercato delle imprese operanti in settori regolamentati, mettendo sullo stesso piano le grandi e piccole, deve essere un adempimento semplice, poco costoso, affidabile e soprattutto idoneo a fornire certezze.

I procedimenti amministrativi per non essere un ostacolo devono essere “usabili” dall’utente.

Tre sono le condizioni fondamentali:

1.
la soppressione dell’autocertificazione

Poiché non è realistico ipotizzare che le normative di settore siano riformulate – in tempi brevi – con la necessaria chiarezza, occorre trovare una soluzione per evitare i rischi dell’uso della SCIA.

Vquindi soppresso l’adempimento dell’autocertificazione dei requisiti e dei presupposti per l’avvio di attività stabiliti nelle normative di settore, perché non può essere imposto al privato l’onere di interpretare norme che consentono agli enti competenti una discrezionalità applicativa.

Questo non sarebbe un grande sconvolgimento perché già le versioni dell’articolo 19 dellalegge 241/90 in vigore fino al 2009, prevedevano l’autocertificazione solo come eventuale.

La soluzione sta nel richiedere all’imprenditore la dichiarazione sui requisiti posseduti senza la formula dell’autocertificazione con le relative conseguenze penali.

Se l’autore della SCIA non ha i requisiti, rimangono comunque le sanzioni della sospensione o inibizione dell’attività avviata.

L’ente controllore verificherà i requisiti applicando il nuovo articolo 43 del DPR 445/2000 introdotto dall’articolo 15 della legge 183/11 il quale, ai fini dell’obiettivo decertificazione, stabilisce che, per un ente, il criterio ordinario è l’acquisizione delle informazioni d’ufficio presso altri enti.

Che la SCIA sia una modalità onerosa sotto il profilo della responsabilità, ma anche dei costi per consulenze, se ne è accorto anche il legislatore quando, con l’articolo 2 della legge 35/12, specifica che il segnalante è obbligato ad inviare “attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati” solo quando questi documenti sono previsti da normative di settore, ma raramente questo onere dell’asseverazione è previsto nelle leggi speciali sulle attività economiche.

2.
L’informazione ai cittadini

Ciascun ente competente deve attuare anzitutto quanto già previsto in più d’una delle leggi emanate dall’estate 2011: predisporre la modulistica, specificare gli atti da allegare e la normativa applicabile e inserirli nel sito, ma anche segnalare la prassi interpretativa e applicativa adottata dall’ente proprio perché le diversità locali sono frequenti.

La Direttiva UE sui servizi, che l’Italia ha applicato solo in parte, prevede al punto 51 del preambolo che le Autorità forniscano agli utenti “informazioni generali sulla maniera in cui i requisiti sono normalmente interpretati e applicati”.

Se viene fornita questa preventiva informazione iniziale, anche individuale, si avrà un notevole risparmio per gli enti perché il lavoro di controllo ex-post sarà molto alleggerito e talvolta anche eliminato, se l’imprenditore compila la SCIA assieme al funzionario.

3.
L’attestazione sull’esito della verifica

Gli enti devono controllare la SCIA entro sessanta giorni. Dovrebbe essere scontato che l’imprenditore successivamente potrà contattare il Comune, la Camera di Commercio, ecc. per conoscere se il risultato è favorevole, e quindi possa ottenere una qualche dichiarazione che l’attività economica è regolare.

L’articolo 19 nulla dice in proposito e la maggioranza degli studiosi ritiene che rilasciare questa attestazione positiva sia snaturare la procedura della SCIA.

Ma l’imprenditore ha necessità di certezze, anche perché i soggetti con cui si relaziona: banche, fornitori, ecc. pretendono una documentazione.

Anche questo rifiuto di rilasciare al cittadino un atto scritto è stato un ostacolo alla diffusione della DIA e ora della SCIA. In questo periodo si è aperta, tra gli studiosi, una accesa discussione sulla “tutela del terzo” cioè di chi potrebbe essere danneggiato da una SCIA irregolare.

C’è però anche, e prioritaria, l’esigenza di non creare ostacoli a chi la SCIA la compila e non si vede quale sfregio al diritto sia il rilascio di una presa d’atto dell’esito del controllo.

C’è ora da chiedersi se a questa esigenza dà una risposta la legge 35/12, che all’articolo 1, disciplina le conseguenze in caso di mancata o tardiva emanazione dei provvedimenti amministrativi (autorizzazioni, iscrizioni, permessi, ecc.) stabilendo responsabilità di varia natura per i funzionari pubblici e il diritto del privato di rivolgersi al dirigente che ha poteri sostitutivi perché concluda il procedimento.

