CARENZA D'INTERESSE, CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE E RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO
giovedì 28 gennaio 2010

di Giovanni Attilio De Martin.

 Con la recentissima sentenza 31 dicembre 2009, n. 9292 il Consiglio di Stato, Sezione IV^ giurisdizionale, è tornato ad affrontare la non sopita questione avente ad oggetto la distinzione fra le sentenze dichiarative dell’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse e le sentenze dichiarative dell’intervenuta cessazione della materia del contendere. La soluzione offerta dal Supremo Consesso Amministrativo è la seguente: l’istituito dell’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse è di elaborazione giurisprudenziale pure essendo esso accomunato spesso a quello contiguo e limitrofo della cessazione della materia del contendere, per contro direttamente disciplinata (meglio sarebbe dire, nominalmente indicata) dal Legislatore con il disposto normativo di cui all’Articolo 23, comma VII^, della L. n. 1034/1971. Trattasi di istituti che si differenziano fra loro assai profondamente sotto il profilo della diversa soddisfazione dell’interesse leso. La sopravvenuta carenza di interesse, infatti, viene decretata dal Giudice Amministrativo soltanto allorquando il nuovo provvedimento adottato dalla P.A. non soddisfi integralmente le ragioni della parte ricorrente, determinando esso una nuova valutazione dell’assetto del rapporto fra Pubblica Amministrazione ed amministrato; al contrario, la cessazione della materia del contendere si verifica quando l’operato successivo della P.A. si rivela essere integralmente satisfattivo dell’interesse azionato dal ricorrente. Inoltre, come assai giustamente sottolineato dal Consiglio di Stato nella decisione sopra citata, proprio perché la valutazione dell’interesse alla prosecuzione del Giudizio spetta unicamente al ricorrente (il quale è una sorta di dominus di esso), la sua carenza può essere anche conseguenza di una valutazione (soggettiva) esclusiva del medesimo soggetto, in relazione a sopravvenienze anche del tutto indipendenti dal comportamento della controparte pubblica. Ma se così è, come stabilito nella quasi coeva decisione del Consiglio di Stato, Sezione V^ giurisdizionale 12 dicembre 2009, n. 7800, la sentenza del Giudice Amministrativo che dichiara l’intervenuta cessazione della materia del contendere è caratterizzata da un contenuto di accertamento nel merito della pretesa avanzata dal ricorrente e della sua piena soddisfazione connessa a determinazioni successive della P.A.; siffatta decisione non possiede, pertanto, una valenza meramente processuale (ossia non è una sentenza di mero rito) bensì contiene l’accertamento relativo al rapporto amministrativo controverso ed alla pretesa sostanziale vantata dall’interessato. In siffatta prospettiva, la giurisprudenza richiede la concorde dichiarazione del ricorrente e dell’Amministrazione resistente in ordine alla satisfattività dei provvedimenti amministrativi adottati nelle more del Giudizio, fermo restando il potere – dovere del Giudice di qualificare correttamente gli effetti derivanti dall’adozione di siffatti provvedimenti sopravvenuti. Ossia, il che è lo stesso, le parti non sono esse stesse arbitre della formula estintiva del Giudizio che spetta unicamente al Giudice individuare interpretando la loro condotta processuale. La cessata materia del contendere, pure essendo prevista dalla legge processuale amministrativa non risulta da quest’ultima analiticamente disciplinata sicchè essa può essere definita come un’ipotesi qualificata di sopravvenuta carenza di interesse. L’elemento che la contraddistingue è costituito dalla causa che determina l’effetto estintivo del Giudizio vale a dire l’integrale soddisfazione della pretesa sostanziale azionata in Giudizio connessa all’adozione, in sede di autotutela amministrativa, di atti o provvedimenti amministrativi da parte della P.A. intimata. La cessazione della materia del contendere può essere dichiarata solo quando l’Amministrazione annulli o riformi, in senso conforme all’interesse del ricorrente, il provvedimento da questi impugnato; nel mentre la declaratoria di improcedibilità di un ricorso giurisdizionale per sopravvenuta carenza di interesse può derivare o da un mutamento della situazione di fatto o di diritto presente al momento della sua presentazione, tale da far cessare l’effetto del provvedimento impugnato, ovvero l’adozione, da parte dell’Amministrazione, di un provvedimento che, idoneo a ridefinire l’assetto degli interessi privati e pubblici fra loro confliggenti, pur senza avere alcun effetto satisfattivo nei confronti del ricorrente, sia tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza. Ulteriore importante distinzione fra le due tipologie di sentenze in rassegna è la seguente: in ipotesi di cessazione della materia del contendere il Giudice Amministrativo deve condannare la Pubblica Amministrazione a rifondere le spese di lite in favore del ricorrente; non così, viceversa, per quanto concerne l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse. In sintesi e conclusivamente può sostenersi che, in maniera assai più pregnante e decisiva che nell’ambito del Giudizio Civile, il Giudizio Amministrativo risulta caratterizzato dalla necessaria presenza e persistenza dell’interesse, sostanziale e processuale, della parte ricorrente quale unica misura di utilità della sentenza di merito. Quando l’interesse venga meno in corso di causa si verificano fenomeni estintivi del Giudizio quali la sopravvenuta carenza di interesse, la cessata materia del contendere ovvero la perenzione alla quale sarà dedicato il prossimo contributo. Tuttavia, a mio modo di vedere ed a ben ragionare, una siffatta centralità dell’interesse nell’ambito del Giudizio Amministrativo non è dannosa bensì può condurci a distinguere effettivamente i ricorsi che necessita si concludano con una sentenza di merito e quelli che, viceversa, si possono concludere con la pronuncia di altro provvedimento giurisdizionale. Il tutto naturalmente (ed assai necessariamente) in una prospettiva di ragionevole durata del Giudizio.

Il presente modesto contributo riflette, come sempre, unicamente le opinioni di colui che lo ha redatto.

Padova, lì 25.01.2010                                                                        

Giovanni Attilio De Martin