DECRITTAZIONI
martedì 16 maggio 2017

DI FRANCESCO VOLPE

 

 

Alcuni di Voi, Colleghi, forse non saranno riusciti a capire il senso dei miei due ultimi interventi, ambientati tra le lenzuola di un annoiato re persiano e le lusinghe di una Shéhérazade desiderosa di salvare la pelle.

Alcuni avranno pensato che io sia matto. O che lo sia diventato.

Altri, più benevoli, giudicheranno che io coltivi immature vocazioni letterarie e che, in ogni caso, il manifestarle toccherebbe ad altre sedi.

Dal canto mio, potrei invocare, a mia discolpa, alcune citazioni classiche. Giulio Cesare Croce, innanzi tutto. O, forse, Pirandello e le tre corde di Ciampa.

Più semplicemente offrirò una chiave di interpretazione, precisando, però, che il quadro che si deve trarre da quei due interventi si pone su un piano astratto e non concreto.

È vero, come ha indicato il nostro Presidente Bigolaro, che l’ispirazione degli interventi trae spunto da alcune recenti notizie di cronaca. Ma è solo una ispirazione e nulla più.

Avrei potuto scrivere le stesse cose anche se quegli articoli non fossero comparsi, perché sono cose che, in realtà, penso da un bel po’, nel senso che ravviso in certe ambientazioni (di cui sembra di percepirsi, qui e lì, la potenziale sussistenza) un pericolo per il funzionamento della società e del sistema giurisdizionale in particolare.

Ed ecco allora le chiavi.

Il lettore vorrà vedere, nei due sarti della prima favoletta, due avvocati. Sono entrambi due bravi avvocati, ma uno si limita a fare il suo mestiere; l’altro, invece, è un po’ più disinvolto.

Nel vecchio Vizìr si potrà ravvisare un giudice e, nel suo servitore, un altro avvocato, ma molto più inautonomo degli altri due. E anche meno bravo.

Le stoffe sono il risultato giuridico di una controversia, preparato dagli avvocati ed avallato dalla sentenza del giudice.

Il mercante della prima favola è il cliente dei due avvocati. Egli è un imprenditore che non si fa condizionare da nulla, se non dal mercato: quanto mi costa, quanto mi rende.

Passiamo, adesso, alla seconda favola, dove compaiono due nuovi mercanti, mentre i sarti sono ormai definitivamente spariti dalla scena. Infatti, non vi è più bisogno di avvocati, una volta arrivati a questo stadio della società.

Uno dei due nuovi mercanti si procaccia legalmente la merce fuori dalla città, per importarla dove prima operavano i mercanti locali. Si potrà vedere in questo nuovo mercante la multinazionale che entra nel mercato di un certo Stato: forse anche in quello della nostra bella Italia.

Anche l’altro mercante è un imprenditore, ma lui si procaccia la merce nell’ambiente della malavita. O, almeno, si procura lì i mezzi per acquistare la merce e per poi ripulirsi, investendo in un mercato “regolare”.

I due non sono in competizione: percependo la convenienza della cosa, fanno cartello. Entrano, dal buco della serratura, in un mercato del tutto sguarnito e non più protetto, perché i vecchi mercanti se ne sono allontanati dopo i guasti compiuti dal vecchio Vizìr.

Una volta entrati, i due nuovi mercanti allargano il loro campo d'azione, appropriandosi di tutti gli altri mercati. Infine, raggiunta una posizione consolidata e di controllo, essi drenano le ricchezze dei loro clienti, cioè dei cittadini, riducendoli alla miseria.

Fino a completare l’opera, acquisendo anche formalmente il potere politico e imponendo un regime oscurantistico, in cui i cittadini potranno sopravvivere con ciò che i due Vizìr, a loro arbitrio, concederanno.

Ecco il senso dei due racconti, qui narrati a fini essenzialmente apotropaici, sperando che i segnali che, qua e là, si percepiscono non debbano davvero portarci ad un tale esito.

Ultimo aggiornamento ( martedì 16 maggio 2017 )