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Le sanzioni amministrative per l’inottemperanza all’ordine di demolizione. PDF Stampa E-mail
lunedì 08 giugno 2015

di Alessandro Veronese

 

 

La legge n. 164/2014, in sede di conversione del D.L. n. 133/2014, ha aggiunto all’art. 17, comma 1, il comma q-bis), che, a sua volta, ha modificato l’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, inserendo tre commi di fresco conio tra i previgenti commi 4 e 5.

Il comma 4-bis dell’art. 31 del Testo Unico dell’Edilizia introduce una sanzione amministrativa - d’importo compreso tra 2.000 e 20.000 euro - da irrogare in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, salva l’applicazione delle ulteriori sanzioni previste dalle vigenti norme.

La sanzione è sempre irrogata in misura massima, senza alcun margine di discrezionalità circa la sua graduazione, in caso di abusi realizzati su immobili di cui all’art. 27, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, ossia: (i) immobili soggetti a vincolo d’inedificabilità, in forza di leggi statali o regionali, o in base a disposizioni di strumenti urbanistici; (ii) immobili destinati ad opere e spazi pubblici o ad interventi di edilizia residenziale pubblica, ai sensi della L. n. 167/1962; (iii) immobili soggetti ai vincoli di cui al D.Lgs. n. 42/2004; (iv) immobili soggetti alle tutele di cui al R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, ossia aree sottoposte a vincolo idrogeologico ovvero boschi soggetti a limitazioni di utilizzo; (v) immobili gravati da usi civici in base alla L. 16 giugno 1927, n. 1766.

Del pari, la sanzione deve essere applicata in misura massima anche in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione relativo ad abusi edilizi realizzati su immobili soggetti a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, ossia – è da ritenersi – su aree così classificate dai Piani delle Autorità di Bacino.

Ancora, l’art. 31, comma 4-bis, del D.P.R. n. 380/2001, ricorda che la mancata o tardiva adozione del provvedimento sanzionatorio “costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”, fatte salve le responsabilità penali. Il che suona essenzialmente come monito: siffatte responsabilità incombono comunque sul funzionario inerte o inadempiente, a prescindere dal ridondante richiamo della norma.

L’art. 31, comma 4-ter, del Testo Unico dell’Edilizia vincola i proventi delle sanzioni anzidette, sia per quanto attiene all’Ente (Comune), a favore del quale esse vanno versate, sia in riferimento all’utilizzo delle stesse, ché esse debbono essere destinate esclusivamente alla demolizione ed alla rimessione in pristino delle opere abusive o all’acquisizione di aree destinate a verde pubblico, le quali possono anche essere attrezzate per il tramite delle medesime risorse derivanti dalle sanzioni amministrative per l’inottemperanza all’ordine di demolizione.

Infine, l’art. 31, comma 4-quater, del D.P.R. n. 380/2001 prevede che, ferme le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, le Regioni a statuto ordinario possano non solo elevare l’importo delle sanzioni previste dal comma 4-bis - nel minimo come nel massimo e senza limite alcuno - ma anche disporre “che siano periodicamente reiterabili qualora permanga l’inottemperanza all’ordine di demolizione”.

Una volta enunciati i contenuti propri della nuova sanzione amministrativa, introdotta in sede di conversione del Decreto “Sblocca Italia”, merita ricordare che essa si colloca all’interno dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, successivamente alla disciplina degli effetti dell’inottemperanza all’ordine di demolizione.

Ne esce un quadro dai contorni non proprio nitidi, quanto meno sotto il profilo logico, posto che la sanzione approntata dall’ordinamento per il caso di inottemperanza all’ordine di demolizione era – e continua ad essere – l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del bene abusivamente realizzato e dell’area di sedime, di talché, decorsi novanta giorni dalla notificazione dell’ordine di demolizione o di ripristino, l’inottemperanza comporta l’effetto acquisitivo automatico, quindi il passaggio di proprietà del bene e dell’area di sedime con efficacia costitutiva. Infatti, l’accertamento dell’inottemperanza è atto funzionale all’immissione in possesso ed alla trascrizione nei registri immobiliari (ai fini dell’opponibilità ai terzi), il trasferimento della proprietà in capo al Comune essendo immediata conseguenza del mero decorso del termine di novanta giorni e dell’inottemperanza rispetto all’obbligo ripristinatorio (Cons. St., sez. VI, 27 gennaio 2015, n. 1064; id., 8 febbraio 2013, n. 718; Cons. St., sez. V, 15 luglio 2013, n. 3834; T.A.R. Veneto, sez. II, 7 novembre 2012, n. 1350).