Occorrerà chiarire se questa disposizione si applica anche alla procedura della SCIA, considerato che l’ente che la riceve, entro 60 giorni deve adottare un motivato provvedimento di divieto se è accertata la carenza dei requisiti previsti dalla norma di settore.

Se l’accertamento è positivo il segnalante può pretendere di conoscere, a partire dal sessantunesimo giorno, l’esito della verifica e, qualora favorevole, l’ente è tenuto a rilasciare un attestato di esito positivo?

4.
Una procedura come servizio al cittadino

L’impostazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi non può essere compito solo dei giuristi.

Qualsiasi procedura, sia con contenuti normativi, sia con contenuti tecnici, deve essere adattata alla capacità di comprensione e di gestione del destinatario.

Per scrivere una procedura, compresa la SCIA, occorre l’intervento anche di un “progettista” tanto più oggi in cui occorre scegliere il livello di tecnologia accettabile.

Una procedura amministrativa è un servizio da dare all’imprenditore e ai cittadini.

Lo scopo è di renderla “usabile” al destinatario medio; non deve creare frustrazioni e indurre in errore. Infatti quasi sempre usabilità significa semplicità.

 

Conclusioni

a)
Ai tanti ostacoli che sembrano rendere quasi illusoria la semplificazione si è aggiunta la sentenza della Corte Costituzionale n. 80/12 che ha annullato numerose norme del Codice del Turismo (d.lgs. 79/11), tra le quali l’articolo 16 che prevedeva la SCIA quale modalità per l’apertura delle strutture ricettive.

Secondo la Corte con l’articolo 16 “lo Stato incide sulla disciplina dei procedimenti amministrativi relativi ad attività turistiche, riservata dalla Costituzione alla competenza legislativa residuale delle Regioni”.

E’ una decisione inattesa e incomprensibile perché l’articolo 49, comma 4-ter, della legge 122/2010 stabilisce che la SCIA “attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117 coma 2 lettera e) della Costituzione”.

La SCIA e l’articolo 19 della legge 241/90 rientrano quindi tra le materie di competenza esclusiva dello Stato e quindi si applica anche alle materie di competenza regionale.

Tra l’altro non va trascurato che buona parte delle Regioni e degli Enti locali già applicavano i procedimenti della DIA e della SCIA alle strutture ricettive, già prima del Codice del Turismo.

C’è da sperare che questa sentenza non risvegli la voglia di autorizzazione.

b)
Per ridurre la burocrazia che avvolge l’impresa non occorre attendere una revisione dell’art. 41 della Costituzione che introduca il principio: è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge.

E’ sufficiente applicare la Direttiva Servizi che non solo consente una migliore semplificazione e soprattutto liberalizzazione. Sarebbe anche sufficiente rendere operativo l’articolo 3 della legge 148/11 e le tre manovre del Governo Monti.

I risultati dipendono dalla volontà dell’alta burocrazia statale e delle Regioni.

c)
La semplificazione procedurale e sostanziale delle attività regolamentate avrà come effetto -  si afferma comunemente – una riduzione dei costi amministrativi per l’impresa, ma se la semplificazione è complicata questi vantaggi saranno eliminati dai costi per consulenze.

Piuttosto poco si dice sul risparmio per le pubbliche amministrazioni, che può incidere sulpersonale, le attrezzature e le altre spese di funzionamento. Anche i controlli ex post costano e quindi non è detto che ogni operazione qualificata come semplificazione porti benefici alla spesa pubblica. E’ un tema da spending review.

d)
Tutta questa enfasi sull’efficacia della SCIA, ribadita anche dalla legge 35/12 fa sorgere il sospetto che l’operazione di liberalizzazione/semplificazione da attuare entro il 2012 si risolva nell’ampliare il campo di applicazione dell’attuale SCIA, facendola passare come liberalizzazione.

Se sarà così si dovrà prendere atto che vi è scarsa volontà, non solo di vere liberalizzazioni, ma perfino di eliminare un certo numero di restrizioni all’accesso.

SCIA, Sportelli Unici, Comunica, diffusione della telematica sono solo strumenti: occorre incidere sulle norme sostanziali che creano barriere al mercato o sopprimendole o rendendole chiare.

 
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