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TRIBUNALI SENZA AVVOCATI? PDF Stampa E-mail
giovedì 30 luglio 2015

(LA CONDANNA ALLE SPESE NON VA USATA PER DISINCENTIVARE LE ISTANZE CAUTELARI)

 

di Francesco Volpe

 

Si discute, talvolta, dell'ammontare delle spese per cui è statuita condanna nel processo cautelare.

 

Si badi: non si discute della possibilità che il giudice provveda sulle spese, in tale fase del giudizio, ché sul punto, l'art. 57 c.p.a. è chiaro.

 

Oggetto dei rilievi, invece, è il quantum, poiché esso sembra, da ultimo, lievitare; con importanti condanne del ricorrente che abbia indebitamente chiesto la sospensione del provvedimento impugnato.

 

Vorrei intervenire anch'io sul tema, esponendo tre punti di riflessione.

 

Il primo punto attiene ai motivi per i quali è stata negata la misura cautelare. Se una condanna sulle spese può essere ragionevole nel caso in cui l'ordinanza di rigetto sia motivata per assenza del fumus, assai più dubbio è che possa pronunciarsi condanna quando il diniego poggi sull'assenza del periculum in mora. Infatti, al ricorrrente si può chiedere di operare una preventiva prognosi sulla fondatezza delle proprie censure, ma non sull'entità del danno da sé lamentato. Ciò tanto più vale quando il difetto del periculum sia il risultato di una sostanziale valutazione comparativa, operata dal giudice,  con il contrapposto danno che subirebbe l'Amministrazione resistente, per il caso in cui la misura cautelare fosse concessa. Infatti, si può chiedere al ricorrente di operare una sorta di controllo su se stesso. Non si può, invece, chiedergli di operare anche  una comparazione tra il proprio danno e quello dell'Amministrazione resistente. Chi, nel giudizio, pone la domanda ha a  riguardo solo se stesso e non l'interesse di controparte, perché è il proprio interesse ad agire che egli deduce in causa e non quello della resistente autorità amministrativa.

 

Il secondo punto attiene all'entità della condanna cautelare sulle spese, pur quando essa sia accessoria ad una ordinanza che rigetti l'istanza di sospensione in ragione del difetto del fumus. A me pare che un'ordinanza che condanni a cospicue somme di denaro sottintenda che il ricorso non solo non sia assistito da un minimo di fumus boni iuris, ma che esso debba ritenersi addirittura manifestamente infondato o manifestamente inammissibile. Diversamente, non avrebbe senso che il giudice condanni ad importi paragonabili a quelli che potrebbero leggersi in una sentenza definitiva del grado di lite. Se così avvenisse, l'ordinanza cautelare si rivelerebbe essere, in verità, erronea perché contraddittoria con se stessa. Quando il ricorso sia manifestamente inammissibile o infondato, infatti, il giudice non dovrebbe limitarsi all'esame della domanda cautelare, ma dovrebbe definire direttamente il giudizio, con una sentenza resa in forma semplificata e dotata di una, succinta ma pur sempre necessaria, motivazione. Se, invece, il giudice pronuncia sulla domanda cautelare con una semplice ordinanza di rigetto, ciò significa che l'assenza di fumus non è così grave da giustificare una sentenza in forma semplificata. Ma allora tale assenza di fumus non può giustificare neppure una pesante condanna sulle spese.

 

Il terzo punto  figlia da una considerazione comparativa con la mia personale esperienza. Non ignoro, invero, che alcuni Colleghi nell'Accademia vagheggiano l'esistenza di una "Università senza studenti". Quanto più bella sarebbe l'attività del professore universitario senza l'assillo delle lezioni, degli esami, dei ricevimenti e delle tesi di laurea! Ma così non è e non può essere.

Altrettanto credo che debba valere anche per i giudizi: le disposizioni sulle spese non debbono essere utilizzate - se mai qualcuno ne coltivasse il proposito - come uno strumento per disincentivare la proposizione delle domande cautelari. Perché, come non esiste l'"Università senza studenti", allo stesso modo non possono esistere i "Tribunali senza avvocati".

 
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