Ma se così è, appare difficilmente comprensibile il nuovo meccanismo sanzionatorio, che aggiunge alla sanzione dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale un’ulteriore sanzione pecuniaria (per la medesima condotta), la quale affligge il soggetto non più proprietario del bene e dell’area, quindi privo di legittimazione passiva in forza dell’intervenuta ablazione della sua proprietà. Il presupposto in base al quale scatta la sanzione pecuniaria – l’inottemperanza all’ordine ripristinatorio – è, difatti, lo stesso che conduce all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale.

Sembra evidente, quindi, l’aporia logica della sanzione amministrativa – per così dire – “postuma”, irrogata al soggetto già destinatario di una sanzione “reale” e non più proprietario del bene, ma ugualmente tenuto a sopportare le spese del ripristino, ai sensi del previgente art. 31, comma 5, del D.P.R. n. 380/2001, salvo che il Consiglio comunale non dichiari la sussistenza di prevalenti interessi pubblici, volti alla conservazione dell’abuso in luogo del ripristino.

Se, quindi, la ratio della sanzione amministrativa vuole essere quella di tenere indenne l’Amministrazione comunale dalle spese di ripristino - come traspare dalla destinazione vincolata proprio a tal fine delle somme riscosse a titolo di sanzione ex art. 31, comma 4-ter - va osservato come ciò già fosse, in forza del ricordato comma 5.

Si potrebbe, invero, obiettare che la nuova sanzione amministrativa fornisca immediatamente la provvista all’Amministrazione, per procedere al ripristino, senza dovere il Comune anticipare le somme, per poi rivalersi sul responsabile dell’abuso, magari inutilmente nel caso di insolvenza dello stesso. Questa prospettazione, invero, presuppone sia il pronto incasso della sanzione pecuniaria, sia che essa possa essere sufficiente a coprire le spese di rimessione in pristino stato: né l’una, né l’altra evenienza appaiono però scontate. La prima, perché se il responsabile dell’abuso avesse avuto disponibilità economiche, forse avrebbe provveduto egli stesso al ripristino nei termini, senza farsi espropriare la proprietà; la seconda, perché l’importo della sanzione pecuniaria, per quanto non sia affatto trascurabile, specie nei massimi, può non essere sufficiente a garantire la copertura dei costi di ripristino.

Il legislatore, però, sembra ottimisticamente convinto del contrario, quando prevede addirittura che le somme derivanti dalla riscossione della sanzione pecuniaria possano essere impiegate non solo per la rimessione in pristino, ma anche per l’acquisizione di aree destinate a verde pubblico (evidentemente diverse da quella oggetto di acquisizione) e per poterle financo attrezzare.

Appare lecito, però, dubitare della logicità della novella in esame, laddove inserisce una sanzione amministrativa pecuniaria, che si aggiunge ad un consolidato apparato repressivo, ma che affligge un soggetto privo di legittimazione passiva (in ragione dell’intervenuta ablazione del diritto dominicale), già sanzionato per la medesima condotta con misura “reale” e comunque obbligato a sostenere le spese di ripristino.

Ai dubbi d’incostituzionalità della norma, sotto il profilo della violazione dell’art. 3 della Costituzione, si aggiunge anche il possibile vulnus dell’art. 97 della stessa ed, in particolare, del principio di buona amministrazione.

È prevedibile, infatti - anche in forza del caveat del legislatore circa le conseguenze della mancata, od anche solo tardiva, adozione del provvedimento sanzionatorio - che allo spirare del novantesimo giorno dalla notificazione dell’ordinanza di ripristino segua senza indugio la sanzione pecuniaria, magari contestualmente all’atto di accertamento dell’inottemperanza, creando un aggravio amministrativo ed un aumento del contenzioso, senza concreti benefici per l’Amministrazione, come visto.

Al di là, quindi, dell’illogicità di un sistema sanzionatorio, il nuovo sistema sanzionatorio appare foriero di un appesantimento burocratico non certo in linea con la ratio della novella, siccome – di contro – volta a “semplificare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese”, in base a quanto testualmente disposto dall’art. 17, comma 1, del D.L. n. 133/2014, come convertito dalla L. n. 164/2014.

Dopo aver illustrato i profili di perplessità, che si ritraggono dalla lettura del Decreto “Sblocca Italia”, va svolto un ulteriore approfondimento sull’applicazione concreta della sanzione pecuniaria di nuova istituzione.

Merita precisare come la nuova sanzione amministrativa sia immediatamente efficace – salvo per quanto attiene all’eventuale aumento della stessa o all’eventuale sua reiterabilità, rimessi al legislatore regionale – a far data dall’entrata in vigore della Legge di conversione n. 164/2014, ossia dal 12 novembre 2014. Nel rispetto del generale principio di irretroattività delle norme appare sostenibile che la nuova sanzione pecuniaria possa essere applicata solo nei casi in cui l’inottemperanza si perfezioni successivamente al 12 novembre 2014.

Profili problematici sorgono per la peculiare collocazione della neo introdotta sanzione pecuniaria: essa, infatti, è stata inserita nell’ambito dell’art. 31 del Testo Unico dell’Edilizia, che, a rigore, colpisce gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali.

È risaputo che l’apparato sanzionatorio “reale”, quindi l’ordine ripristinatorio, viene applicato anche nell’ipotesi di abuso costituito non solo dall’assenza del permesso di costruire (o dalla totale difformità rispetto al titolo rilasciato o delle variazioni essenziali rispetto al permesso), ma anche dall’assenza di titoli - ammesso che tali siano - “minori” (ad esempio, SCIA), ove vi sia violazione delle norme urbanistiche e degli strumenti urbanistici, di talché la repressione avviene comunque per il tramite della riduzione in pristino (T.A.R. Veneto, sez. II, 14 marzo 2012, n. 371; id., 6 agosto 2012, n. 1102).

V’è da chiedersi se anche all’applicazione della sanzione ripristinatoria per le fattispecie diverse dall’assenza del permesso di costruire (o dalla totale difformità rispetto al titolo rilasciato o delle variazioni essenziali rispetto al permesso), siccome connessa al generale potere di polizia edilizia ritraibile dall’art. 27 del Testo Unico dell’Edilizia, si aggiunga la sanzione pecuniaria introdotta dal Decreto “Sblocca Italia”, o se essa si applichi solamente alle fattispecie espressamente richiamate dal primo comma dell’art. 31.

In altri termini, se appare corretto distinguere le (diverse) norme legittimanti la sanzione ripristinatoria – ossia l’art. 31, nel caso di assenza del permesso di costruire, di totale difformità o di variazioni essenziali e l’art. 27, negli altri casi di violazione delle norme urbanistiche e degli strumenti di pianificazione, a prescindere dal titolo – ci si deve interrogare se alla misura del ripristino segua, per entrambe le fattispecie, la sanzione pecuniaria aggiuntiva introdotta dal Decreto “Sblocca Italia”, o se quest’ultima non sia applicabile nel caso di inottemperanza all’ordine ripristinatorio assunto ex art. 27 del D.P.R. n. 380/2001, posto che, da un lato, quest’ultima norma prevede la demolizione ma non la sanzione pecuniaria, viceversa contemplata solo dall’art. 31.

L’interrogativo appare non privo di suggestione e potrebbe portare ancora più lontano, dovendo chiederci se la stessa acquisizione gratuita al patrimonio comunale (prevista dall’art. 31, ma non dall’art. 27) sia applicabile anche in caso di inottemperanza all’ordinanza ripristinatoria assunta ai sensi dell’art. 27 del Testo Unico dell’Edilizia.

È vero che il rapporto tra gli articoli 27 e 31 manifesta profili di evidente problematicità ed i dubbi testé espressi appaiono legittimi, ma è anche vero che nell’art. 31 – e la collocazione è indubbiamente infelice – trova ospitalità la compiuta disciplina procedimentale della demolizione, dell’inottemperanza all’ordine ripristinatorio, dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, dell’immissione in possesso e della trascrizione nei registri immobiliari.

Appare, quindi, difficile sostenere un’applicazione - per così dire - differenziata dell’art. 31, nella parte procedimentale evidentemente applicabile anche alle sanzioni “reali” ex art. 27 (ché, altrimenti, quest’ultime sarebbero prive di disposizioni attuative), ma non applicabile quanto alle sanzioni per il caso di inottemperanza all’ordine ripristinatorio, ossia all’acquisizione gratuita ed alla sanzione pecuniaria.

A ben vedere, invero, si tratta di sanzioni connesse all’inottemperanza della sanzione principe (rimessione in pristino), di sanzioni di secondo grado, volte a rendere maggiormente efficace l’ordine ripristinatorio. Ma le sanzioni di secondo grado appaiono parimenti applicabili in entrambe le ipotesi di inottemperanza all’ordine di rimessione in pristino, sia ai sensi dell’art. 31, sia ai sensi dell’art. 27 del Testo Unico dell’Edilizia.

Da ultimo, merita analizzare cosa accada nel caso in cui, successivamente alla notificazione dell’ordine di rimessione in pristino, il destinatario della stessa presenti istanza di accertamento di conformità.

Ove l’istanza di sanatoria venisse presentata successivamente alla scadenza dei novanta giorni, entro i quali doveva avvenire la rimessione in pristino, si potrebbe ritenere che l’istante sia sprovvisto di legittimazione attiva, siccome privo di disponibilità sull’immobile oggetto di richiesta di sanatoria, essendo già intervenuta l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale (T.A.R. Veneto, sez. II, 7 novembre 2014, n. 1518).

Ove, invece, l’istanza di sanatoria venisse presentata prima della scadenza dei termini per la rimessione in pristino, andrebbe preliminarmente chiarito quale sia l’effetto della richiesta di accertamento di conformità rispetto all’ordine ripristinatorio.

Allo stato si confrontano due diversi orientamenti giurisprudenziali.

Secondo il primo, la presentazione dell’istanza di sanatoria successivamente all’adozione dei provvedimenti sanzionatori comporta l’inefficacia degli stessi, con la conseguente necessità in capo al Comune di assumere un nuovo provvedimento in esito alla definizione della richiesta sanatoria (Cons. St., sez. V, 24 aprile 2013, n. 2280; T.A.R. Veneto, sez. II; 21 agosto 2013, n. 1076; T.A.R. Lombardia, sez. II, 5 novembre 2014, n. 2653).

Il secondo filone ermeneutico, invece, ritiene che la presentazione della domanda di accertamento di conformità in pendenza del termine di novanta giorni dalla notificazione del provvedimento sanzionatorio non ne comporti l’inefficacia, ma la temporanea sospensione degli effetti, sino a che l’Amministrazione non si pronunci sulla richiesta di sanatoria. Quando ciò avvenga con provvedimento di rigetto dell’istanza di sanatoria, cessa la temporanea sospensione dell’efficacia del provvedimento sanzionatorio, i cui effetti si riespandono ed i termini per l’esecuzione dello stesso riprendono a decorrere, senza necessità alcuna in capo all’Amministrazione comunale di assumere una nuova misura sanzionatoria (Cons. St., sez. VI, 14 marzo 2014, n. 1292; Cons. St., sez. IV, 18 aprile 2014, n. 1994; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-bis, 6 ottobre 2014, n. 10204).

A qualsivoglia tesi si intenda accedere, resta fermo che in caso di richiesta di sanatoria il provvedimento sanzionatorio diviene senz’altro inefficace o temporaneamente inefficace.

Nell’una come nell’altra ipotesi appare sostenibile che il Comune non possa applicare la sanzione pecuniaria introdotta dal Decreto “Sblocca Italia”, se non decorsi inutilmente novanta giorni dalla notificazione del nuovo provvedimento sanzionatorio (accedendo al primo filone interpretativo). ovvero decorsi inutilmente novanta giorni dalla notificazione dell’originario provvedimento sanzionatorio, una volta terminato l’effetto sospensivo dell’efficacia dello stesso (accedendo al secondo orientamento).

 
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